QUALCHE ANTONINI

STEFANO ANTONINI,esule del risorgimento
http://cronologia.leonardo.it/gariba/gar17.htm
 A Stefano Antonini)
“Stimatissimo Signore,

« Mi fo un piacere di dare a V. S. la nuova del mio felice arrivo in Genova, dopo un felicicissimo viaggio di circa due mesi. Io sono stata festeggiata dal popolo genovese in modo singolare. Più di tremila persone vennero sotto le finestre gridando viva Garibaldi, viva la famiglia del nostro Garibaldi, e mi fecero dono d’una bella bandiera dai colori italiani, di cendomi di farla tenere a mio marito tosto che giunga in Italia, ond’egli sia il primo a piantarla sul suolo Lombardo. S’ ella sapesse quanto è amato e desiderato Garibaldi in tutta i Italia, e principalmente qui in Genova! Tutti i giorni, ad ogni bastimento che credono venga di Montevideo pensano che vi possa esser egli, e se ciò fosse io credo che le feste sarebbero senza fine. Le cose d’Italia procedono assai bene. In Napoli, Toscana e Piemonte fu promulgata la Costituzione, e Roma starà poco ad averla. La guardia Nazionale è stabilita dovunque, e moltissimi benefici ottennero questi paesi. Da Genova, ed anzi da tutto lo Stato furono cacciati i Gesuiti, e tutti i loro affiliati, e dappertutto non si parla che di unire l’ Italia mediante una Lega politica, e doganale, e poscia liberare i fratelli Lombardi dal dominio dello straniero.
Mille finezze ho ricevuto, dai fratelli Antonini. L’altr’ieri sono stata all’opera e iersera alla commedia, ho visitati i principali luoghi della città e i dintorni, e domani parto col vapore per Nizza. Mi farà grazie, nel caso che mio marito non fosse ancora partito, di sollecitarlo a questo, e dirgli che gli ultimi avvenimenti d’Italia devono fargli accelerare la sua partenza.
Salutandola poi caramente mi creda
Genova, 7 marzo 1848.
Sua devotissima serva ANNA GARIBALDI

  GIUSEPPE ANTONINI,psichiatra
http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-antonini_(Dizionario_Biografico)/
 Maggiore medico volontario durante la prima guerra mondiale, organizzò e diresse un ospedale militare di riserva in Mombello e, attraverso una imponente casistica, studiò i rapporti tra le conseguenze dei fatti bellici e le malattie mentali. Osservatore di ogni problema sociale, con trattati e manuali, articoli, conferenze, corsi di lezioni e di propaganda fu anticipatore e divulgatore dell’importanza dell’igiene mentale, della medicina sociale e della profilassi dell’alcolismo, della criminalità, delle malattie nervose e mentali.

Propugnò e organizzò la formazione di “Dispensari psichiatrici” a finalità preventiva, che Milano vide attuati nel 1924 in uno dei primi esperimenti. Fra i fondatori nel 1924 della Lega italiana di igiene mentale, ne fu dal 1930 al 1938 autorevole presidente onorario. Nel 1932 fu nominato membro della commissione nazionale per lo studio delle questioni circa la delinquenza minorile. Nel 1933 gli venne affidata l’organizzazione della “Mostra italiana per le scienze nel campo della pellagra” all’esposizione internazionale di Chicago. Collaborò all’Enciclopedia italiana per la voce Pellagra. Fu perito in celebri processi civili e penali e maestro di una schiera di valenti discepoli, che raggiunsero posti direttivi nel campo psichiatrico. Precorrendo i tempi, molto operò e scrisse per vincere pregiudizi, incomprensioni, diffidenze, al fine di far considerare il malato di mente passibile di guarigione e di riammissione nella vita sociale normale, preoccupandosi inoltre del grave problema dell’assistenza ai dimessi dell’ospedale psichiatrico.

Scrittore colto ed elegante, studioso di arte e di storia, pittore, riunì in sé i caratteri di scienziato umanista. Morì a Milano il 18 genn. 1938

PAOLO ANTONINI,armatore
http://cronologia.leonardo.it/gariba/gar17.htm
 A Paolo Antonini. – Genova)
(*) Montevideo, 27 dicembre 1847.
« Carissimo,
« Ho ricevuta la grata vostra del 2 agosto, e sì tardi io vi rispondo. – Quantunque mi conosciate poltrone da molto tempo, non é questo il motivo di non avervi scritto prima; ma bensì avendo divisato mandar la famiglia da molto tempo, volevo approfittare di tale occasione. Non fa d’uopo certamente raccomandarvela: troppo conosco la gentilezza del mio compadre; vi prego soltanto, in caso abbisogni (come suppongo) trasportarla in casa di mia madre in Nizza, vi compiacciate impegnarvi che le sia agevolato il passaggio per terra o per mare, comunque, a di lei piacimento. – Io pure, cogli amici, penso venire in Italia ad offrire i deboli servigi nostri, o al pontefice o al granduca di Toscana.
Indi avrò il bene d’ abbracciarvi. Qui si aspettano notizie d’Europa, e continua l’assedio.
I miei a saluti a Paolo e agli altri fratelli vostri, e agli amici. Amate il vostro
. « G. GARIBALDI
GIUSEPPE ANTONINI ,deputato http://storia.camera.it/deputato/giuseppe-antonini-1821INGEGNERE NATO A VARALLO NEL 1821 E DECEDUTO NEL 1869 DOPO QUALCHE GIORNO DI MALATTIA,PROGETTO’ LA FERROVIA NOVARA VARALLO,FU DEPUTATO AL PARLAMENTO ITALIANO
 

MATRONALIA ROMANA,FESTA DELLA DONNA @elisatrillyantonini

Il primo marzo 375 a.C., sull’Esquilino fu fondato il tempio di Giunone Lucina. Quel giorno (detto anche feminae Kalendae), secondo il più antico calendario romano, fatto risalire al tempo di Numa Pompilio, era il primo dell’anno e veniva celebrata la festa delle matrone (donne sposate), i “matronalia”. Protettrice di queste donne era appunto Giunone Lucina, che sovrintendeva ai parti e faceva venire alla “luce” i neonati (da qui il suo appellativo). A lei, proprio nel tempio sull’Esquilino, le matrone, che per l’occasione ricevevano doni dai loro mariti, portavano fiori e incenso, chiedendo la protezione durante il parto, un momento sentito come pericoloso per la vita delle partorienti. Il poeta Ovidio (Fasti, I) riporta la formula di questa richiesta di aiuto: ‘O Lucina, tu ci hai dato la luce/Tu sii propizia al desiderio delle partorienti’. Faceva parte dei festeggiamenti anche il fatto che le donne servivano a tavola gli schiavi: questo ribaltamento, che avveniva il primo giorno dell’anno, sottolineava che per il resto dei mesi ciascuna delle parti riprendeva il proprio ruolo. Concludiamo con una riflessione: all’inizio del mese di marzo, che prende il nome da Marte e vedeva la ripresa delle campagne militari, i romani festeggiavano, attraverso le donne, la famiglia e le nascite, non la forza virile.Nell’immagine, testa di Giunone (I d.C.).

@elisa antonini

HULDA,IL ROTOLO,LE PROFEZIE SUI TEMPI CUPI @alfredoantonini

hulda ed il rotolo

Il quadro storico:

Il giudaismo ha avuto sette profetesse,cinque definite occasionali e due,Huldah e Deborah,indicate come “profetesse professate”,come dire profetesse di ruolo o consuete.Tutta la storia antica dei figli di Eber ha vissuto del confronto tra pagani e yahwisti intesi come monoteisti ortodossi.Nel mezzo ci sono state varie forme intermedie con gente che sacrificava al tempio ma anche si rivolgeva a divinità pagane.Stabilire il confine tra pagani e monoteisti è spesso difficile,variabile a seconda del momento storico e subordinato alle fonti.Ora ecco gli antefatti della storia di Hulda ed il rotolo.

Ezechia:

Correva l epoca del primo tempio,il primo di Gerusalemme mentre uno precedente edificato a Silo,che era la capitale in quel momento, era stato distrutto dai Filistei.In quanto a capitali del regno unificato vengono anche citate : Gibeah durante il regno di Saul.Mahanaim durante il regno di regno di Is Baal.Hebron e dopo Gerusalemme con Davide

.Ad un certo punto fu re Ezechia che significa “Dio mi rese forte”. https://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=2Re18%2C2&formato_rif=vp : Quando egli divenne re, aveva venticinque anni; regnò ventinove anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abi, figlia di Zaccaria.Secondo l evangelista Matteo,Ezechia era parte della genealogia di Gesu quando Acaz generò Ezechia https://www.lachiesa.it/bibbia.php?ricerca=citazione&Cerca=Cerca&Versione_CEI2008=3&Versione_CEI74=1&Versione_TILC=2&VersettoOn=1&Citazione=Mt%201,1-17

La storicita di Ezechia è estremamamente probabile considerato che gli archeologi hanno rinvenuto suoi sigilli LMLK http://www.lmlk.com/research/ oltre alle fonti bibliche che lo nominano

Durante il regno precedente,quello di suo padre,aveva ripreso corpo il politeismo e la gente aveva anche cominciato ad offrire doni al serpente, rievocativo,d oro,qualche fonte riporta che era d argento, qua in riferimento allo svolgersi dell evento,non alla rievocazione, dice di rame https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Numeri+21%2C4-9&versioni[]=C.E.I..Famiglia Cristiana dice quello rievocativo fatto di bronzo https://www.famigliacristiana.it/blogpost/il-serpente-innalzato.aspx .Costruito da Mose ma non con l intento di farlo idolatrare come invece stava accadendo.Ezechia fece distruggere il serpente per contrastare questa pratica.

Quindi presumo che quello rievocativo poi fosse in oro o argento o bronzo((https://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=2Re18) 1(Nell’anno terzo di Osea figlio di Ela, re di Israele, divenne re Ezechia figlio di Acaz, re di Giuda. 2 Quando egli divenne re, aveva venticinque anni; regnò ventinove anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abi, figlia di Zaccaria. 3 Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, secondo quanto aveva fatto Davide suo antenato. 4 Egli eliminò le alture e frantumò le stele, abbattè il palo sacro e fece a pezzi il serpente di bronzo, eretto da Mosè),mentre l episodio si svolse con il rame.

Il re virtuoso:

https://www.newadvent.org/cathen/05737a.htm (Driscoll, J.F. (1909). Ezechias. In The Catholic Encyclopedia. New York: Robert Appleton Company. Retrieved June 9, 2023 from New Advent: http://www.newadvent.org/cathen/05737a.htm): Apprendiamo da 2 Re, capitolo 18, che iniziò il suo regno nel terzo anno di Osee, re d’ Israele . Il resoconto del suo regno è irto di difficoltà cronologiche irrisolte, ed esiste una divergenza di opinioni tra gli studiosi sull’anno in cui salì al trono. Il calcolo comunemente ricevuto calcola il suo regno dal 726 al 697 aC Per carattere e politica, Ezechia era pio e gradito a Dio. Fu uno strenuo riformatore civile e religioso, e per questo lo scrittore sacro lo paragona al re Davide. Gli avvenimenti del suo regno sono narrati nel Quarto Libro dei Re, e anche nel racconto parallelo del Secondo Libro delle Cronache, ma in quest’ultimo, come ci si potrebbe aspettare, l’accento è posto soprattutto sulle riforme religiose che attuò, mentre il racconto precedente li menziona brevemente e si sofferma più a lungo sugli aspetti civili e politici del suo regno.

Il riformista:

Tra le riforme religiose si ricordano la purificazione del Tempio, che era stato chiuso da Achaz, l’irreligioso predecessore di Ezechia (II Cronache 28-29), la ripresa e la corretta celebrazione della festa della Pasqua che era stata trascurata (II Cronache 30)(non certa storicità), e in generale l’estirpazione dell’idolatria e la riorganizzazione del culto ebraico ( 2 Samuele 18 , 2 Cronache 31). 

In un titolo prefisso al venticinquesimo capitolo dei Proverbi, si afferma che i detti contenuti nella seguente raccolta (25-29) furono copiati dagli “uomini di Ezechia”. Ciò sembrerebbe indicare, da parte del re, un interesse e un’attività letteraria, e nella tradizione talmudica a questi “uomini di Ezechia” viene attribuita la composizione di diversi libri dell’Antico Testamento. Subito dopo la sua ascesa al trono, Ezechia si liberò dal giogo degli Assiri,di cui suo padre era diventato vassallo ( 2 Samuele 18 ). Altri eventi degni di nota del suo regno sono la sua malattia e il miracolo , l’ambasciata di Berodach Baladan e l’invasione di Sennacherib. La storia della malattia di Ezechia è narrata in 2 Re 20 , e in Isaia 28 .

Il regno pagano:

Dobbiamo considerare che invece nel regno del Nord o Casa di Israele,altre volte compare come Casa di Giuseppe, al contrario erano le tendenze non pagane ad essere contrastate.Per impedire che i suoi abitanti seguitassero ad andare in pellegrinaggio a Gerusalemme erano stati costruti due santuari a Betel ed a Dan dedicati al simbolo cananaico del vitello.Nel medesimo Nord c era molta instabilita politica,si succedevano diverse dinastie e c erano colpi di stato,violenze e massacri.In Giudea a parte la morte violenta del Re Amazia la situazione era piu tranquilla

Involuzione:

I Successori di Ezechia, Manasse ed Amon ebbero nuovamente derive involutive rispetto al monoteismo.Fino al loro successore Giosia.

https://www.churchofjesuschrist.org/study/scriptures/ot/2-kgs/21?lang=ita \ 1Manasse aveva dodici anni quando cominciò a regnare, e regnò cinquantacinque anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Hefziba.Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, seguendo le abominazioni delle nazioni che l’Eterno aveva cacciato davanti ai figli d’Israele.….1Amon aveva ventidue anni quando cominciò a regnare, e regnò due anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Meshullemet, figlia di Haruz di Jotba.20 Egli fece ciò che è male agli occhi dell’Eterno, come aveva fatto Manasse suo padre;

Giosia un altro virtuoso:

https://www.biblegateway.com/passage/?search=2%20Cronache%2034&version=CEI 34 Quando Giosia divenne re, aveva otto anni; regnò trentun anni in Gerusalemme. Egli fece ciò che è retto agli occhi del Signore e seguì le strade di Davide suo antenato, senza fuorviare in nulla.

Giosia tenta una riconquista dei territori del nord a seguito del declino dell impero assiro.Promuove una riforma religiosa ed il restauro del tempio.Episodio importantissimo,frutto di verità o solo utile a giustificare la politica di Giosia non è possibile stabilirlo,accade questo :

3 Nell’anno diciotto del suo regno, Giosia mandò Safàn figlio di Asalia, figlio di Mesullàm, scriba, nel tempio dicendogli: 4 «Va’ da Chelkia sommo sacerdote; egli raccolga il denaro portato nel tempio, che i custodi della soglia hanno raccolto dal popolo. 5 Lo consegni agli esecutori dei lavori, addetti al tempio; costoro lo diano a quanti compiono le riparazioni del tempio, 6 ossia ai falegnami, ai costruttori e ai muratori e l’usino per acquistare legname e pietre da taglio occorrenti per il restauro del tempio. 7 Non c’è bisogno di controllare il denaro consegnato nelle mani di costoro, perché la loro condotta ispira fiducia».

La scoperta:

8 Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba Safàn: «Ho trovato nel tempio il libro della legge». Chelkia diede il libro a Safàn, che lo lesse. 9 Lo scriba Safàn quindi andò dal re e gli riferì: «I tuoi servitori hanno versato il denaro trovato nel tempio e l’hanno consegnato agli esecutori dei lavori, addetti al tempio». 10 Inoltre lo scriba Safàn riferì al re: «Il sacerdote Chelkia mi ha dato un libro». Safàn lo lesse davanti al re. 11 Udite le parole del libro della legge, il re si lacerò le vesti. 12 Egli comandò al sacerdote Chelkia, ad Achikam figlio di Safàn, ad Acbor figlio di Michea, allo scriba Safàn e ad Asaia ministro del re:

 13 «Andate, consultate il Signore per me, per il popolo e per tutto Giuda, intorno alle parole di questo libro ora trovato; difatti grande è la collera del Signore, che si è accesa contro di noi perché i nostri padri non hanno ascoltato le parole di questo libro e nelle loro azioni non si sono ispirati a quanto è stato scritto per noi».
14 Il sacerdote Chelkia insieme con Achikam, Acbor, Safàn e Asaia andarono dalla profetessa Culda(
Hulda) moglie di Sallù https://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=2+Re22-23%2C+35&formato_rif=vp

La profetessa Hulda ed il rotolo:

Chi era Hulda ? Era profetessa,la moglie di Shallum, custodiva il guardaroba al tempo del re Giosia.Stava di casa nel secondo quartiere di Gerusalemme. Godeva di grande considerazione come profetessa,Chelkia.ha trovato il rotolo della Legge, con quattro collaboratori , lo portò a lei. 

https://www.biblegateway.com/passage/?search=2%20Cronache%2034&version=CEI 22 Chelkia insieme con coloro che il re aveva designati si recò dalla profetessa Culda (Hulda) moglie di Sallùm, figlio di Tokat, figlio di Casra, il guardarobiere; essa abitava nel secondo quartiere di Gerusalemme. Le parlarono in tal senso 23 ed essa rispose loro: «Dice il Signore Dio di Israele: Riferite all’uomo che vi ha inviati da me: 24 Dice il Signore: Ecco, io farò piombare una sciagura su questo luogo e sui suoi abitanti, tutte le maledizioni scritte nel libro letto davanti al re di Giuda, 25 perché hanno abbandonato me e hanno bruciato incenso ad altri dei provocandomi a sdegno con tutte le opere delle loro mani. La mia collera si accenderà contro questo luogo e non si potrà spegnere. 26 Al re di Giuda, che vi ha inviati a consultare il Signore, riferirete: Dice il Signore, Dio di Israele: A proposito delle parole che hai udito, 27 poiché il tuo cuore si è intenerito e ti sei umiliato davanti a Dio, udendo le mie parole contro questo luogo e contro i suoi abitanti; poiché ti sei umiliato davanti a me, ti sei strappate le vesti e hai pianto davanti a me, anch’io ho ascoltato. Oracolo del Signore! 28 Ecco, io ti riunirò con i tuoi padri e sarai deposto nel tuo sepolcro in pace. I tuoi occhi non vedranno tutta la sciagura che io farò piombare su questo luogo e sui suoi abitanti». Quelli riferirono il messaggio al re.

29 Allora il re inviò dei messi e radunò tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme. 30 Il re, insieme con tutti gli uomini di Giuda, con gli abitanti di Gerusalemme, i sacerdoti, i leviti e tutto il popolo, dal più grande al più piccolo, salì al tempio. Egli fece leggere ai loro orecchi tutte le parole del libro dell’alleanza, trovato nel tempio. 31 Il re, stando in piedi presso la colonna, concluse un’alleanza davanti al Signore, impegnandosi a seguire il Signore, a osservarne i comandi, le leggi e i decreti con tutto il cuore e con tutta l’anima, eseguendo le parole dell’alleanza scritte in quel libro. 32 Fece impegnare quanti si trovavano in Gerusalemme e in Beniamino. Gli abitanti di Gerusalemme agirono secondo l’alleanza di Dio, del Dio dei loro padri. 33 Giosia rimosse tutti gli abomini da tutti i territori appartenenti agli Israeliti; costrinse quanti si trovavano in Israele a servire il Signore loro Dio. Finché egli visse non desistettero dal seguire il Signore

Si tratta di un episodio gia comparso in https://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=2Re22%2C14-20&formato_rif=vp

Mosè:

https://www-jewishencyclopedia-com.translate.goog/articles/7696-hilkiah?_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it : Alla domanda sulla natura del rotolo e sulla causa dell’impressione che fece su Giosia, che ha suscitato critiche molto più alte, viene data una risposta molto semplice dai commentatori ebrei Rashi, Ḳimḥi e molti altri. Dicono che quando Acaz bruciò i rotoli della Legge, i sacerdoti di Yhwh ne nascosero una copia nel Tempio, e che Hilkiah la trovò mentre cercava l’argento. Il rotolo era aperto al passaggio Deut. xxviii. 36; ed era questo che terrorizzava Giosia. Kennicott (“Heb. Text”, ii. 299) cerca di dedurre da II Chron. XXXIV. 14 che Chelkia trovò la copia originale autografa di Mosè.

Molti ritengono che il rotolo trovato è una prima versione del Deuteronomio o il Deuteronomio stesso.Hulda aveva di fatto certificato l autenticita del rotolo.La profezia si avvererà di li a qualche tempo,comunque dopo la morte di Giosia come predetto ,con la deportazione dei giudei a Babilonia.La questione perenne è se la profezia è stata scritta o modificata post eventum.

Profezia circa la distruzione del primo tempio,quella di Hulda ,che durante il medio giudaismo troverà le sue omologhe questa volta circa il secondo tempio con profezie antiche e nuove :

Profezie antiche:Daniele 9

Daniele 9 (24 Settanta settimane sono fissate per il tuo popolo e per la tua santa città per mettere fine all’empietà,mettere i sigilli ai peccati, espiare l’iniquità,portare una giustizia eterna,suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei santi.25 Sappi e intendi bene,da quando uscì la parola il ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme fino a un principe consacrato,vi saranno sette settimane.Durante sessantadue settimane saranno restaurati, riedificati piazze e fossati,e ciò in tempi angosciosi.26 Dopo sessantadue settimane,un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui;il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario;la sua fine sarà un’inondazione e, fino alla fine,guerra e desolazioni decretate.27 Egli stringerà una forte alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana,farà cessare il sacrificio e l’offerta;sull’ala del tempio porrà l’abominio della desolazione e ciò sarà sino alla fine, fino al termine segnato sul devastatore )

Profezie nuove:Matteo 24

Matteo 24 (15 Quando dunque vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo – chi legge comprenda -, 16 allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, 17 chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, 18 e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 19 Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. 20 Pregate perché la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato.21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall’inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà. 22 E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati.)

Profezie nuove:Luca 20

Luca 20 (20 Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. 21 Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; 22 saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia.23 Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo.

E cosi prosegue:24 Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti.25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.27 Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina)

Altra profezia nuova:Marco 13

Marco 13 (14 Quando vedrete l’abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge capisca, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano ai monti; 15 chi si trova sulla terrazza non scenda per entrare a prender qualcosa nella sua casa; 16 chi è nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17 Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni! 18 Pregate che ciò non accada d’inverno; 19 perché quei giorni saranno una tribolazione, quale non è mai stata dall’inizio della creazione, fatta da Dio, fino al presente, né mai vi sarà. 20 Se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessun uomo si salverebbe. Ma a motivo degli eletti che si è scelto ha abbreviato quei giorni)

Considerazioni:

Lo studio dei “manoscritti di Qumran” scoperti tra 1947 e 1956 ha permesso di sapere che gli esseni, nel documento 11Qmelch 7-8, riuscirono a definire un lasso di tempo in cui sarebbe apparso il Messia. Gli studi di Wacholder sul cronomessianismo sabbatico e di Beckwith affermano fosse atteso tra il 10 a.C. e il 2 d.C.. Base di questo calcolo è la profezia delle 70 settimane” Wikipedia

Mentre Luca di quale liberazione parla al versetto 28 ?

Il problema rimane quello di stabilire se le profezie sono state redatte post eventum oppure no.Chi vorrà credere alle profezie continuerà a farlo e chi no troverà ogni modo per sostenere la sua visione.

Qua potete trovare un parere circa se alcune profezie sono credibili : https://lanuovabq.it/it/gerusalemme-devastata-la-profezia-piu-scandalosa. Per qualcosa su altre profezie :

https://antoniniintheworld.altervista.org/gesue-le-profezieipotesi-ed-errori-aggiornatoalfredo-antonini/

@alfredoantonini

GESU E L’ERA DEL SECONDO TEMPIO @alfredontonini

Sebbene da un lato la figura di Gesu è messianica quindi prossima all ala nazionale religiosa ebraica,egli non si dichiara avverso alla ricostituzione del Regno di Israele ma in modo che oggi si potrebbe definire ghandiano(in realtà il Cristo precede di molto Ghandi),sebbene anche non è una figura ellenizzante,tuttavia non è puramente ascrivibile ad una delle correnti del giudaismo medio del secondo tempio.Non credo neppure che rappresenta una corrente in piu,piuttosto con la sua applicazione meno rigida della Legge,probabilmente riforma e si aggancia all ebraismo del primo tempio.Il battesimo con acqua era un uso pre cristiano del mondo ebraico enochico messianista ma non del gruppo farisaico che io sappia.Detto questo è un bel problema districare osseani,esseni,terapeuti e qumruniti nonche il momento della loro comparsa.

Gesù un riformatore dell ebraismo originale precedente al secondo tempio,quindi come portatore di una dottrina ulteriore derivata dalla primigenia e non una semplice evoluzione di quella successiva sinedrita https://antoniniintheworld.altervista.org/la-differenza-tra-gesu-e-paolo-di-tarsoalfredoantonini/

La situazione dei figli di Eber nel quadro del ritorno è piuttosto parcellizzata.I ritornati si considerano “il resto di Israele”,coloro che hanno mantenuto la purezza della fede e quella etnica.Si trovano di fronte coloro rimasti che non rappresentano piu l ebraismo originale per via dei matrimoni misti e della immigrazione di genti esterne deportate che danno vita ad una miscela etnica e ad un sincretismo religioso dove all interno gli interessi sono contrapposti. Gli stessi ex esiliati sono divisi in piu correnti politico religiose.

Una parte del territorio era controllata dalla dinastia samaritana dei Sanballat .

Samaritani,https://www.treccani.it/enciclopedia/samaritani_%28Dizionario-di-Storia%29/“Popolazione dell’antica Palestina settentrionale, sorta dalla fusione degli israeliti rimasti nel Paese, dopo la deportazione di parte della popolazione da parte degli assiri nel 721 a.C., con le popolazioni da questi condotte nella zona di Samaria. Invisi agli ebrei per la loro mescolanza etnica e l’eterodossia religiosa, i s. non subirono in un primo momento persecuzioni da parte dei romani; ma in seguito molti di loro furono uccisi sia da Ponzio Pilato, in occasione di un’adunata, non permessa, sul monte Garizim, sia durante la guerra di Vespasiano.

La religione praticata dai samaritani è in parte simile a quella ebraica: gli assiri inviarono infatti un sacerdote ebreo per istruirli nella religione d’Israele. Inizialmente tuttavia si ebbero pratiche idolatriche. Intorno al 320 a.C. i s. costruirono sul monte Garizim un tempio a Yahweh, contrapposto a quello di Gerusalemme; tale tempio fu distrutto nel 128 a.C. da Giovanni Ircano. Accanto alla legge scritta, rappresentata dal Pentateuco, i s. conoscono una legge orale, solo tardi e parzialmente redatta, caratterizzata essenzialmente dall’attesa messianica del Taheb, riformatore che instaurerà il regno di Dio sulla terra per 1000 anni. La lingua samaritana è una forma di ebraico e la letteratura samaritana ha carattere quasi esclusivamente liturgico: commenti al Pentateuco, rituali, omelie.” .Erano contrari alla ricostruzione del tempio.

Dopo avere cercato inutilmente di bloccare la ricostruzione avevano messo da parte molti aspetti del sincretismo pagano tornando verso una forma piu pure di ebraismo ma permanevano avversi alla costituzione di un potere autonomo in Giudea perchè sminuiva il loro potere.Cercarono quindi di partecipare alla gestione del tempio attraverso una politica di matrimoni con i sadociti.

Secondo Sacchi dal punto di vista socio-culturale il sadocitismo prende forma nel circolo di Ezechiele .Ha una origine esilica che si sviluppa in Israele, in concomitanza con l’affermazione e
l’evoluzione dell’istituzione del Sommo sacerdozio sadocita. Fondato sulla centralità dell’Alleanza mosaica.potrebbe prendere il nome da Sadok, un gruppo che era inerito nella classe levitica (sacerdotale) che, secondo la teologia di Ezechiele, non si è macchiato di peccato come invece fatto dagli altri discendenti di Levi. Ne parla Ezechiele 48,10-11 10 Ai sacerdoti apparterrà la parte sacra del territorio, venticinquemila cubiti a settentrione e diecimila di larghezza a ponente, diecimila cubiti di larghezza a oriente e venticinquemila cubiti di lunghezza a mezzogiorno. In mezzo sorgerà il santuario del Signore. 11 Essa apparterrà ai sacerdoti consacrati, ai figli di Zadòk, che furono fedeli alla mia osservanza e non si traviarono nel traviamento degli Israeliti come traviarono i leviti.https://www.biblegateway.com/passage/?search=Ezechiele%2048&version=CEI

Il primo Sommo Sacerdote fu Aronne ,https://www.biblegateway.com/passage/?search=1%20Cronache%205&version=CEI27 -6,1-Figli di Levi: Gherson, Keat e Merari. 28 -2-Figli di Keat: Amram, Isear, Ebron e Uzzièl. 29 -3-Figli di Amram: Aronne, Mosè e Maria. Figli di Aronne: Nadàb, Abìu, Eleàzaro e Itamar. 30 -4-Eleàzaro generò Pincas(Fineas); Pincas generò Abisuà; 31 -5-Abisuà generò Bukki; Bukki generò Uzzi; 32 -6-Uzzi generò Zerachia; Zerachia generò Meraiòt; 33 -7-Meraiòt generò Amaria; Amaria generò Achitòb; 34 -8-Achitòb generò Zadòk; Zadòk generò Achimàaz; 35 -9-Achimàaz generò Azaria; Azaria generò Giovanni; 36 -10-Giovanni generò Azaria, che fu sacerdote nel tempio costruito da Salomone in Gerusalemme. 37 -11-Azaria generò Amaria; Amaria generò Achitòb; 38 -12-Achitòb generò Zadòk; Zadòk generò Sallùm; 39 -13-Sallùm generò Chelkia; Chelkia generò Azaria; 40 -14-Azaria generò Seraià; Seraià generò Iozadàk. 41 -15-Iozadàk partì quando il Signore, per mezzo di Nabucodònosor, fece deportare Giuda e Gerusalemme

Ai figli di Fileas (6 Ed ecco uno degli Israeliti venne e condusse ai suoi fratelli una donna madianita, sotto gli occhi di Mosè e di tutta la comunità degli Israeliti, mentre essi stavano piangendo all’ingresso della tenda del convegno. 7 Vedendo ciò, Fileas figlio di Eleazaro, figlio del sacerdote Aronne, si alzò in mezzo alla comunità, prese in mano una lancia, 8 seguì quell’uomo di Israele nella tenda e li trafisse tutti e due, l’uomo di Israele e la donna, nel basso ventre. E il flagello cessò tra gli Israeliti https://www.lachiesa.it/bibbia.php?ricerca=citazione&Citazione=Nm%2025&Versione_CEI74=1&Versione_CEI2008=3&Versione_TILC=2&VersettoOn=1 )viene proposta la continuita del Sacerdozio : Maggid Meisharim (di Rabbi Yosef Karo) p. 55b, Rashi al trattato sul Talmud Zvachim p. 101b.

Ma Fileas pecco’ cosi come dopo che l incarico lo assunse Eli,discendente diretto di Itamar figlio di Aronne, i figli di Eli peccarono

https://www.biblegateway.com/passage/search=1%20Samuele%202&version=CEI12 Ora i figli di Eli erano uomini depravati; non tenevano in alcun conto il Signore, 13 né la retta condotta dei sacerdoti verso il popolo. Quando uno si presentava a offrire il sacrificio, veniva il servo del sacerdote mentre la carne cuoceva, con in mano un forchettone a tre denti, 14 e lo introduceva nella pentola o nella marmitta o nel tegame o nella caldaia e tutto ciò che il forchettone tirava su il sacerdote lo teneva per sé. Così facevano con tutti gli Israeliti che venivano là a Silo. 15 Prima che fosse bruciato il grasso, veniva ancora il servo del sacerdote e diceva a chi offriva il sacrificio: «Dammi la carne da arrostire per il sacerdote, perché non vuole avere da te carne cotta, ma cruda». 16 Se quegli rispondeva: «Si bruci prima il grasso, poi prenderai quanto vorrai!», replicava: «No, me la devi dare ora, altrimenti la prenderò con la forza». 17 Così il peccato di quei giovani era molto grande davanti al Signore perché disonoravano l’offerta del Signore.Un altro Fineas era tra loro perche fratello di Ofni e figlio secondogenito di Eli-

Dopo, farò sorgere al mio servizio un sacerdote fedele che agirà secondo il mio cuore e il mio desiderio. Io gli darò una casa stabile e camminerà alla mia presenza, come mio consacrato per sempre.https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=1Samuele+2%2C35&versioni[]=C.E.I.

Fatto sta che Sadoc sarebbe il soggetto dell ultima profezia qua sopra e divenne Sommo Sacerdote ed i suoi discendenti presero l incarico anche dopo la ricostruzione del tempio.Fino a quando Giasone introdusse il programma di ellenizzazione scatenando una rivolta.

Non tutti,direi la maggioranza degli storici moderni sono concordi sulla ricostruzione in base alla quale i sadociti non erano discendenti di Aronne,nel senso che se lo sarebbero inventato loro con una interpolazione per giustificare il loro ruolo,vedi Zadok and Nehushtan https://www.jstor.org/stable/3259856 .

Anche i Samaritani avevano una linea sacerdotale a loro dire risalente ad Aronne http://houseofdavid.ca/samaritan_origin.htm#what_reall.A seguito della politica di matrimoni con i sadociti pare che si vada verso una ricomposizione tra samaritani ed esiliati ma cosi infine non accade perchè l esiliato Neemia si oppone drasticamente ai matrimoni misti e li vieta cosi che avviene la scissione definitiva.A questo scopo si basa sul censimento

NEEMIA 7HTTPS://WWW.LAPAROLA.NET/TESTO.PHP?RIFERIMENTO=NEEMIA+7&VERSIONI[]=NUOVA+RIVEDUTA CENSIMENTO DEGLI ISRAELITI TORNATI DALL’ESILIO CON ZOROBABELE= ED 2SL 123:1-4
1 «QUANDO LE MURA FURONO RICOSTRUITE E IO EBBI MESSO A POSTO LE PORTE, E I PORTINAI, I CANTORI E I LEVITI FURONO STABILITI NELLE LORO FUNZIONI, 2 DIEDI IL COMANDO DI GERUSALEMME AD ANANIA MIO FRATELLO, E AD ANANIA GOVERNATORE DELLA FORTEZZA, PERCHÉ ERA UN UOMO FEDELE E TIMORATO DI DIO PIÙ DI TANTI ALTRI. 3 E DISSI LORO: “LE PORTE DI GERUSALEMME NON SI APRANO PRIMA CHE IL SOLE SCOTTI; E MENTRE LE GUARDIE SARANNO ANCORA AL LORO POSTO, SI CHIUDANO E SI SBARRINO LE PORTE; E SI PONGANO A FARE LA GUARDIA GLI ABITANTI DI GERUSALEMME, CIASCUNO AL SUO TURNO E CIASCUNO DAVANTI ALLA PROPRIA CASA”. 4 LA CITTÀ ERA GRANDE ED ESTESA; MA DENTRO C’ERA POCA GENTE, E NON SI ERANO COSTRUITE CASE.
5 IL MIO DIO MI MISE IN CUORE DI RADUNARE I NOTABILI, I MAGISTRATI E IL POPOLO, PER FARNE IL CENSIMENTO. TROVAI IL REGISTRO GENEALOGICO DI QUELLI CHE ERANO TORNATI DALL’ESILIO LA PRIMA VOLTA, E VI TROVAI SCRITTO QUANTO SEGUE:
6 “QUESTI SONO QUELLI DELLA PROVINCIA CHE TORNARONO DALL’ESILIO; COLORO CHE NABUCODONOSOR, RE DI BABILONIA, AVEVA DEPORTATI, E CHE TORNARONO A GERUSALEMME E IN GIUDA, CIASCUNO NELLA SUA CITTÀ. 7 ESSI TORNARONO CON ZOROBABELE, IESUA, NEEMIA, AZARIA, RAAMIA, NAAMANI, MARDOCHEO, BILSAN, MISPERET, BIGVAI, NEUM E BAANA.
CENSIMENTO DEGLI UOMINI DEL POPOLO D’ISRAELE: 8 FIGLI DI PAROS, DUEMILACENTOSETTANTADUE. 9 FIGLI DI SEFATIA, TRECENTOSETTANTADUE. 10 FIGLI DI ARA, SEICENTOCINQUANTADUE. 11 FIGLI DI PAAT-MOAB, DEI FIGLI DI IESUA E DI IOAB, DUEMILAOTTOCENTODICIOTTO. 12 FIGLI DI ELAM, MILLEDUECENTOCINQUANTAQUATTRO. 13 FIGLI DI ZATTU, OTTOCENTOQUARANTACINQUE. 14 FIGLI DI ZACCAI, SETTECENTOSESSANTA. 15 FIGLI DI BINNUI, SEICENTOQUARANTOTTO. 16 FIGLI DI BEBAI, SEICENTOVENTOTTO. 17 FIGLI DI AZGAD, DUEMILATRECENTOVENTIDUE. 18 FIGLI DI ADONICAM, SEICENTOSESSANTASETTE. 19 FIGLI DI BIGVAI, DUEMILASESSANTASETTE. 20 FIGLI DI ADIN, SEICENTOCINQUANTACINQUE. 21 FIGLI DI ATER, DELLA FAMIGLIA D’EZECHIA, NOVANTOTTO. 22 FIGLI DI CASUM, TRECENTOVENTOTTO. 23 FIGLI DI BEZAI, TRECENTOVENTIQUATTRO. 24 FIGLI DI CARIF, CENTODODICI. 25 FIGLI DI GABAON, NOVANTACINQUE. 26 UOMINI DI BETLEMME E DI NETOFA, CENTOTTANTOTTO. 27 UOMINI DI ANATOT, CENTOVENTOTTO. 28 UOMINI DI BET-AZMAVET, QUARANTADUE. 29 UOMINI DI CHIRIAT-IEARIM, DI CHEFIRA E DI BEEROT, SETTECENTOQUARANTATRÉ. 30 UOMINI DI RAMA E DI GHEBA, SEICENTOVENTUNO. 31 UOMINI DI MICMAS, CENTOVENTIDUE. 32 UOMINI DI BETEL E DI AI, CENTOVENTITRÉ. 33 UOMINI DELL’ALTRO NEBO, CINQUANTADUE. 34 FIGLI DELL’ALTRO ELAM, MILLEDUECENTOCINQUANTAQUATTRO. 35 FIGLI DI CARIM, TRECENTOVENTI. 36 FIGLI DI GERICO, TRECENTOQUARANTACINQUE. 37 FIGLI DI LOD, DI CADID E DI ONO, SETTECENTOVENTUNO. 38 FIGLI DI SENAA, TREMILANOVECENTOTRENTA.
39 SACERDOTI: FIGLI DI IEDAIA, DELLA CASA DI IESUA, NOVECENTOSSESSANTATRÉ. 40 FIGLI DI IMMER, MILLECINQUANTADUE. 41 FIGLI DI PASCUR, MILLEDUECENTOQUARANTASETTE. 42 FIGLI DI CARIM, MILLEDICIASSETTE.
43 LEVITI: FIGLI DI IESUA E DI CADMIEL, DEI FIGLI DI ODEVA, SETTANTAQUATTRO. 44 CANTORI: FIGLI DI ASAF, CENTOQUARANTOTTO.
45 PORTINAI: FIGLI DI SALLUM, FIGLI DI ATER, FIGLI DI TALMON, FIGLI DI ACCUB, FIGLI DI CATITA, FIGLI DI SOBAI, CENTOTRENTOTTO.
46 NETINEI: FIGLI DI SICA, FIGLI DI CASUFA, FIGLI DI TABBAOT, 47 FIGLI DI CHEROS, FIGLI DI SIA, FIGLI DI PADON, 48 FIGLI DI LEBANA, FIGLI DI AGABA, FIGLI DI SALMAI, 49 FIGLI DI ANAN, FIGLI DI GHIDDEL, FIGLI DI GAAR, 50 FIGLI DI REAIA, FIGLI DI RESIN, FIGLI DI NECODA, 51 FIGLI DI GAZZAM, FIGLI DI UZZA, FIGLI DI PASEA, 52 FIGLI DI BESAI, FIGLI DI MEUNIM, FIGLI DI NEFISCESIM, 53 FIGLI DI BACBUC, FIGLI DI ACUFA, FIGLI DI CARUR, 54 FIGLI DI BAZLIT, FIGLI DI MEIDA, FIGLI DI CARSA, 55 FIGLI DI BARCO, FIGLI DI SISERA, FIGLI DI TEMA, 56 FIGLI DI NESIA, FIGLI DI CATIFA.
57 FIGLI DEI SERVI DI SALOMONE: FIGLI DI SOTAI, FIGLI DI SOFERET, FIGLI DI PERIDA, 58 FIGLI DI IALA, FIGLI DI DARCON, FIGLI DI GHIDDEL, 59 FIGLI DI SEFATIA, FIGLI DI CATTIL, FIGLI DI POCHERET-ASEBAIM, FIGLI DI AMON.
60 TOTALE DEI NETINEI E DEI FIGLI DEI SERVI DI SALOMONE, TRECENTONOVANTADUE.
61 ED ECCO QUELLI CHE TORNARONO DA TEL-MELA, DA TEL-ARSA, DA CHERUB-ADDON E DA IMMER, E CHE NON AVEVANO POTUTO STABILIRE LA LORO GENEALOGIA PATRIARCALE PER DIMOSTRARE CHE ERANO ISRAELITI: 62 FIGLI DI DELALIA, FIGLI DI TOBIA, FIGLI DI NECODA, SEICENTOQUARANTADUE. 63 TRA I SACERDOTI: FIGLI DI CABAIA, FIGLI DI ACCOS, FIGLI DI BARZILLAI, IL QUALE AVEVA SPOSATO UNA DELLE FIGLIE DI BARZILLAI, IL GALAADITA, E FU CHIAMATO CON IL LORO NOME. 64 QUESTI CERCARONO I LORO TITOLI GENEALOGICI, MA NON LI TROVARONO, E FURONO PERCIÒ ESCLUSI, COME IMPURI, DAL SACERDOZIO; 65 E IL GOVERNATORE DISSE LORO DI NON MANGIARE OFFERTE SACRE FINCHÉ NON SI PRESENTASSE UN SACERDOTE PER CONSULTARE DIO PER MEZZO DEGLI URIM E DEI TUMMIM.
66 LA COMUNITÀ TUTTA INSIEME COMPRENDEVA QUARANTADUEMILATRECENTOSESSANTA PERSONE, 67 SENZA CONTARE I LORO SERVI E LE LORO SERVE, CHE AMMONTAVANO A SETTEMILATRECENTOTRENTASETTE. AVEVANO PURE DUECENTOQUARANTACINQUE CANTANTI, MASCHI E FEMMINE. 68 AVEVANO SETTECENTOTRENTASEI CAVALLI, DUECENTOQUARANTACINQUE MULI, 69 QUATTROCENTOTRENTACINQUE CAMMELLI, SEIMILASETTECENTOVENTI ASINI.
70 ALCUNI DEI CAPI FAMIGLIA OFFRIRONO DEI DONI PER L’OPERA. IL GOVERNATORE DIEDE AL TESORO MILLE DRACME D’ORO, CINQUANTA COPPE, CINQUECENTOTRENTA VESTI SACERDOTALI. 71 TRA I CAPI FAMIGLIA CE NE FURONO CHE DIEDERO AL TESORO DELL’OPERA VENTIMILA DRACME D’ORO E DUEMILADUECENTO MINE D’ARGENTO. 72 IL RESTO DEL POPOLO DIEDE VENTIMILA DRACME D’ORO, DUEMILA MINE D’ARGENTO E SESSANTASETTE VESTI SACERDOTALI.
73 I SACERDOTI, I LEVITI, I PORTINAI, I CANTORI, LA GENTE DEL POPOLO, I NETINEI E TUTTI GLI ISRAELITI SI STABILIRONO NELLE LORO CITTÀ. QUANDO GIUNSE IL SETTIMO MESE, I FIGLI D’ISRAELE ERANO STABILITI NELLE LORO CITTÀ”».

Neemia non si trovava alle prese solo con le divergenze con i Sanballat samaritani ma anche con i proprietari terrieri,horim, ricchi come la dinastia ebraico ammonita dei Tobiadi.Questi horim prestavano denaro e quindi avevano molta influenza e vedevano male un contropotere in Giudea.

https://www.laparola.net/testo.php Neemia 6:1-14… Altri ostacoli miranti ad attirare Nehemia in un tranello, a calunniarlo e a indurlo a peccare
1 Quando Sanballat, Tobiah e Ghescem l’Arabo e gli altri nostri nemici seppero che io avevo ricostruito le mura e che non vi era più rimasta alcuna breccia (quantunque allora non avessi ancora messo i battenti alle porte), 2 Sanballat e Ghescem mi mandarono a dire: «Vieni e troviamoci assieme in uno dei villaggi della valle di Ono». Essi però pensavano di farmi del male. 3 Così io mandai loro dei messaggeri a dire: «Sto facendo un grande lavoro e non posso scendere. Perché si dovrebbe interrompere il lavoro, mentre io lo lascio per scendere da voi?». 4 Per ben quattro volte essi mi mandarono a dire la stessa cosa, e io risposi loro nello stesso modo. 5 Allora Sanballat mi mandò il suo servo a dirmi la stessa cosa per la quinta volta con in mano una lettera aperta, 6 nella quale stava scritto: «Corre voce fra le nazioni, e Gashmu l’afferma, che tu e i Giudei tramate di ribellarvi; perciò, secondo queste voci, tu stai ricostruendo le mura, per diventare il loro re, 7 e avresti persino stabilito dei profeti per fare la tua proclamazione a Gerusalemme, dicendo: “C’è un re in Giuda!” Ora, queste cose saranno riferite al re. Perciò vieni e consultiamoci assieme». 8 Ma io gli mandai a dire: «Le cose non stanno come tu vai dicendo, ma tu le inventi nella tua stessa mente». 9 Tutta quella gente infatti voleva farci paura e diceva: «Le loro mani lasceranno il lavoro che rimarrà incompiuto». Ora perciò, o DIO, fortifica le mie mani! 10 Io andai allora a casa di Scemaiah, figlio di Delaiah, figlio di Mehetabeel, che si era rinchiuso là dentro; egli mi disse: «Troviamoci assieme nella casa di DIO, dentro il tempio, e chiudiamo le porte del tempio, perché verranno ad ucciderti; essi verranno a ucciderti di notte». 11 Ma io risposi: «Può un uomo come me darsi alla fuga? Potrebbe un uomo simile a me entrare nel tempio per salvare la vita? No, io non entrerò». 12 Compresi poi che DIO non l’aveva mandato, ma aveva pronunciato quella profezia contro di me, perché Tobiah e Sanballat l’avevano pagato. 13 Era stato pagato proprio per questo: per farmi paura e indurmi ad agire in quel modo e a peccare, e così acquistare una cattiva fama e coprirmi di vergogna. 14 O mio DIO, ricordati di Tobiah e di Sanballat, per queste loro opere, e anche della profetessa Noadiah e degli altri profeti che hanno cercato di spaventarmi!

Siccome con il prestito di denaro gli stessi sinedriti erano condizionati la vicende prosegue in questo modo : Neemia 5,14 https://www.laparola.net/testo.php

1 Si alzò un gran lamento da parte della gente del popolo e delle loro mogli contro i loro fratelli Giudei. 2 Alcuni dicevano: «Noi, i nostri figli e le nostre figlie siamo numerosi; ci si dia il grano perché possiamo mangiare e vivere!». 3 Altri dicevano: «Dobbiamo impegnare i nostri campi, le nostre vigne e le nostre case per assicurarci il grano durante la carestia!». 4 Altri ancora dicevano: «Abbiamo preso denaro a prestito sui nostri campi e sulle nostre vigne per pagare il tributo del re. 5 La nostra carne è come la carne dei nostri fratelli, i nostri figli sono come i loro figli; ecco dobbiamo sottoporre i nostri figli e le nostre figlie alla schiavitù e alcune delle nostre figlie sono già state ridotte schiave; noi non abbiamo via d’uscita, perché i nostri campi e le nostre vigne sono in mano d’altri». 6 Quando udii i loro lamenti e queste parole, ne fui molto indignato. 7 Dopo aver riflettuto dentro di me, ripresi duramente i notabili e i magistrati e dissi loro: «Dunque voi esigete un interesse da usuraio dai nostri fratelli?». Convocai contro di loro una grande assemblea 8 e dissi loro: «Noi, secondo la nostra possibilità, abbiamo riscattato i nostri fratelli Giudei che si erano venduti agli stranieri e voi stessi vendereste i vostri fratelli ed essi si venderebbero a noi?». Allora quelli tacquero e non seppero che rispondere. 9 Io dissi: «Quello che voi fate non è ben fatto. Non dovreste voi camminare nel timore del nostro Dio per non essere scherniti dagli stranieri nostri nemici? 10 Anch’io, i miei fratelli e i miei servi abbiamo dato loro in prestito denaro e grano. Ebbene, condoniamo loro questo debito! 11 Rendete loro oggi stesso i loro campi, le loro vigne, i loro oliveti e le loro case e l’interesse del denaro del grano, del vino e dell’olio di cui siete creditori nei loro riguardi». 12 Quelli risposero: «Restituiremo e non esigeremo più nulla da loro; faremo come tu dici». Allora chiamai i sacerdoti e in loro presenza li feci giurare che avrebbero mantenuto la promessa. 13 Poi scossi la piega anteriore del mio mantello e dissi: «Così Dio scuota dalla sua casa e dai suoi beni chiunque non avrà mantenuto questa promessa e così sia egli scosso e vuotato di tutto!». Tutta l’assemblea disse: «Amen» e lodarono il Signore. Il popolo mantenne la promessa.
14 Di più, da quando il re mi aveva stabilito loro governatore nel paese di Giuda, dal ventesimo anno fino al trentaduesimo anno del re Artaserse, durante dodici anni, né io né i miei fratelli mangiammo la provvista assegnata al governatore

Per la prima volta, le decime del Tempio vengono destinate anche al personale più umile del tempio ossia i leviti. Questo rende definitivamente autonomo tutto il sistema di governo dei sadociti (e non solo i suoi vertici) dai Tobiadi e dagli horim.Neemia è stato anche colui che ha ricostruito le mura di Gerusalemme.Questo non significa che i Tobiadi escono di scena perchè in qualche modo partecipano lo stesso all esercizio del potere autonomo in Giudea laddove si crea un equilibrio che vede il Sommo Sacerdote appannaggio dei Saduciti ed il Governatore appannaggio dei Tobiadi.

Questi Sadociti poi Sadducei non sono privi di opposizione tra gli ex esiliati.C erano differenze teologiche nel giudaismo postesiliaco,anche politiche ,la piu nota è tra sadociti ed enochici https://www.piccolafamigliadellannunziata.it:
1. La creazione è buona è stabile. Secondo la visione sadocita la creazione non elimina le forze distruttive del male, ma le colloca dentro confini chiari. Le antiche narrazioni che l’Autore sacerdotale aveva ereditato dalla precedente tradizione giudaica parlavano di un equilibrio instabile, di un universo sempre sull’orlo del collasso. Pensiamo a Gen 6, 5-7. 13… quando i “figli di Dio” oltrepassano il confine tra cielo e terra e gli uomini fecero ciò che è male agli occhi di Dio. Per un momento sembra che con il diluvio il caos possa riconquistare il mondo.All’autore sacerdotale preme sottolineare bene che questo non si ripetera mai più. L’alleanza di Noè (Gen 9,8-11) è tra Dio e la terra ed assicura che l’ordine di Dio è per sempre.Nello stesso tempo Dio non sta con le mani in mano ma prende ogni misura per proteggere l’ord inedella creazione: misure ordinarie e misure straordinarie come quella di permettere al re di Babilonia di
distruggere il santuario (2Cron 36, 11,21). A differenza delle antiche tradizioni (da cui proviene il tema del diluvio) secondo l’ideologia sadocita Dio è perfettamente in grado di controllare e reprimere ogni ribellione senza distruggere l’ordine e l’integrità della creazione (come invece potrebbe accadere col diluvio). In questo senso i sadociti non sono né degli apocalittici che attendono o pensano ad una “fine deitempi” e ad “una nuova creazione”, né sono dei catastrofisti, che ritengono che per correggere l’uomo Dio è costretto a distruggere la sua creazione. Il mondo è e rimane per loro l’universo buono e ordinato creato da Dio e non c’è alcun motivo per cui quest’ultimo debba distruggere la più perfetta delle sue
opere.

1. L’elemento centrale del Giudaismo enochico è una certa concezione del male, inteso come realtà autonoma, precedente il libero arbitri dell’uomo, risultato di una contaminazione che corrompe la natura umana “prima del principio della storia” (P. Sacchi). Secondo il Libro dei Vigilanti (LV) all’indomani della
creazione un gruppo di angeli si ribella a Dio, infrange il confine tra cielo e terra, si uniscealle donne mortali, genera giganti e diffonde conoscenze che dovevano restare segrete. Dio reagisce con il diluvio,ma il cosmo nonostante questo non torna alla sua perfezione originaria. La sua restaurazione completa èrimandata all’escatologia.

Qui ci sono delle chiare posizioni antisadocite: a) Sempre contro la concezione sadocita distabilità e ordine della creazione viene introdotto il concetto di “fine dei giorni”, cioèl’idea che la storia va verso il giudizio finale diDio, un evento cataclismatico che segna la fine della prima creazione l’inizio di quella nuova.Questa idea che la creazione di Dio abbia non solo un inizio ma anche una fine, oggi è diffusa(sia nel giudaismo che nel cristianesimo), ma non è presente nella prospettiva sadocita della creazione.

Perché mai Dio – si potrebbe domandare il giudaismo sadocita – dovrebbe rifare ciò che ha fatto in modo così perfetto? Vedi i primi capitoli di Genesi, e il ripetersi puntuale dell’espressione “Dio vide che era cosa buona…” che è sadocitismo puro. Al contrario per gli enochici la creazione contiene un germe radicale di corrosione. b) L’ordine e la stabilità della creazione tipica del pensiero sadocita è negata. La creazione è corrotta. Gli uomini sono più vittime che autori del male. Ergo: poiché l’Alleanza presuppone un pieno esercizio del libero arbitrio da parte dell’uomo, essa viene vanificata. E infatti nei testi enochici la legge di Mosé è ignorata c) Viene messa apertamente in discussione la legittimità del sacerdozio sadocita, che è al potere.

Gerusalemme è al centro della terra (LV 26, 1-2), ma la sua santità rifulge solo in prospettiva escatologica. Il presente è impurità. Conferendo a Enoc le funzioni sacerdotali di intercessore tra cielo e terra si viene a dire che esiste un sacerdozio più puro
perché pre-aronita (su cui si fonda invece il sacerdozio dei sadociti). In concreto si vuole distruggere il fondamento sinaitico del potere sacerdotale sadocita (che appunto è cosa più recente, cioè viene dopo Enoc). Insomma i sadociti sono degli usurpatori.

2) sadociti :L’uomo è responsabile delle proprie azioni e Dio retribuisce individualmente. Gli uomini hanno il dovere e la capacità di mantenere la distinzione tra bene e male, sacro e profano, puro e impuro; perciò ogni generazione è responsabile delle proprie azioni. Le antiche tradizioni garantivano a Dio un ampio margine di discrezione nel dispensare ricompense e punizioni nell’arco di svariate generazioni e non costituiva problema la questione della responsabilità collettiva ossia che il colpevole fosse punito con l’intera famiglia o gruppo sociale di appartenenza (Gs7,24-26). Ad un certo punto le cose cominciano a
cambiare. E la legislazione deuteronomistica vietò questa pratica: “Non si metteranno a morte i padri per una colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per una colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato”(Dt 24, 16; 2 Re 14,6).Ma restava però la discrepanza tra la giustizia divina e la giustizia umana: Dio agiva secondo modalità che per gli uomini potevano essere ingiuste. Geremia segnala bene il
problema e Ezechiele lo risolve in Ez 18,2-4 e Ez 18,20:“Voi dite: perché il figlio non sconta l’iniquità del padre?
Perché il figlio ha agito secondo giustizia e rettitudine, ha osservato tutte le mie leggi e le ha messe in pratica:perciò egli vivrà. Chi pecca morirà; il figlio non sconterà l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Sul giusto rimarrà la sua giustizia e sul malvagio la sua malvagità”. Nella loro riscrittura della storia ebraica malvagità”. Nella loro riscrittura della storia ebraica l’Autore sacerdotale e Cronache (= teologia sadocita) applicano scrupolosamente i principi di Ezechiele anche a
fondamento della giustizia divina. Nella reinterpretazione sadocita dell’alleanza mosaica, la responsabilità individuale diviene elemento centrale e di conseguenza i margini di discrezionalità e imprevedibilità dell’agire divino vengono molto limitati. Generazione dopo generazione, chiunque può solo dare a sé stesso la colpa per le proprie mancanze fisiche e morali. E Dio non manca di dare la ricompensa del giusto o la punizione del peccatore. L’ordine dei sadociti è così completamente soddisfatto: la disgrazia segue sempre alla trasgressione e il benessere è sempre segno di obbedienza

3)sadocita, Al centro dell’alleanza sinaitica ci sono il sacerdozio e il tempio di Gerusalemme.Nei libri dei Re (che precedonol’avvento dei sadociti) la fondazione del tempio fa da corollario alla promessa divina di regalità eterna fatta a Davide e ai suoi successori. Invece nell’ottica sadocita avviene un vero e proprio capovolgimento: e cioè la casa di Sadok prende il posto della casa di Davide, il sacerdozio si sostituisce alla monarchia e Aronne scavalca Mosè. Mentre la tradizione deuteronomistica sottolinea il valore
del culto come un memoriale per le future generazioni (Dt16,3; 16, 9-12; Es 13, 3-10; ecc), per la tradizione sadocita il culto concerne non la memoria umana ma quella divina,affinché Dio continui a ricordare e a sostenere l’ordine divino della creazione.Dal momento che il male e l’impurità – volontariamente o
involontariamente, a livello individuale o collettivo – non possono essere evitati il culto svolge una funzione anche nel provvedere rituali di espiazione e purificazione (in modo da evitare la punizione divina).

Ad ognuno è offerta la possibilità di recuperare la propria purità a patto di adempiere a quanto richiesto per la purificazione.Il giorno dell’espiazione rappresenta l’apice del culto nel tempio e il culmine della teologia sadocita. In quell’occasione, cioè nel giorno più sacro dell’anno (yom kippur) la persona più sacra entrava nello spazio più sacro (il santo dei santi) per provvedere all’espiazione e alla purificazione dei peccati delle impurità di Israele. La santità e il potere di quel giorno stanno nel suo riallineare in una perfetta sincronia, anno dopo anno, la dimensione sociale, spaziale e temporale sulle quali è fondato l’ordine dell’universo (Jenson). Questo è il fine del tempio, della Torah e del sacerdozio giudaico.

Conclude Boccaccini “Dal loro ruolo di guardiani del più sacro luogo sulla terra,di interpreti delle leggi sacre,di ministri dei tempi sacri,i sadociti facevano derivare sia il loro potere al vertice delle società giudaica sia la loro responsabilità di aderire alle più strette regole di purità e al più alto grado di moralità. Vale a dire: dove noi vediamo conservatorismo sociale, orgoglio nazionale e ossessione per i dettagli del
culto, il sacerdozio gerosolimitano vi vede invece se stesso come gruppo scelto da Dio per un duro servizio a beneficio dell’intero cosmo. “Il Sommo sacerdote…e il resto del sacerdozio – scrive Jenson – erano la comunità umana su cui si fondava l’intera struttura del creato. Il loro servizio nel tempio garantiva la preservazione di ogni ordine esistente. Da essi dipendevano il popolo di Israele, e in ultima analisi l’esistenza dell’intero cosmo e dei suoi abitanti”

Nel periodo preesilico i profeti avevano un ruolo riconosciuto nella società monarchica e anche uno stretto l egame con il Tempio. Con l’avvento dei sadociti le cose cambiano. Sul piano teologico l’atteggiamento dei sadociti nei confronti di Mosè (il profeta per eccellenza) è ambiguo. Da un lato hanno bisogno di Mose per dare un fondamento divino al sacerdozio e al santuario, in questo senso il ruolo di Mosè al Sinai è esaltato. Ma una volta che la rivelazione è completata la tenda del convegno viene trasformata nel tabernacolo di Aronne (Es 40,1-35) e domina la linea aronita (sacerdotale) che taglia fuori la discendenza di Mosè (e con lui il profetismo) da ogni funzione sacerdotale In altre parole,con la fine della monarchia davidica e la centralizzazione del culto nelle mani del sacerdozio,scompare l’ambiente che per secoli aveva
alimentato il profetismo, il quale gradualmente viene riassorbito all’interno del potere sadocita.

Come la monarchia anche il profetismo diviene un’istituzione riverita del passato Gli enochici non sono l’unico partito(cioè un gruppo dotato di una sua propria ideologia) d’opposizione agli inizi del Secondo Tempio. Geremia si era augurato una coesistenza delle diverse autorità del giudaismo (Ger18,18: “la Torah non verrà mai meno ai sacerdoti, né il consiglio ai sapienti, né la parola ai profeti”). Di fatto questo equilibrio era possibile per la presenza della monarchia davidica alla cui autorità politica, religiosa amministrativa erano sottomessi sacerdoti, sapienti e profeti. Il sacerdozio sadocita mette fine alla
monarchia e al movimento profetico, ma si guarda bene dal cancellare i sapienti.

A differenza dell’enochismo,con i sapienti ci troviamo di fronte ad un giudaismo che nasce nel periodo monarchico, cioè prima del sacerdozio sadocita e indipendentemente da esso(cioè tutto il contrario dell’enochismo),e che fu capace di mantenere la sua autonomia nella società sadocita. il Giudaismo Sapienzale rientra in una corrente di pensiero molto diffusa in tutta l’area. Il riferimento principale sembrano essere i libri di Achicar,un sapiente assiro che scrive un testo un po’ analogo ai Proverbi, ma prima di quest’ultimo

C’è un ambiente ideale per lo sviluppo del.sapienzalismo. Se il tempio è in mano ai sadociti e non c’è spazio per nessun altro (inclusi i profeti che spariscono), la politica e l’amministrazione (prima persiana, poi tolemaica e infine seleucide) necessitano invece di una classe di amministratori. Così il ruolo di amministratori dei sapienti non viene meno, semplicemente cambia il destinatario del loro servizio. All’inizio è la monarchia davidica poi sono i sovrani stranieri che via via si succedono. Le amministrazioni straniere creano insomma una importante sponda politica per i sapienti, che li rende autonomi (dai sadociti). Di sponde economiche forse non ne avevano bisogno perché i sapienti erano dei gruppi legati ai proprietari terrieri e proprietari essi stessi (vedi il clan dei tobiadi)

Maimonide molto piu avanti dara un giudizio molto duro sui sadochiti.Se da un lato la distruzione del secondo tempio ad opera dei romani vedra la sconfitta degli zeloti e delle loro aspirazioni nazionali,ancora peggio andra ai loro nemici sadducei perche perderanno definitivamente l oggetto della loro esistenza,quel potere che in ultimo era garantito dai romani. Verranno infine sterminati dagli stessi zeloti e ci vorranno altri 1900 anni prima che il nazionalismo degli zeloti vedrà il successo del movimento sionista teorizzato sa Moses Hess e poi propagandato da Theodore Hertzl .Ma come si arriva a questo ? Come si afferma la nuova predominanza religiosa farisaica all interno del giudaismo rabbinico ?

Come abbiamo visto le concezioni teologiche enochiche vengono riaffermate dai farisei e dall ebraismo rabbinico nonche dal cristianesimo senza dimenticare quelli che furono altri movimenti come quello esseno,qumruniano,quello dei terapeuti,questi ultimi tre anche difficili da districare considerando le fonti molto contraddittorie tra loro.Questo conforta l ipotesi di collocare Gesu piu verso il versante enochico nazionale sebbene si tratta di una visione piu larga la sua e quindi non esclude qualche caratteristica sadducea ma soprattutto piu figlia di una volonta di riformare il primo ebraismo che quello del secondo tempio che di li a poco si dividera in giudaismo moderno e cristianesimo o meglio etnocristianesimo occidentale ed orientale con influenze classiche.

Basato sulla lettura di P. Sacchi, Storia delSecondo Tempio, ed. SEI 1994 e , Maccabei di Maurizio Serofilli 2017 “ P.Sacchi La storia del popolo ebraico dopo l’esilio”contenuto nella Introduzione generale alla Bibbia, Logos, 1

Serofilli : “.Alla morte di Alessandro Magno a spartirsi l impero sono i suoi generali. Antigono si impossessa della Macedonia e della Grecia Tolomeo dell’Egitto Seleuco della regione siro-babilonese .”

“La Palestina finisce sotto il dominio dei Tolomei dell’Egitto (battaglia di Gaza
contro i Siriani). Per tutto il III sec si sviluppano buone relazioni tra la Giudea e l’Egitto. Lo
stato tolemaico oltre che più unitario degli altri stati ellenisti, è florido e di questo la Guidea
trae vantaggio. Di questo c’è traccia negli archivi di un certo Zenone, un alto funzionario
regale dei Tolomei, che attorno al 260 intraprende un lungo viaggio in Palestina.
Interessante è che in questo viaggio l’ interlocutore di Zenone non è il potere religioso, cioè
il sacerdozio di Gerusalemme, ma il governatore laico della Giudea cioè un certo Tobia (un
buon nome iahwista), cioè un discendente dai Tobiadi.I tolomei diffondono l ellenismo.vengono imposti tributi dai quali i sacerdoti vengono esantati ma non il popolo”

Prosegue Serofilli “in una prima fase i Tobiadi riescono a gestire questa situazione complessa in sé e
contestata dal popolo (i sacerdoti sono esentati, il popolo no), ma ad un certo punto la
situazione si fa insostenibile e all’interno della stessa famiglia dei Tobiadi sorge una frattura
anche cruenta: da un lato Ircano (filoegiziano) dall’altro i suoi fratelli (filosiriani). La
spaccatura all’interno di questa famiglia, che è una vera istituzione perchè rappresenta i
vertici dello stato e assieme al Sommo sacerdote da lungo tempo governa la Giudea”

2 Macc 3 https://www.bibbiaedu.it/CEI2008/at/2Mac/3/

1Nel periodo in cui la città santa godeva completa pace e le leggi erano osservate perfettamente per la pietà del sommo sacerdote Onia e la sua avversione al male, 2gli stessi re avevano preso a onorare il luogo santo e a glorificare il tempio con doni insigni, 3 al punto che anche Seleuco, re dell’Asia, provvedeva con le proprie entrate a tutte le spese riguardanti il servizio dei sacrifici. 4Ma un certo Simone, della tribù di Bilga, nominato sovrintendente del tempio, venne a trovarsi in contrasto con il sommo sacerdote intorno all’amministrazione della città. 5Non riuscendo a prevalere su Onia, si recò da Apollònio di Tarso, che in quel periodo era governatore della Celesiria e della Fenicia, 6e gli riferì che il tesoro di Gerusalemme era colmo di ricchezze immense, tanto che l’ammontare delle somme era incalcolabile e non serviva per le spese dei sacrifici; era quindi possibile trasferire tutto in potere del re.
7Apollònio si incontrò con il re e gli riferì delle ricchezze a lui denunciate; quegli designò Eliodoro, l’incaricato d’affari, e lo inviò con l’ordine di effettuare la confisca delle suddette ricchezze. 8Eliodoro si mise subito in viaggio, in apparenza per visitare le città della Celesiria e della Fenicia, in realtà per eseguire l’incarico del re. 9Giunto a Gerusalemme e accolto con deferenza dal sommo sacerdote della città, espose l’informazione ricevuta e disse chiaro il motivo per cui era venuto; domandava poi se le cose stessero realmente così. 10Il sommo sacerdote gli spiegò che i depositi erano delle vedove e degli orfani, 11che una parte era anche di Ircano, figlio di Tobia, persona di condizione assai elevata, che l’empio Simone andava denunciando la cosa a suo modo, ma complessivamente si trattava di quattrocento talenti d’argento e duecento d’oro e 12che era assolutamente impossibile permettere che fossero ingannati coloro che si erano fidati della santità del luogo e del carattere sacro e inviolabile di un tempio venerato in tutto il mondo.
13Ma Eliodoro, in forza degli ordini ricevuti dal re, rispose recisamente che quelle ricchezze dovevano essere trasferite nell’erario del re. 14Venne, in un giorno da lui stabilito, per farne un inventario, mentre tutta la città era in grande agitazione. 15I sacerdoti, rivestiti degli abiti sacerdotali, si erano prostrati davanti all’altare ed elevavano suppliche al Cielo che aveva sancito la legge dei depositi, perché conservasse intatti questi beni a coloro che li avevano depositati. 16Chi guardava l’aspetto del sommo sacerdote sentiva uno strazio al cuore, poiché il volto e il cambiamento di colore ne mostravano l’intimo tormento. 17Tutta la sua persona era pervasa da paura e da un tremito del corpo, da cui appariva manifesta, a chi osservava, l’angoscia che aveva in cuore. 18Dalle case uscivano in folla per una pubblica supplica, perché il luogo santo stava per essere violato. 19Le donne, cinto sotto il petto il cilicio, riempivano le strade; anche le fanciulle, di solito ritirate, in parte accorrevano alle porte, in parte sulle mura, altre si sporgevano dalle finestre. 20Tutte, con le mani protese verso il Cielo, moltiplicavano le suppliche. 21Muoveva a compassione il pianto confuso della moltitudine e l’ansia tormentosa del sommo sacerdote. 22Supplicavano il Signore onnipotente che volesse conservare intatti, in piena sicurezza, i depositi per coloro che li avevano consegnati.
23Eliodoro però metteva ugualmente in esecuzione il suo programma. 24Ma appena fu arrivato sul posto con gli armati, presso il tesoro, il Signore degli spiriti e di ogni potere si manifestò con un’apparizione così grande, che tutti i temerari che avevano osato entrare, colpiti dalla potenza di Dio, si trovarono stremati e atterriti. 25Infatti apparve loro un cavallo, montato da un cavaliere terribile e rivestito di splendida bardatura, il quale si spinse con impeto contro Eliodoro e lo percosse con gli zoccoli anteriori, mentre il cavaliere appariva rivestito di armatura d’oro. 26Davanti a lui comparvero, inoltre, altri due giovani dotati di grande forza, splendidi per bellezza e meravigliosi nell’abbigliamento, i quali, postisi ai due lati, lo flagellavano senza posa, infliggendogli numerose percosse. 27In un attimo fu gettato a terra e si trovò immerso in una fitta oscurità. Allora i suoi lo afferrarono e lo misero su una barella. 28Egli, che era entrato poco prima nella suddetta camera del tesoro con numeroso seguito e con tutta la guardia, fu portato via impotente ad aiutarsi, dopo aver sperimentato nel modo più evidente la potenza di Dio. 29Così, mentre egli, prostrato dalla forza divina, giaceva senza voce e privo d’ogni speranza di salvezza, 30gli altri benedicevano il Signore, che aveva glorificato il suo luogo santo. Il tempio, che poco prima era pieno di trepidazione e confusione, dopo che il Signore onnipotente si fu manifestato, si riempì di gioia e letizia. 31Subito alcuni compagni di Eliodoro pregarono Onia che supplicasse l’Altissimo e impetrasse la grazia della vita a costui che stava irrimediabilmente esalando l’ultimo respiro. 32Il sommo sacerdote, temendo che il re avrebbe potuto sospettare che i Giudei avessero teso un tranello a Eliodoro, offrì un sacrificio per la salute di costui. 33Mentre il sommo sacerdote compiva il rito propiziatorio, apparvero di nuovo a Eliodoro gli stessi giovani adorni delle stesse vesti, i quali, restando in piedi, dissero: “Ringrazia ampiamente il sommo sacerdote Onia, per merito del quale il Signore ti ridà la vita. 34Tu poi, che hai sperimentato i flagelli del Cielo, annuncia a tutti la grande potenza di Dio”. Dette queste parole, disparvero. 35Eliodoro offrì un sacrificio al Signore e innalzò grandi preghiere a colui che gli aveva restituito la vita, poi si congedò da Onia e fece ritorno con il suo seguito dal re. 36Egli testimoniava a tutti le opere del Dio grandissimo, che aveva visto con i suoi occhi. 37Quando poi il re domandava a Eliodoro chi fosse adatto a essere inviato ancora una volta a Gerusalemme, rispondeva: 38“Se hai qualcuno che ti è nemico o insidia il tuo governo, mandalo là e l’avrai indietro flagellato per bene, se pure ne uscirà salvo, perché in quel luogo c’è veramente una potenza divina. 39Colui che ha la sua dimora nei cieli è custode e difensore di quel luogo, ed è pronto a percuotere e abbattere coloro che vi accedono con cattiva intenzione”. 40Così dunque si sono svolti i fatti relativi a Eliodoro e alla difesa del tesoro.

3,1 IL SOMMO SACERDOZIO E IL TEMPIO (3,1-5,20)
La vicenda di Eliodoro testimonia la grande potenza di Dio
3,2 Onia: Onia III, sommo sacerdote dal 198 al 175.3,3 Seleuco: Seleuco IV Filopàtore (187-175); re dell’Asia, cioè del regno dei Seleucidi. Vedi nota a 1Mac 8,6.3,4 la tribù di Bilga: una delle classi sacerdotali adibite al servizio del tempio (vedi Ne 12,5.18). sovrintendente del tempio: l’incaricato di amministrare i beni del tempio.3,5 Celesiria: la regione occidentale dell’impero seleucide, nella quale rientrava anche la terra di Canaan. Vedi nota a 1Mac 10,69.3,11 Ircano, figlio di Tobia: apparteneva alla famiglia dei Tobiadi, che abitava nella regione dell’Ammanìtide e che sotto i Tolomei aveva acquistato ricchezze e influenza politica. quattrocento talenti: il talento in uso presso gli ebrei pesava circa 33 kg, quello greco pesava poco più di 26 Kg. L’oro valeva 10 volte più che l’argento.3,15 Cielo: vedi nota a 1Mac 3,18.)

Serofilli : “La svolta finale di questa tensione si ha nel 175 a. C. quando il Sommo Sacerdote Onia III, filoegiziano, caccia il clan dei Tobiadi che in questa fase si erano invece avvicinati alla Siria. Questo evento deve aver avuto motivazioni politiche e teologiche profonde (che però ci sono ignote) e i fatti che seguono mostrano la portata di un gesto che rompe un sodalizio lunghissimo tra gli Oniadi (da cui usciva il SS) e i Tobiadi (dai quali sicuramente è uscito spesso il governatore). A seguito di questo evento un fratello di Onia, Giasone, va da dal nuovo sovrano della Siria Antico IV Epifane di Siria, che sta cercando soldi per pagare l’oneroso tributo imposto da Roma, e gli promette quelli del Tempio di Gerusalemme se questi lo avesse nominato Sommo Sacerdote. Inoltre (aspetto decisivo) si impegna per una certa ellenizzazione di
Gerusalemme.

Così Onia III viene spodestato e costretto ad andare in esilio a Dafne (173) dove verrà assassinato nel 171 e Giasone ottiene dal sovrano seleucide il Sommo sacerdozio. Anche se Giasone era di stirpe sadocita, il 173 a. C. può essere considerato l’anno della fine del sadocitismo. Giasone era uscito dalla tradizione avita (lesione della via ereditaria) e soprattutto ebbe come successore Menelao, un sacerdote ellenizzante, di stirpe non sadocita.

Gli oniadi superstiti si rifugiarono in egitto e non rientrarono in seguito

Serofilli : L’ellenizzazione coatta avviene solo qualche anno più tardi (tra il 169 e il 167 a. C.) ad opera di Antioco IV Epifane col sostegno del nuovo Sommo Sacerdote Menelao, un sacerdote di stirpe non sadocita (non di primo rango), che aveva comperato la carica di dallo stesso Antioco

Poi ci sono altri sacerdoti dello stesso gruppo (sadociti) che preferirono rifugiarsi nel deserto dando vita all’essenismo o ad una sua particolare componente e cioè Qumran. Secondo Sacchi, probabilmente l’essenismo è più antico e precede l’arrivo di questi sacerdoti (forse costituisce uno sviluppo della tradizione enochica, Libro dei Vigilanti), ma raggiunge quella vitalità di pensiero che tanta importanza ha avuto nel giudaismo (cioè la letteratura apocrifa e i testi di Qumran) solo quando si mischiò con la parte dei sadociti che aveva abbandonato la Gerusalemme contaminata dall’ellenismo.

Sacchi fa riferimento al Documento di Damasco scoperto a fine Ottocento nella sinagoga del Cairo e del quale alcuni frammenti sono stati trovati anche a Qunram, che parla della nascita di questo movimento dissidente: o quello degli esseni o quello di una sua parte (Qumran). Il movimento nasce attorno agli inizi del II secolo (si dice “390 anni dopo la distruzione di Gerusalemme da parte di Nabuccodonosor”) quando un gruppo di ebrei si rende conto che
la loro società stava smarrendo se stessa e qui il riferimento è sicuramente all’arrivo
 dell’ellenismo e alla sua ricezione (probabilmente di natura spontanea da parte delle istituzioni e della popolazione di Gerusalemme).

Quindi secondo Sacchi: già prima della fine del sadocitismo legittimo, un gruppo di ebrei si era staccato dalla comunità, ma con ungesto più negativo che positivo visto che per venti anni “sono come ciechi” cioè non sanno bene cosa fare. Dopo vent’anni dalla sua nascita, cioè attorno alla crisi scoppiata con
l’avvento del sommo sacerdote Menelao e l’uccisione di Onia III, a qs movimento si aggiunge un uomo indicato col nome di Maestro di giustizia (MdG). Questi, sacerdote e sadocita, raggiunge nel deserto la comunità e le detta le norme che la guideranno. Fino a non molto tempo fa al MdG venivano attribuite tutte le principali opere di Qumrano, mentre oggi si è più cauti. Questa figura entra in campo attorno al 170 a. C. ed è perseguitato dal nuovo sacerdozio filoellenista che ora governa il Tempio e dal suo capo
Menelao. S. tende a considerare il MdG più che il fondatore dell’essenismo quello di uno dei suoi gruppi/filoni dissidenti: Qumran. Il ruolo di questo gruppo nella sfera politica fu quasi nullo (fatta salva l’adesione finale alla lotta degli Zelanti contro i Romani a partire a metà degli anni 60 d. C. che porterà alla loro scomparsa) mentre fu rilevantissimo sul piano dottrinale, con conseguenze sul pensiero del secolo successivo e poi su quello di Gesù (mi riferisco ai testi cosiddetti apocrifi e ai testi di
Qumran).

Devo dire che sebbene ho riportato il pensiero di Sacchi ripreso dagli appunti di Serofilli non mi capacito come improvvisamente alcuni sadociti diventano enochici

Presso il villaggio di Modin, un anziano sacerdote della stirpe degli Asmonei https://web.archive.org/web/20080124054642/http://web.genealogie.free.fr/Les_dynasties/Antiquite/Proche-Orient/Dynastie_Asmoneenne.htm di nome Mattatia si rifiutò di celebrare il sacrificio di un maiale (animale considerato immondo dalla religione ebraica) e uccise un apostata ebreo preposto al nuovo culto, invitando subito dopo gli astanti a seguirlo sui monti, per organizzare la lotta contro i dominatori e i loro sostenitori ebrei. Mattatia morì poco tempo dopo, nel 166 a.C., e lasciò la guida del neonato movimento ai suoi cinque figli: Giovanni Gaddi, Simone Tassi, Giuda Maccabeo, Eleazaro Auaran e Gionata Affus. Fra loro primeggiò il terzogenito Maccabeo (martellatore) che fu il nome di battaglia di Giuda figlio di Mattatia, il primo leader dell’insurrezione anti-seleucide. Da lui vennero soprannominati Maccabei anche i suoi fratelli, che gli succedettero nella guida della rivolta, nonché, in generale, i loro parenti e sostenitori.

Per indicare i membri della dinastia che, a seguito della rivolta, si insediò a governare il neonato regno di Giudea, si è invece affermato il nome “Asmonei“, in riferimento ad un antenato di Giuda che si chiamava Asmon. Il fondatore della dinastia è considerato Simone, fratello di Giuda Maccabeo, che dal 141 a.C. ricoprì le cariche di sommo sacerdote del Tempio di Gerusalemme e di etnarca della Giudea. I dicendenti del figlio Simone diventerrano poi Re con Giovanni Ircano primo ed i suoi discendenti ma finiranno per dividersi con Giovanni Ircano secondo, ultimo vicino agli Asidei, dalla parte dei Farisei ed il fratello Aristobulo dalla parte dei Sadducei nonchè monarca degli Asmonei/Maccabei che regnarono fino al 37 ac.Sia Giuda Maccabeo (martellatore) che Simone furono Sommo Sacerdote.Gli Asidei finirono per dividersi in Farisei enochici nonche Zeloti

Qua l intreccio è molto complesso perchè piu volte gli Asidei “( termine derivato dalla voce greca ‘Ασιδαῖοι, con la quale si suole rappresentare, nel 1° e 2° libro dei Maccabei (v.), il termine ebraico ḥasīdīm (“pii”), quando esso designa gli appartenenti a un gruppo o partito giudaico. Gli Asidei, intendendo la voce in questo senso, compaiono per la prima volta come difensori della legge e del culto nazionale ebraico contro le tendenze ellenistiche ai tempi di Antioco Epifane. Da principio la loro resistenza fu puramente passiva, e molti di essi andarono incontro al martirio; poi, scoppiata l’insurrezione maccabaica sotto la guida di Mattatia e dei suoi figli, gli Asidei si collegarono con gl’insorti, ma pare abbiano continuato a costituire un gruppo a sé: tanto è vero che essi figurano tra coloro che si presentarono con intenzioni pacifiche al sommo sacerdote Alcimo, avversato da Giuda Maccabeo e dai suoi.

È verosimile che, dopo che gli Ebrei ebbero conseguito la libertà di culto e l’indipendenza nazionale, gli Asidei si ritirassero. Essi non compaiono più con questo nome, ma sono probabilmente da identificarsi con gli Asidei i santi (ὅσιοι) che appaiono nei Salmi di Salomone come oppositori dei monarchi Asmonei del sec. I a. C. Alcuni storici ritengono che continuatori degli Asidei siano i Farisei, altri gli Esseni. Nulla di particolare sappiamo intorno alla speciale dottrina e alla vita degli Asidei, né se essi si differenziassero dagli altri fedeli alla Legge più che per una maggiore esattezza nell’osservanza di essa “https://www.treccani.it/enciclopedia/asidei_%28Enciclopedia-Italiana%29/ ).

Cercarono un accordo, riuscendoci ,con Menelao che restava sommo sacerdote in cambio della liberta dei giudei di esercitare la religione senza coercizioni ellenizzanti.Fatto sta che invece i Maccabei Asmonei ripresero la battaglia fino alla vittoria

https://mb-soft.com/believe/tio/pharise2.htm : E ‘difficile affermare in quale momento i farisei, come partito, è sorto. Giuseppe Flavio prima li menziona in connessione con Jonathan, il successore di Giuda Maccabeo (“Ant.” Xiii. 5, § 9). Sotto Giovanni Ircano (135-105) appaiono come un potente partito opporsi alle tendenze Sadducee del re, che in precedenza era stato discepolo di loro, anche se la storia raccontata da Giuseppe Flavio è antistorica forse (“Ant.” Xiii. 10, § 5;. bozzetto Giubilei, Libro dei, e Testamento dei Dodici Patriarchi). 

La dinastia degli Asmonei, con le sue ambizioni e le aspirazioni mondane, si è incontrata con poco sostegno da parte dei farisei, il cui scopo era il mantenimento di uno spirito religioso in conformità con la loro interpretazione della legge (cfr. Salmi di Salomone). Sotto Alessandro Ianneo (104-78), il conflitto tra il popolo, schierandosi con i farisei, e il re è diventato amaro e finito in strage (xiii 13, § 5 “Ant.”,. Xiv 1, § 2.). Sotto la sua vedova, Salome Alexandra (78-69), i farisei, guidati da Simeone ben Shetaḥ, salito al potere, hanno ottenuto seggi del Sinedrio, e che il tempo è stato poi considerato come l’età d’oro, pieno di benedizione del cielo ( Sifra, Beḥuḳḳotai, i,.. Ta’an 23a). Ma la vendetta sanguinosa che si caricò i sadducei portato ad una reazione terribile, Aristobulo per i sadducei ha riacquistato il loro potere (“Ant.” Xiii. 16, § 2-xiv. 1, § 2).

Quello fariseo un Partito che rappresenta le idee religiose, le pratiche e le speranze del kernel del popolo ebraico nel tempo del Secondo Tempio e in opposizione ai sadducei sacerdotali. Sono stati di conseguenza scrupolosi osservatori della legge secondo l’interpretazione della Soferim, o scribi, secondo la tradizione.

Nessuna stima reale del carattere dei farisei può essere ottenuto dagli scritti del Nuovo Testamento, che tengono un atteggiamento polemico verso di loro (vedi Nuovo Testamento), né da Giuseppe Flavio, che, scrivendo per i lettori romani e in considerazione delle aspettative messianiche del farisei, rappresenta il secondo come una setta filosofico. “Perisha” (al singolare di “Perishaya”) indica “colui che si separa”, o tiene lontano da persone o cose impure, al fine di raggiungere il grado di santità e giustizia richiesto in coloro che sarebbero in comunione con Dio (comp, per “Perishut” e “Perisha,” Tan, Wayeẓe, a cura di Buber, pag 21,… Abot iii 13;. Soṭah ix 15,…. MIDR Teh xv 1;. Num. R. x 23;. Targ. Gen. XLIX. 26).

Mi rendo conto che resta da approfondire come gli Asmonei finiscono poi per avvicinarsi agli ellenizzati sadducei dopo avere guidato la rivolta anti ellenista ed essere stati piu tenaci degli Asidei nel proseguire lo scontro prendendo cosi le distanze dagli Asidei dai quali prenderanno il largo i gruppi di stampo enochico e nazionalista.Forse è dovuto piu ad una lotta di potere piu che a motivi religiosi.Tuttavia pare anche esistere qualche problema con le fonti.

La spiegazione puo darsi che sta nel fatto che dopo la morte di Mattatia gli altri maccabei sembrano più interessati alla presa del potere che alla lotta contro l ellenizzazione,simpatizzano per i Sadducei ed infatti gli Asidei si defilano accordandosi con Menelao per il suo mantenimento del potere in cambio della fine dell’ ellenizzazione.Gli Asidei non vogliono altri Sadducei al potere.Tranne Ircano secondo che li appoggerà in dissenso con gli altri Asmonei che infatti lo defenestreranno.Teniamo conto che a condannare Gesu sono fondamentalmente i sadducei del sinedrio fantoccio dei romani con l aiuto di qualche collaborazionista farisaico.

Non a caso dopo l affermazione dell ebraismo religioso nazionale i libri dei Maccabei non saranno canonici per gli ebrei ma per i cristiani si perchè tutto quanto in linea con il pensiero di Paolo l ellenista non ha avuto difficolta ad entrare nel canone latino.

https://it.wikibooks.org/wiki/Ecco_l%27uomo/Farisei,_Sadducei,_ZelotBasandovi su questi fatti, la differenze tra Farisei e Sadducei sembrano alquanto demarcate e chiare. I Farisei erano fedeli alla tradizione ebraica, i Sadducei erano fedeli ai loro padroni romani. Ma ciò non corrisponde all’immagine recepita dalle fonti scritturali. Se esaminiamo solo il Nuovo Testamento, il quadro presentato per i Farisei non è altro che una serie di caricature di ebrei che in seguito popoleranno opere medievali

Si veda per es. Martin Lutero, Contro gli Ebrei, vers. latina di Justus Jonas (1544), cur. Attilio Agnoletto, Terziaria, 1997; e spec. Degli ebrei e delle loro menzogne, cur. Adelisa Malena, Einaudi, 2000, dove irosamente dichiarava che le scuole (yeshivá) e sinagoghe ebree dovevano essere bruciate, che i libri di preghiera (sidur) dovevano essere distrutti, che bisognava proibire la predicazione ai rabbini, che le case degli ebrei andavano incendiate e che le fortune in loro possesso andavano confiscate. Non andava mostrata né compassione né bontà per loro, non gli si doveva offrire protezione legale e “questi velenosi vermi avvelenati” dovevano essere mandati ai lavori forzati o espulsi. Anche il loro omicidio viene giustificato: “[Abbiamo] la colpa di non ucciderli”. Su questi brani si veda anche Robert Michael, “Luther, Luther Scholars, and the Jews,” Encounter 46 (Autunno 1985) Non. 4:343–344.

La storia della caduta e morte di Gesù condivide molti elementi della lotta zelota per la libertà: l’impegno totale, le intimazioni di immortalità, la comunicazione della volontà di Dio a Israele e al mondo, la minaccia incombente di un’esecuzione brutale, infine un ruolo importante nello stabilire il Regno di Dio a Gerusalemme. La Grande Rivolta zelota avrebbe avuto un ruolo nella trasmissione della storia di Gesù. Per dare un senso a ciò che accadde a gesù e allo stesso cristianesimo, bisogna esaminare e interpretare l’interazione tra i fieri Zeloti, i subdoli Sadducei e i fedeli Farisei.

Nel mezzo di tutto questo si consuma la tragedia dei giudeocristiani della chiesa di Giacomo il giusto cugino di Gesu,da un lato considerati come eretici,gia ho detto in apertura che non sono ascrivibili ad una corrente specifica nonostante varie affinita,che la riforma rabbinica del 40 di fatto mettera fuori dal mondo ebraico e dal lato opposto marginalizzati dalla progressiva ellenizzazione che secoli dopo portera alla nascita della chiesa etno romana.Nella soft law propugnata da Gesu i confini vengono allargati per farci stare di tutto,un tutto che probabilmente va oltre il pensiero stesso di Gesu.

Se nella teologia dei Sadducei non era contemplato il ritorno di un Messia,va da se che mancava anche il modello di riferimento di questo Messia,quindi il modello di chi per loro non poteva esistere.Senza quel modello come si poteva sostenere che qualcuno era un falso Messia cioè un falso di chi in originale non esiste nemmeno sulla carta.La contraddizione è insanabile.La condanna è stato un atto di totalitarismo oppure è stato usato un appiglio senza consistenza oppure è stata emessa per una opinione, ovvero che il Messia è teologicamente sostenibile, laddove è evidente che loro in tal caso non potevano pero sapere e stabilire se era falso o vero mancando la descrizione di come doveva essere quello vero.Descrizione eventualmente valida per quella cultura dei farisei che pero i sadducei rifiutavano.Ovviamente volendo considerare veritiere le fonti.

@alfredoantonini

TRA POLODZ E KIEV,STORIE DI RUS NOBILI E CONVERSIONI POLITICHE @aldoc.marturano

Polodz

Alziamo il velo sulla prossima pubblicazione di Aldo C. Marturano che attualmente si occupa di Russian Middle Ages, è un ricercatore libero professionista, in pensione. Aldo ha insegnato in un’università Lingua russa e Storia del medioevo russo. Le sue ricerche sono state premiate in Russia.Gli piace ancora molto viaggiare per il mondo per vedere con i suoi occhi come vivono le persone. I suoi studi all’estero gli hanno infatti permesso di imparare alcune lingue per poter dialogare direttamente con i suoi ospiti che lo hanno accolto durante i suoi soggiorni.

VLADIMIRO IL SANTO

Una montatura storiografica ideata dai monaci che compilavano le cosiddette Cronache dei Tempi Passati – CTP – per dare un’origine degna al primo sedicente stato cristiano della Pianura Russa e quindi all’inizio della storia slavo-russa o Medioevo Russo, è questo personaggio: Vladimiro detto “pari agli apostoli” e poi consacrato santo della cristianità universale. Le CTP iniziate a Kiev per volontà di Jaroslav l Legislatore, peraltro figlio di Vladimiro e educato probabilmente a Costantinopoli, sono considerate dal 1700 CE le fonti primarie della storia russa. Da decenni poco si è tenuto conto delle chiacchiere che gli amanuensi scrittori raccolgono in giro fra il contadiname intorno ai conventi dove le CTP vengono stilate e che diventano testimonianze di eventi incerti e improbabili nella realtà. Raccontano dunque di Vladimiro abbastanza a lungo. Lo descrivono al principio in coppia con Dobrynja, attribuendo a quest’ultimo una parentela di tipo cristiano di “zio” (ded in russo) n quanto fratello della madre di Vladimiro a nome Malusc’a. Costei sarebbe poi una delle mogli di Svjatoslav il quale invece è il padre putativo. La copia Vladimiro-Dobrynja è già di per sé sospetta, se si tratta di un anziano e un ragazzo che fanno lega insieme e in cui Dobrynja è accettato come OPEKUN ossia PORTAVOCE /PROTETTORE di Vladmiro. Secondo i criteri d’età che oggi consideriamo normali con tale grado di parentela, dovrebbero intercorrere fra i due 15-20 anni almeno. Di tali coppie nelle società medievali ne esistono a bizzeffe e sono meglio definite come commilitoni legati per la via e per la morte con un patto detto di sangue che si offrono per imprese guerresche di qualsiasi genere e il più anziano è apostrofato appunto “zio” ossia slavo-russo per “compare” fra capetti mafiosi. Assodato ciò qual è l’impresa per la quale chiedono a Svjatoslav di essere impiegati?L’impresa è l’assoggettamento di Novgorod, la grande e ricca città del nord di cui Kiev da città autonominatasi capitale non può fare a meno come stato. Al momento Sjatoslav è in campagna militare contro i nomadi e dovrà lasciare Kiev sguarnita per un po’ e perciò affidata a 2 altri suoi figli e quindi è ben lieto di passare Novgorod alle manovre della coppia fatidica. Inizia così la storia russa con la morte di Svjatoslav nel 971-972 CE e l’eccidio continuo di chiunque impedisca a Vladimiro di fabbricarsi la figura di sovrano assoluto della cosiddetta Rus di Kiev

EUFROSINA LA BADESSA

A Kiev nel XII sec. CE ci sono baruffe continue fra le družiny che appoggiano ora un knjaz ora un altro senza che il Monastero delle Grotte, unica organizzazione rimasta unita, possa intervenire con efficacia, finché il knjaz di Suzdal, Giorgio Lungamano (Juri Dolgorukii), figlio di Vladimiro Monomaco, prevale sui suoi parenti e si proclama Velikii Knjaz di Kiev. Ad ogni buon conto intuisce che ormai Kiev non conta più come una volta e comincia la sua politica di spostamento dei poteri nella regione dove è vissuto finora: Vladimir-sul-Kljazma, Rostov-la-vecchia, Suzdal e la cittadella appena sorta come luogo di vacanza (1147 CE): Mosca.

Questi vuoti di potere da una parte preoccupano la reverendissima Eufrosina, ma dall’altra le permettono di affermarsi sempre di più come unica persona politicamente influente nelle terre di Polozk e forse nel Nordest lituano.

Forse in parte il suo successo personale poggia su altro. Eufrosina mantiene corrispondenze, compone gli Annali della Città di Polozk (specie e stile delle Cronache del Tempo Passato) ed è titolare di una casa editrice che va guadagnando importanza nelle terre di lingua russa o lituana poiché da queste parti il bilinguismo è imperante. L’attività editoriale sua infatti non si è mai interrotta e ora con la nuova struttura conventuale nel Selzò ha allargato il suo mercato e si è distinta per la qualità delle opere che produce, copia e elegantemente rilega. È probabile che abbia appreso più d’una lingua straniera fra cui il latino per intrattenersi coi mercanti forestieri che frequentano Polozk e l’Occidente ed il greco e l’arabo per tradurre i nuovi libri che l’islam sta mediando e che lei edita con entusiasmo. Eufrosina ha compreso che il libro oltre ad essere un mezzo di trasmissione di idee è anche un oggetto molto prezioso, comperato a prezzi altissimi da nobili e principi almeno per averlo in bella mostra. In verità prima che Eufrosina si tuffasse in questa attività, lo scriptorium di Polozk aveva una buona fama e addirittura la Biblioteca di Santa Sofia si gloriava d’essere una delle più fornite delle Terre Russe “…anche se poi nel 1579 CE scomparve senza lasciar traccia!” scrive con amarezza A. Melnikov.

Se teniamo presente che il divertimento nelle lunghe serate d’inverno in un tempo in cui non esisteva la televisione o Facebook era proprio quello di leggere o farsi leggere ad alta voce (per chi poteva permettersi di ospitarlo) da un monaco o un declamatore di qualità.

Il contadiname aveva invece i cantori al mercato o le nonne che raccontavano favole e intonavano racconti epici (byliny) e guardava i libri che erano prodotti per religiosi e dunque magici e pericolosi. Alle feste collettive quando non si andava a letto fino a tarda notte nei villaggi saltava su un cantore campagnolo o un predicatore che richiamava pubblico intorno a sé.

In conclusione il libro non mancava in nessuna casa nobile di rispetto e una serata di lettura faceva accorrere molte persone con il dispetto dei non nobili per non poter essere invitati alla bisboccia, se non da inservienti.

Se si richiede una data opera allo scriptorium, bisogna procurarsela, per copiarla. Si individua il convento che possiede nella sua biblioteca il libro cercato e lo si va a copiare perché il prestito dei libri non è mai visto di buon occhio: il libro prestato si può deteriorare o addirittura scomparire per sempre. Ad evitare ciò nel Medioevo in tutte le biblioteche i libri erano incatenati saldamente al tavolo di lettura!

Ed ecco l’attività editoriale di Eufrosina: copiare libri già esistenti nella propria o in altre biblioteche, tradurne opere provenienti da altri paesi e produrne copie da vendere, incoraggiare autori monaci a scriverne di nuove. Però non si pensi a migliaia di copiature o di libri venduti o prodotti, al massimo il numero s’aggira su qualche decina o poco più in un anno poiché dietro di essi c’è un lavoro complicatissimo e faticoso oltre che difficile e lungo per il tempo che sottrae e per il materiale da procurarsi.

Il luogo dove si lavora è lo scriptorium e quello di Eufrosina non è ricco ma si distingue per l’abilità e l’accuratezza delle monache amanuensi che assicurano una qualità veramente unica. Ci sono delle regole da rispettare per questo lavoro quasi dei riti veri e propri di comportamento. Il silenzio domina. La copiatura avviene tenendo il libro da copiare nella mano sinistra e scrivendo con la pergamena spiegata sulle ginocchia con la mano destra. Eufrosina e le collaboratrici purtroppo dei leggii non se li possono ancora permettere e quindi dovranno sacrificarsi procurandosi scoliosi e storpiature. Quando d’inverno la luce diminuisce si ricorre alle candele, ma di certo nello scriptorium ci deve essere una bella stufa che un po’ di luce dalla bocca la dà altrimenti si gela e il lavoro non viene bene. Le finestre non hanno vetri e gli inchiostri possono facilmente gelare. Se poi le copie di uno stesso testo sono tante allora si ricorre alla dettatura.

Gli inchiostri, le tinte, i pigmenti sono preparati da specialisti per tutti i copisti anche se talvolta c’è chi è tanto bravo da prepararsi gli inchiostri da solo. Gli specialisti di città periodicamente vanno a fare raccolta delle galle di quercia (e di questi alberi ce ne sono ancora tantissimi nel XII sec. CE nelle terre di Polozk), di resina e di colofonia. Col sebo raccolto dai contadini, bruciandolo, si realizza il nerofumo. Nel fitto si trovano le bacche o piante per ottenere i vari colori, altrimenti si va al mercato a comprare i pigmenti che venditori sapienti offrono, importati da paesi lontanissimi. Si prepara la colla di pesce, d’amido o di ossa, di bianco d’uovo etc. che faranno da addensanti, collanti etc. Il lavoro chimico è molto delicato e bisogna aver sapienza e pazienza altrimenti si corre il rischio di vedere cambiar colore all’inchiostro o addirittura scomparire con tutto lo scritto! Le tinte più comuni sono il nero e il bianco (quest’ultimo fatto col carbonato di piombo), il rosso da cui la rubrica quando si copiano in rosso le prime lettere di parole diverse, il minio (da cui miniatura), il verde col verderame etc.

Un grande ruolo ricopre l’abilità di vergare le lettere iniziali arricchite di quadretti e il testo con illustrazioni. Allora per queste attività il lavoro non spettava più al copista, ma al pittore. Il copista avrà lasciato lo spazio apposito e l’artista penserà poi a riempirlo con figure, disegni o altro, di grande effetto e colore. Questa è la maggiore occupazione dei pittori del tempo più che l’affresco o l’iconografia su tela come potremmo pensare noi oggi. Talvolta gli artisti pittori sono monaci dello stesso convento e non bisogna ricorrere ad artigiani specializzati da invitati nel convento per farlo sul posto: Il libro è troppo prezioso perché sia portato fuori dallo scriptorium prima che sia venduto!

Un gran problema è costituito dalla scelta del supporto della scrittura. La pergamena si può certo comprarla all’estero importandola, ma qui a Polozk si fa meglio in casa perché i russi e i bulgari sono bravissimi conciapelli. La pergamena è realizzata con pelle di pecora o di capra, di vitello e talvolta anche di porco. Per ottenere le pelli occorre commissionarle ai contadini allevatori molto per tempo poiché questi dovranno uccidere di solito animali giovanissimi per ottenere una pergamena morbida e adatta a ricevere gli inchiostri. Dunque è molto costosa ed è certamente importata dal Mar Nero. La concia è un’arte che richiede ripetute operazioni con tecniche raffinate e tediose. Le pelli alla fine, preparate e conciate, vanno tagliate e lisciate o con la rarissima pomice che può essere comprata solo in Sicilia dai mercanti normanni o con una pasta di pane contenente polvere abrasiva che costa molto meno della pomice.

Una volta che le pagine scritte e rifilate sono pronte per essere legate insieme, si porteranno al rilegatore che le cucirà con attenzione e le coprirà con una copertina di cuoio incrostata di pietre semipreziose o preziose, e magari le orlerà negli angoli, se richiesto, con borchie di metallo d’oro o argento.

La rilegatura (propriamente la legatura) dal punto di vista del valore aggiunto che questa offre al libro, all’inizio si presentava con due tavolette di legno: una sopra la prima pagina e una sotto l’ultima pagina. È importantissima poiché altro materiale duro, come il cuoio o le lamine di metallo più vile si possono pure usare per racchiudere le pagine scritte finora sciolte che risultavano legate insieme da corregge o nastri, ma ne perdeva di bellezza l’aspetto del libro chiuso. La copertina perciò consta di due tavolette ed è in pratica un cofanetto aperto da tre lati dove sono adagiate le pagine più o meno come i nostri faldoni di un ufficio e le pagine, se richiesto, sono cucite al dorso pieghevole e attaccate in qualche modo alle tavolette ottenendo il libro rilegato questa volta, come lo vediamo oggi. Anche sulle copertine l’artista si sbizzarriva perché le impreziosiva e le abbelliva come solo lui sapeva fare creando dei veri e propri scrigni pregiati con tanto di catenaccio. Se le pagine erano anch’esse opere d’arte per le miniature e le pitture, il libro raggiungeva prezzi astronomici per i ricami, gli intarsi, l’oro e le pietre profusi. Che importanza aveva allora il contenuto? Ben poco, evidentemente.

Tutto questo lavoro era fatto dalla casa editrice di Eufrosina e siccome l’investimento di base, come oro, argento e pietre preziose, era ingente, un artigiano da solo non avrebbe avuto la capacità economica di eseguire tale compito su commissione perché le operazioni potevano durare mesi e talvolta un anno prima di avere il libro finito, di qui il ruolo del convento di tenere copie pronte per la legatura in archivio. Nello scriptorium i monaci letterati erano i più abili nello scrivere con eleganza e facevano da copisti o da amanuensi sotto dettato, mentre gli illetterati erano i legatori e gli altri. Per non causare errori nella sequenza l’amanuense usava mettere a piè della pagina una figurina o parolina che ripeteva poi nella pagina che seguiva e così il legatore sapeva come fare. I libri provenienti dalle Terre Russe e dalla Bulgaria avevano fama di essere il non-plus-ultra dell’editoria europea nel XII sec. CE. C. Lacroix (v. bibl.), storico d’arte medievale, così si esprime a proposito: “I manoscritti slavi in generale si raccomandavano non tanto per l’eleganza della loro esecuzione quanto per la ricchezza della rilegatura!” Chi possedeva libri, li teneva ben chiusi sotto chiave in una bella cassapanca al riparo dai ladri e chissà quanti incendi hanno distrutto in Europa libri editi da Eufrosina! Chi desiderava leggere un libro che non possedeva, poteva ordinarne una copia al convento che lo custodiva o leggerselo appunto in convento. La preziosità dei libri costringevano le biblioteche dei conventi a legarli con robuste catene agli scaffali, a limitare e persino impedire prestiti o asporti inutili, ma suggerivano anche di servirsi dei cosiddetti tachigrafi, di cui ce ne erano di bravissimi e velocissimi che effettuavano il lavoro di “precopiatura” in pochi giorni. Con questa copia ci si recava allo scriptorium che avrebbe realizzato il libro su ordinazione. I tachigrafi (stenografi) avevano convenzionato con gli scriptorium che solitamente frequentavano, vari artifici: dalle abbreviature di sillabe che si ripetevano a parole come Dio, Cristo etc. fino alle modifiche di alcune lettere dell’alfabeto in modo da riconoscerle facilmente e si scrivessero più velocemente per risparmiar tempo. La copia del tachigrafo era chiamata “copia nera” o “copia brutta” ed era illeggibile per il laico, se non era ricopiata in uno scriptorium. La copia “tradotta” dagli specialisti dello scriptorium era chiamata “copia bella” e passava a diventare un vero e proprio libro. Il tachigrafo di solito era una figura di buona cultura (magari un nobile messo al bando o izgoi) che si rifugiava presso un convento, rinunciando alla vita mondana, senza tuttavia diventare monaco, ma offrendo i suoi servigi agli esterni che venivano in biblioteca a procurarsi un libro. Era insomma un fedele penitente che cercava così la redenzione dei suoi peccati e il paradiso dopo la morte e la pace dell’anima vivendo di questo lavoro, il cui compenso versava interamente al convento in cambio di vitto e alloggio. Siamo quasi sicuri che Davide e Michele, fratelli di Eufrosina, facevano proprio questo per la casa editrice del Selzò attraverso una rete di contatti nelle biblioteche di Polozk, Kiev e Novgorod.

Eufrosina aveva comunque la costanza di controllare alla fine del lavoro ogni libro, pagina per pagina, prima di consegnarlo all’acquirente affinché dalla sua casa editrice uscissero soltanto opere perfette dal punto di vista tecnico. Solo a questo punto ne fissava il prezzo e per dare un’idea al nostro lettore un ordinario libro di cinquanta pagine costava intorno ai 3-4 mila euro!È importante sapere tutto ciò? Assolutamente sì, poiché lo scriptorium fissava innanzitutto le cronache locali nello scritto e sollecitava quindi la raccolta di informazioni e di testimonianze che attraverso il racconto degli eventi lì accaduti dopo accurata e sapiente selezione dava lustro al knjaz che lì regnava. L’élite al potere ne avrebbe sempre avuto 2-3 copie. Le cronache infatti registrando anche i giudizi emessi durante processi pubblici di reati abominevoli rappresentavano una raccolta di leggi e di pene da applicare in casi di reati simili. Naturalmente l’idea illusoria era che leggi e pene valessero per sempre, cercando e trovando similitudini visto che il potere giudicante del knjaz terzo giudice discendeva da Dio.

Le prime cronache e il modo di scriverle erano state importate da Costantinopoli col cristianesimo e con Jaroslav il Legislatore, figlio di Vladimiro il santo e di Roghneda di Polozk e fino al 1097 CE erano le uniche valide in circolazione. In quella data dell’assemblea dei knjaz sotto giurisdizione di Kiev, Vladimiro Monomaco aveva deciso e imposto che d’ora in poi ogni knjaz governasse nell’udel assegnatogli e vi fondasse la dinastia locale. Nella procedura era implicita la stesura delle cronache locali che continuassero quelle kievane con l’istituzione di uno scriptorium presso un convento pure locale.

Chiarito ciò, sappiamo che tutti i ricavi dalle vendite dei libri sono devoluti ai poveri sinché Eufrosina non s’accorge che ciò non è sufficiente all’emancipazione della sua gente. Si accorge che qui i poveri sono sempre i soliti contadini colpiti dalla carestia o dal non saper sfruttare i campi, dalla razzia e dalle epidemie e dalle epizoozie, benché non sappia ancora distinguere i due fenomeni morbosi. L’aiuto offerto loro deve essere più intelligente. Occorre insegnare loro a difendersi contro le calamità soprattutto ricorrendo a tecniche nuove, a differenti procedure di lavoro. Saccheggi e guerricciole baderà lei ad impedirle, mediando nelle liti fra i suoi parenti e impedendo l’allargamento dei terreni di scontro. Riconosce che i ricchi qui pensano solo a raccogliere risorse dai contadini senza compenso, ricorrendo spesso all’uso della forza. Lei ha più volte ribadito che così non si può governare perché il contadino invece di emanciparsi verso un mondo migliore tenderà a fuggire dal posto dove non vive bene e la terra coltivata s‘impoverirà sempre di più negando il prelievo del tributo e tanto altro!

È vero che lei è una religiosa, ma conosce bene il mondo presuntuoso dei principi e desidera in qualche modo incidere su questa situazione che va peggiorando. Deve farlo proprio con la sua attività conventuale che a poco a poco sta diventando quasi ricerca scientifica in tutti i campi. Polozk avverte il peso politico del Selzò e il convento di Eufrosina comincia a suscitare attenzioni indesiderate fra i notabili della città… ma qui forse i disegni divini o forse la fortuna ancora una volta favoriscono la nostra Badessa

REDSLAVA

Da qualche tempo ormai Sofia sentiva di essere arrivata al termine di una tanto sospirata gravidanza e quel giorno di gennaio aveva accusato le prime doglie. Era subito accorsa la mammana, moglie del volhv locale, che dopo una visita sommaria aveva decretato che il parto era ormai prossimo ed aveva preparato la polvere di rubino (jakont) contro i dolori da far ingerire alla partoriente. «Si dovrà sistemare e già riscaldare la banja là fuori!» ed aveva poi comandato ai servitori di preparare dei lini puliti e profumati per la principessa.

Finalmente si erano rotte le acque e Sofia era stata aiutata a trasferirsi all’interno. Qui Sofia, spogliatasi completamente, inginocchiatasi su un sedile in una piacevole temperatura aveva messo al mondo la sua prima bimba. Quest’uso della banja era particolare per i rutheni perché era l’unico ambiente igienicamente sicuro per un evento delicato come il parto. L’uso più comune era quello di sdraiarsi nudi sui banchi di legno e sudare nell’aria caldissima che si arroventava su dei ciottoli di fiume in un fornello. Sui sassi si spruzzava di tanto in tanto da una ciotola di legno dal lungo manico, se l’aria era troppo secca e bruciava in gola, dell’acqua che subito evaporava friggendo. Si stava per delle ore a crogiolarsi nel caldo e poi, sempre nudi, si correva giù dalla banja ad immergersi nell’acqua fredda mentre ci si batteva l’un l’altro con le punte di rami freschi tagliati con le foglie ancora attaccate, chiamati véniki.

Correva una leggenda dei cristiani di quei tempi che raccontava come Sant’Andrea l’apostolo fosse passato da quelle parti tanto e tanto tempo prima ed avesse creduto, meravigliandosene tantissimo, che i rutheni nella banja, chissà perché! si “flagellavano” fino a far diventare paonazza la pelle! Ancora oggi quest’uso di battersi coi veniki con forza continua a vivere allo scopo di ravvivare la circolazione periferica del sangue e sentirsi così rigenerare dopo il trattamento. In ogni modo la banja serviva non solo per riprendersi e lavarsi dopo le fatiche della giornata o per il parto come abbiamo visto, ma era un omaggio molto apprezzato nel mettere a loro agio degli ospiti. Questi infatti erano quasi obbligati ad usarla nudi insieme con gli altri della famiglia prima di essere ricevuti in casa!

Si noti che chiamo il padre di Predslava con due nomi Svjatoslav e Giorgio. Questo perché fra i nobili rutheni si usava metter 2 nomi ai bimbi appena nati. Uno, quello di famiglia, in onore di un antenato, nome solitamente d’origine slava (d’origine scandinava c’erano Olga, Oleg, Igor, Rogvolod e pochi altri) che era il “nome nobile” e un secondo naturalmente tratto dalla lunga lista dei santi greco-romani o dalla Bibbia. Della madre di Predslava la tradizione ci ha lasciato solo il nome cristiano e non quello nobile, mentre per Predslava sappiamo solo questo nome nobile e non quello di battesimo. Con Melnikov posso congetturare su motivi che tralascio che al battesimo Predslava ricevesse il nome di Eupraxia, ma… non è sicuro.

Risulta comunque essere un nome di famiglia e con un buon programma nel suo contenuto etimologico di quasi nobilissima o di buona fama, ma era anche stato il nome nientemeno della consorte del Gran Principe di Kiev, Svjatoslav, matrigna di Vladimiro il santo. Quest’usanza dei due nomi era prettamente nobile e recente e non corrispondeva agli usi della gente comune (in rutheno la gente nera ossia Cjorn’) e chissà che proprio il doppio nome costituisse la prima barriera fra Predslava e i suoi coetanei che non erano altrettanto nobili quanto lei.

Sofia e Giorgio erano marito e moglie da forse sei o più anni e chissà a quanti riti magici si erano sottoposti entrambi per provocare un sano concepimento. Ora finalmente il grande evento era giunto. Giorgio avrà avuto circa vent’anni quando nacque Predslava, ma tenendo presente che qui già a 13-14 anni si diventava maggiorenni e maturi per avere famiglia, restare senza figli dopo sei anni di matrimonio si era quasi al limite di un ripudio della sposa ormai considerata infeconda. Sofia invece finalmente aveva partorito…

La prima reazione di Giorgio all’annuncio che Sofia aveva messo al mondo una bimba e non un maschio, però fu di cocente delusione.

Con un po’ di fantasia posso sentirlo ancora urlare prendendosela con la mammana:

Come? Ho fatto tutto quello che mi avete detto: come fare all’amore in questo o quel modo, in quali periodi dell’anno ed ora? Una bimba! E che me ne faccio di una bimba? Mi costerà più doverla educare per renderla degna di un buon principe che poi mi toccherà cercare… Se fosse stato un figlio, allora sì! Sarei felice! Che mammana siete voi? Sapevo che non dovevo fidarmi di questi maledetti pagani! Avete anche affermato che il feto si trovava a destra e tutti sanno che quando il feto è a destra si partoriscono maschi. Dunque vi siete sbagliata! C’è poco da fidarsi di una contadina pagana come voi.

Nel Cantare della Schiera d’Igor, una delle byline più famose, è detto come educare un principino: a 3 anni va subito messo in sella perché impari a cavalcare, a 7 gli insegnano a leggere e scrivere, a 12 infine poteva entrare a pieno diritto fra gli otroki della družina paterna. A far questo Giorgio si sarebbe divertito e ne avrebbe tratto piacere, ma per una figlia, tutto ciò non si poteva fare. Un maschietto inoltre è sempre un alleato di suo padre, mentre una ragazza una volta sposatasi entra nel clan di suo marito e magari si sarebbe anche messa contro di lui negli anni a venire! Bella prospettiva!

Insomma sarebbe diventato vecchio prima d’avere un erede al trono di Vitebsk. E non è finita… A questa delusione ne segue, dopo qualche tempo, un’altra poiché anche la secondogenita è una figlia, Gordislava! Una vera condanna. E i maschi? Verranno dopo: Basilio conosciuto meglio col diminutivo rutheno di Vasilko, Davide rimasto senza appannaggi e che, a quanto pare, si fece monaco e Vjaceslav-Romano il più coccolato in famiglia che Predslava dirà di amare più degli altri.

Alla fine alla neonata è regalata una bella culla di legno dipinta di verde dai boiari di suo padre ed i suoi primi anni sono affidati ai servigi di una tata, kormilica, che l’alleva con tutte le cure che ha per gli altri suoi propri figli. Solo dopo lo svezzamento la restituisce in sostanza alla madre biologica per essere educata secondo i desideri di suo padre.

Alle donne nobili di quel tempo dal punto di vista dell’istruzione non è data grande importanza perché una volta sposatesi il loro unico ruolo era d’esser feconde e di fare da concubine preferite dai loro mariti. Le loro parole contavano pochissimo, anzi una donna era tanto più apprezzata quanto più sapeva tenere la lingua a freno… la solita vecchia storia!

VSELAV

Facciamo una prima conoscenza con un notevole knjaz del Medioevo Russo.Vediamo brevemente che c’entra nella nostra storia Vseslav il Mago e perché costui avesse ricevuto tale soprannome poiché si tratta proprio di lui: il knjaz in oggetto è proprio il nonno paterno di Predslava-Eufrosina o Badessa delle Paludi. Quando era nato, la mammana, moglie del volhv pagano locale, era rimasta colpita dalla grossa voglia di fragola che il neonato aveva sulla fronte, rosso sangue e spaventosamente tanto grande che aveva deciso di soffocarlo prima di darlo a vedere a sua madre, presagendo grandi calamità per la terra bielorussa. Chissà come però sua madre volle tenerlo in vita e Vseslav sopravvisse. La gente affermava che era frutto di un incantesimo e che quella voglia era il segno e la prova della sua origine magica. Secondo gli usi pagani del tempo, la prima cosa che si fece contro questa magia fu di lavarlo nello sterco umano, ma la voglia rimase al suo posto e rimase anche dopo essere stato battezzato. Per tutto ciò gli fu dato il nomignolo, il Mago (čarodei), e suo malgrado creduto incantatore e taumaturgo. Circolarono su di lui strane leggende di miracoli e fatti inspiegabili. Alcune anzi si fissarono in qualche bylina (nell’oralità epica popolare) come quella famosissima chiamata il Cantare della Schiera di Igor, composta moltissimi anni dopo in cui è nominato.

Lui stesso diceva fra l’altro che quando si trovava a Kiev udiva suonare le campane della sua cattedrale di Polozk a ben 600 km di distanza in linea d’aria! Si raccontava che, rinchiuso da suo cugino Izjaslav figlio di Jaroslav insieme ai 2 figli, pure a Kiev, in una fossa strettissima cui si accedeva solo dalla botola superiore, Vseslav malgrado la presenza del guardiano vagava per luoghi lontani libero e beato. Sia come sia, una volta liberato a Kiev, era stato acclamato dai kieviani Velikii Knjaz contro il fuggiasco, ma legittimo per regole d’età (v. pagine fa) Izjaslav. Nel 1068 CE in un’azione repressiva contro quest’ultimo, riconoscendo la propria posizione di potere inferiore, invece di comandare l’armata kieviana, aveva abbandonato la campagna militare per ritornarsene alla sua Polozk. E qui rimase a governare per ben 57 anni col ruolo di principe, ma sempre con uno strano copricapo sulla testa! E sì! Sua madre per nascondere la famosa voglia, sicuramente opera di un malocchio, gli aveva confezionato e imposto un cappuccio sin da tenera età e lui non se n’era mai più separato.

Tante altre storie si raccontavano ancora su di lui, persino che potesse trasformarsi in lupo… e tutte piacquero e divertirono la nostra Predslava di sicuro, per lei ciò era una conferma in più che la sua famiglia era una famiglia di eccezionali personaggi e chissà quante volte si rammaricherà di non averlo potuto conoscere, questo suo nonno o quanto spesso lo vanterà come l’antenato più importante!

Certamente nell’ambiente e nel comportamento, numerosi sono i segni tramandatici che indicano come Predslava-Eufrosina, da noi soprannominata la Badessa delle Paludi, seguisse le normali vicende di una nobildonna oziosa del XII sec. CE, ma occorre anche sapere da dove derivasse tale rango nobile. Non solo! Occorre capire in quali attività la nobiltà si esprimesse rispetto ai non nobili sul rapporto ineludibile di dominante-dominato in quel XI-XII sec. CE e dunque la storia di questo rapporto.

Partiremo da un’anagrafe mortuaria.

Si legge testualmente (P.G. Čigrìnov 2000): «Nell’anno 6609 [1101 CE] è trapassato Vseslav, il principe di Polozk, nel mese di aprile e nel giorno 14 alle ore 9 del mattino di mercoledì…» La prima (e forse l’unica) volta che viene registrata nelle Cronache Russe (v. infra e d’ora in poi abbrevieremo CTP) una morte con tanta precisione. Si tratta di Vseslav detto il Mago, principe o knjaz di Polozk, città sulla confluenza del Polotà col Dvinà-Dàugava, fiume quest’ultimo che attraversa Riga oggi, la capitale lettone.

Nessun personaggio nelle CTP meriterà una tale puntigliosità in futuro poiché è l’avvertimento per i suoi cari parenti che hanno subito le sue politiche e le sue imposizioni per un cinquantennio, che tale servitù è finita. In altri termini: Siete liberi di fare e disfare senza più veti armati o spese militari costose da mantenere sulle rive baltiche!

LA CROCE DI BOGHSA

Finalmente è pronta. Debitamente benedetta con una magnifica funzione è posta su uno stativo con un bel cuscino rosso davanti all’iconostasi della Chiesa del Salvatore. Però è costata un bel po’ di soldi, sebbene anche stavolta l’esborso non l’ha fatto il convento, ma è stata pagata da Vseslav, il figlio di Vasilko e nipote della badessa. Vseslav è stato insediato sul trono di Polozk e sapendo, da scaltro giovane, che qui chi fa il buono e il cattivo tempo è proprio sua zia.

Eufrosina a questo punto si è dovuta guardare un momento intorno per fare il bilancio della sua vita. Ha ormai raggiunto la ragguardevole età di cinquantasette anni, tanti per il XII sec. CE! Il Selzò è cresciuto divenendo una piccola città con i suoi due monasteri, proprio a dimostrare che Dio ha avuto benevolenza con lei. L’attività conventuale del Selzò è penetrata nelle terre selvagge dei Lituani, dei Livoni e dei Ciudi. Certo, i volhvy pagani hanno un loro ruolo nella campagna, ma i preti cristiani continuano a guadagnare terreno su questi demoni delle religioni ormai screditate.

Tutto funziona a dovere: la scuola per le ragazze (si accettano sia le nobili sia le semplici purché “dotate per lo studio”), la scuola per i ragazzi (una novità, perché finora i ragazzi nobili hanno imparato solo a combattere!). C’è uno scriptorium che sforna libri d’alta qualità ed incassa anche bene da quando è cominciato a circolare denaro sonante di origine quasi tutto occidentale. E’ il suo orgoglio. Anche lei ha scritto libri di suo pugno e tanti anche! È riuscita a mettere in ordine le Regole Ecclesiastiche di Vladimiro il Santo in ben 14 articoli e ha cominciato a scrivere le Cronache di Polozk sperando che altri le mantengano aggiornate dopo la sua morte. I due conventi gestiscono altresì piccoli ricoveri e un ospedale, offrono assistenza a vecchi e malati abbandonati dalle famiglie. C’è una farmacia attrezzatissima di erbe e di tisane curative coltivate nello stesso convento o raccolte dagli esperti del cenobio lungo i fossati, nei campi e nella foresta. La farmacia fornisce anche prodotti cosmetici e tanti altri rimedi. Un contatto speciale dunque!

È importante ribadire che i conventi del Selzò nel bel tempo fungevano non solo a preparare da mangiare per l’agape festiva o come ogni giorno per decine di fra monaci e monache, ma pure da hotel per i mercanti ospiti della città. Per di più praticando un’intensa orticoltura, scambiavano artigianato religioso con i semi di piante esotiche procurati dagli ospiti che i conventi dopo sperimentavano per poi adottarne e proporne l’uso e il consumo ai contadini locali. Il poco vino usato per l’eucaristia era importato e ben custodito.

Eufrosina non ha mai lasciato il suo lavoro di copista e amanuense, ma tiene contatti con tutti quelli che passano da Polozk. S’informa di quel che accade fuori con gran curiosità, intrattiene corrispondenze di vario tipo con altre città e tutti corrono da lei per un consiglio o solo per sentirla parlare d’argomenti su cui lei vanta un’autorità assoluta. Ha fatto tutto questo con gran piacere perché ama tutti come suoi figli e figlie con tutte le sue forze e probabilmente è diventata un po’ troppo autoritaria pur cercando sempre di nascondere dietro il severo cipiglio una giustizia ispirata alle leggi del Vangelo né ha conservato rancori per nessuno ed è sicura di non aver tanti nemici. A Polozk di certo hanno imparato a stimarla e qualcuno va addirittura dicendo di essere stato miracolato da lei….

E pensa di dover scegliere una sostituta che continui la sua opera con lo stesso spirito e intenti suoi poiché ha deciso di chiudere la sua vita in Terra Santa, a Gerusalemme. Da tempo sul viaggio ha chiesto informazioni fino all’Imperatore Manuele, aspettandosi il suo eventuale appoggio, mentre non era ancora del tutto convinta che sua sorella Gordislava-Eudocia potesse occupare il suo posto per il futuro. Anche per questa ragione ha esitato finora ad intraprendere un cammino così faticoso e decisivo. Ha avuto tante cose da fare e non voleva lasciare nulla in sospeso, nell’incerto. Adesso però sembra giunto il tempo e continua a raccogliere informazioni sulla Terra Santa e non è tanto sicura di riuscire a partire dacché ha saputo degli esiti incerti delle Crociate dei Franchi contro i musulmani. Inoltre ha sentito affermare che l’Egitto minaccia Gerusalemme e vi sono scontri armati frequenti in Palestina. Chissà, forse è meglio aspettare.

Anche qui nelle Terre Russe è difficile viaggiare verso il sud perché i Cumani hanno spinto i Peceneghi fin sotto Galič ed i Bulgari vessati dall’eresia bogomila cercano di liberarsi dal giogo bizantino e dai nuovi intrusi Peceneghi e Ungheresi. Tutto sommato ha un po’ paura a muoversi.

Ormai i fondi per il viaggio ci sono, quindi è bene riflettere su chi dovrà accompagnarla in questo viaggio, sicuramente, l’ultimo della sua vita.

La sua salute non è delle migliori. Probabilmente i disturbi della menopausa e qualche infezione non curata le causano vari fastidi che la rendono debole e nervosa distogliendola dalle sue attività preferite. Se non avesse quella forza d’animo che si ritrova, da qualche tempo avrebbe rinunciato di farsi carico dell’amministrazione del convento. Non che le monache più giovani e collaboranti siano poco intelligenti, no! Le reputa soltanto un po’ superficiali e distratte. Il suo cruccio è sua sorella Eudocia, come abbiamo detto. Di lei ora si fida, ma la ritiene troppo sottomessa alla sua parola e alla sua autorità, a discapito della propria che dovrebbe far risvegliare. Forse quando andrà via per sempre Madre Eudocia si attiverà come non ha fatto finora e saprà continuare la sua opera. Sua sorella però a contemplarla bene, secondo quanto appare nella Vita in verità, molto capace, senza dubbio la persona giusta per subentrare nel priorato del Monastero, ma dovrà essere lei a raccomandarla al vescovo di Polozk affinché la confermi come igumenica. Ciò non è un problema, perché Dionisio, il vescovo è, si può dire, ai suoi ordini!

È sua caratteristica sentirsi sempre scontenta di se stessa e da tipica perfezionista ha paura di non aver completato bene quello che ha incominciato e di non aver fatto abbastanza per quelli che lei considera i suoi figli amatissimi: i monaci e le monache del Selzò! Incrollabile invece è la sua fede in Dio. Solo questa può aiutarla a superare gli ostacoli che le si porranno dinanzi nel gran viaggi che sta per intraprendere.

Su questo è già da un pezzo al al lavoro.

Ha preventivato le spese cominciando dai doni da fare alle persone autorevoli che incontrerà e che la ospiteranno durante le soste e alle varie chiese dove si fermerà a pregare o per bisogni corporali vari. Certo, tutto deve essere ridiscusso e approvato dall’economa (ključnica) del monastero.

I due conventi stavano attraversando un periodo di grande floridezza e il viaggio della Badessa darà ancora più lustro a Polozk! Sicuramente però il convento non deve rimetterci a fornirle i mezzi per il viaggio! Lei non ha tante necessità…

Così una sera si apparta con Eudocia e le parla dei suoi propositi e delle sue preoccupazioni ora che sta pensando ad una data vicina per la partenza. Proviamo ancora una volta a ricostruire il dialogo fra le 2 sorelle. Lei: «Sto aspettando di ricevere notizie più dettagliate sulla situazione in Terra Santa per decidere quando e come spostarmi. In linea di massima l’itinerario lo avrei già in mente. Polozk, Vitebsk, Moghiljòv, Rogačov, Rečnica, Ljubeč, e Kiev. Qui mi fermerò perché visiterò il Monastero delle Grotte di Kiev. A Costantinopoli poi restano 1500 verste, tutte via mare. Spero proprio di non sentirmi troppo male poiché sul porto ho da passare su navi straniere e far la traversata fino alla Terra Santa. Dio mi darà la forza? Tu, Eudocia, devi continuare la mia opera perché io parto e so di non ritornare mai più. Sarai la nuova autorità nelle Terre di Polozk. Il vescovo Dionisio ci è stato sempre fedele e devoto, per tale motivo non puoi che essergli amica e confidente. Cerca di essere sempre giusta e equa con tutti, non guardare gli abiti del tuo interlocutore, ma i suoi occhi perché attraverso loro puoi leggere la sua anima. Ricordati che in questo mondo tutti nasciamo nudi e nello stesso modo: Siamo tutti figli di Dio sia potenti sia deboli, sia ricchi sia poveri, sia malati sia storpi. La nostra storia sta nei suoi celesti disegni e a lui dobbiamo rendere conto del nostro operato sia che ci abbia posto in alto sia in basso della scala sociale. Dio solo è il nostro giudice e ricordati che non è sempre indulgente. Prega sempre per la salvezza della tua anima e per la salvezza delle anime che abitano queste terre. Di una cosa ti prego: Fa che i miei resti ritornino qui nella cella che lascio.»

In altre circostanze Eudocia avrebbe pianto, ma da monaca anche se turbata è serena. Sa che Eufrosina obbedisce alla volontà del Signore. Né ha dubbi a continuare l’opera della Badessa con lo stesso spirito. E dice: «Madre santa e, permettimi per quest’ultima volta di dirlo, sorella carissima! Tu vai a fare il tuo ultimo viaggio cercando la pace dell’anima che sicuramente troverai quando ti si apriranno le porte del Cielo. Tu sai anche quale tristezza come donna e come sorella, perdonami ancora se ti parlo così, mi assale al pensiero di non vederti mai più, ma la mia fede, la mia scelta mi hanno insegnato che questi momenti si superano con animo tranquillo avendo fede solo in lui, in Cristo Salvatore che io ho sposato. Io sarò felice quando ti vedrò partire proprio perché sono sicura che la strada ti è stata indicata dalla Vergine Odighitria. Stai tranquilla per il Selzò. Tu lo hai così ben avviato e organizzato che è quasi impossibile che le cose vadano per il verso sbagliato. Io sono abbastanza introdotta nell’amministrazione e con la competenza dell’economa avrò cura d’ogni bene. Il Signore Dio ci guarda e ci benedirà.»

Eufrosina è contenta. È la risposta che si attendeva. Così invita sua sorella alla preghiera prima di andare a dormire. Anzi! Aumenterà la ruvidezza del cilicio che le cagiona sofferenza.

Un altro giorno è passato nell’inverno e fra qualche settimana ormai è la nascita di Cristo.

AL NORD

Qui al nord la notte di mezza-estate è brevissima e addirittura non c’è nemmeno il buio notturno per più giorni e appena un po’ più a nord di Polozk, a Tallinn o a San Pietroburgo, è il tempo delle così famose “notti bianche” quando il sole non tramonta per quasi una settimana o poco meno in tutto l’arco delle 24 ore.

Il mito che qui raccontiamo coi suoi riti preparatori e culminanti ha molte varianti nel Nordest, ma se ne deduce altrimenti una base comune paneuropea e maschilista. In poche parole il maschio umano, ipostasi del dio supremo del cielo vede una bellezza femminile terrena e pretende di giacere con lei. All’uopo le fa regali fin quando lei non si concede. L’accoppiamento avviene in grande stile poiché il firmamento con tutti i suoi astri si fermano in attesa che il dio finisca e ritorni alle sue attività senza strascichi.

La Festa di Kupala rammentava questo mito in versione slavo-russa del dio massimo del sole Dažbog e il suo amore per la bellissima Lada, figlia del Re del Mar Baltico e madre di tutti gli uomini, secondo un testo del XI sec. CE.

Il primo segno dell’inizio della festa era spegnere la stufa (pečka in rutheno) che era stata accesa tutto l’anno, svuotarla dalla cenere fin qui accumulata per con farne il ranno per il grande bucato dei vestiti del 23 giugno e di qui forse kupat’, verbo slavo-russo col significato di mettere a bagno e etimo di Kupalo. In un gran truogolo di legno si poneva uno strato di ranno e uno strato di panni e così via a riempire il truogolo fino all’orlo. Si versava poi l’acqua bollente e si lasciava fino alla mattina dopo nel mentre si svolgeva la festa. Solo dopo si sarebbe risciacquato e i panni stesi sul prato ad asciugare, bianchissimi e profumati, avendo avuto l’accortezza di mescolarli nel risciacquo con erbe aromatiche. Col ranno rimasto si faceva persino una pomata per rischiarare i capelli e la si regalava a chi ne volesse…

Intanto Dažbog aveva visto la bella Lada e se ne era innamorato. Lada (concordia) soleva andarsene per mare sulla sua barca d’oro sola soletta, vogando con i remi d’argento che ad ogni sciabordìo spruzzavano l’acqua scintillante fino al cielo dove si trovava Dažbog. Il dio decise di chiedere la sua mano al Re del Mare e si tuffò nell’acqua (di qui anche il nome Kupala o tuffo nell’acqua) con i suoi doni per presentarsi degnamente al padre di Lada. Il Re del Mare non gradì per nulla la visita e lo scacciò in malo modo, facendolo battere dai suoi servi che lo lasciarono mezzo morto sulla riva.

Quando si riebbe, Dažbog decise che avrebbe avuto Lada a tutti i costi e sapendo che l’unico modo per portarsela via era di farla approdare sulla spiaggia dove suo padre non aveva più poteri, mandò i suoi servi al mercato per procurarsi le cose esotiche più belle e più sfavillanti. Ordinò loro di metterle in bella mostra sul bagnasciuga e aspettò che Lada sbarcasse. Fra le altre cose esposte c’era un bel paio di scarpe di color verde col tacco altissimo come andavano di moda a quei tempi, che Lada, appena le avesse viste, per curiosità femminile avrebbe voluto provare. Mentre era lì occupata ad infilarsi le scarpe, i servi di Dažbog la catturarono e la portarono finalmente da Dažbog. Ora che il dio poteva avere l’amore tanto desiderato, si ritirò con lei dimenticando il sole in cielo. Solo quando si concluse tutto secondo i suoi desideri, Dažbog fece riprese a vagare nel firmamento e far venire la notte… Ecco perché alla mezza estate i giorni son così lunghi!Come tutti gli anni la saga si cercava di farla rivivere da parte degli uomini con la superstizione che, evitando di celebrarla, sarebbe andato l’intero mondo a fuoco. Durante la mezza-estate il terem si mobilitava sulle rive della Dvinà insieme al resto della gente del contado per il rito amoroso in uno spiazzo nella foresta.

Innanzitutto andava preparata la cerimonia per l’accensione di un grande falò. Ad una certa distanza dalla riva era stato infisso un palo attorno al quale tutti ammucchiavano, cantando, paglia, rami secchi, vecchi oggetti di legno da buttar via, etc.

Altro rito ineludibile era appiccare il fuoco col metodo dell’attrito di un tronco appuntito fatto ruotare in un cavo d’un altro tronco come si vede in figura.

Chiaramente i giovani a tirar la fune una volta da un lato e un’altra dall’altro lato erano squadre formate dai nativi e l’attrito prodotto incendiava l’esca di segatura avendovi mescolato il fungo, Fomes fomentarius (v. bibl.) che appunto prendeva fuoco. Intanto era previsto che si formassero coppie in amoroso consenso di qualsiasi età e senza pregiudizi sui legami di quel momento. Alla sera (secondo l’orario delle clessidre a sabbia) si dette fuoco all’enorme falò previsto e se ne accesero altri onde consentire alle coppie di passare saltando sulla brace ardente, ballando e cantando in coro e facendo il giro del falò per tre volte. Il rito prevedeva la purificazione delle gonadi con il fuoco, ignudi come si celebrava all’epoca pagana e in camicione unisex come erano in cristianità. Dopodiché era prevista una copula pubblica in onore di Dažbog e di Lada. Naturalmente anche questo rito fu soppresso col cristianesimo: Se volessero accoppiarsi, che lo facciano pure, ma nel fitto della foresta.

@AldoC.Marturano

GESU’E LE PROFEZIE,IPOTESI ED ERRORI (aggiornato) @alfredoantonini

E’ evidente che quanto esposto di seguito fa si che siamo nel puro campo delle ipotesi riguardo il chiarimento degli argomenti e quindi le incongruenze che abbiamo rimarcato,fino a quando non si troveranno elementi piu concreti non permettono di uscire da detto campo per poter giungere ad una lettura certa degli eventi e dei temi trattati,con la possibilita di aggiungere ulteriori errori piuttosto che semplificare le soluzioni

Una sintesi di come potrebbero essere valutati alcuni aspetti non sempre noti a tutti ed in apparenza contradditori riportati dalla narrazione biblica così come vengono esaminati in alcuni studi indipendenti,senza accettarli in toto ma provando a ponderare gli elementi che apportano ed abbozzando una panoramica circa varie teorie per altro da dimostrare.Almeno in questa riflessione non ho voluto considerare gli studiosi e le fonti che avanzano le teorie più radicalmente non conformiste come Mac Dei Ricchi e Mauro Biglino l esperto di paleostronautica e traduzioni,magari in futuro .La citazione delle fonti e degli autori non è completa per il semplice motivo che mi sono perso gli appunti e non riesco a ricostruirla

La profezia di Isaia 11 1 “Un germoglio ( NEZER dalla radice ebraica NZR, nei testi antichi non si usavano le vocali) spunterà dal tronco di Iesse (stirpe davidica)
un virgulto germoglierà dalle sue radici” .La profezia di Zacaria 6 12 “il Signore degli eserciti: Ecco un uomo che si chiama Germoglio: spunterà da sé e ricostruirà il tempio del Signore.”. Sono sono due profezie alla base delle attese messianiche .Attese che fecero da supporto teologico al partito messianico che vide maccabei e asidei prima,zeloti ed esseni dopo,battersi per il nazionalismo ebraico anche in chiave antiellenistica.Tra i primi cristiani le attese politiche erano intersecate a quelle religiose.

Nel Nuovo Testamento si sviluppa circa Giuseppe tuttavia l incongruenza di Matteo : “Andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perchè si adempisse il detto dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno»”.Matteo 2,23.

Perchè Matteo riferendosi agli scritti dei profeti li ricollega a Natzaret (che in lingua antica NTZ cosi come moderna ha una radice differente da NZR di NEZER germoglio,mentre Nazaret è un termine piu italianizzato) ? E’ ipotizzabile perchè il passo è stato adattato alla necessità di predicare ai romani ?? Il testo ai tempi degli ebioniti era medesimo a questo ?

“…[gli Ebioniti] seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l’apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge…” (Ireneo, Adv. Haer., I, 26).

ebionim “poveri” è uno dei nomi che si davano i qumraniani” (L. Moraldi, I Manoscritti del Mar Morto, UTET, pag. 49);

“[I Nazorei] accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata l’apostolo [Paolo]…” (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1);

“…nel Commentario ad Abacuc… i seguaci del Maestro di Giustizia [sono] nominati come i Poveri, Ebionim…” (R. Eisenman, James the brother of Jesus, Penguin Books, 1997

Padre Dolindo Ruotolo, prediletto da Padre Pio e campione della fede, nel 1965 profetizzo la caduta del muro del 1989 ma non riuscì ugualmente con successo quando disse che la parola di Dio è immutabile.FORSE quella originale della quale però non abbiamo piena contezza. Non solo è stato modificato il Padre Nostro ma sappiamo di numerosi errori di traduzione ed interpolazione della Bibbia.Immutabile era solo la parola originale spesso in lingue semitiche che però è andata persa o modificata.Ad esempio vediamo come i termini “nefesh” (ebraico) e “psike’ “(greco) per oltre 700 volte vengono tradotti con la parola italiana “anima” mentre nulla hanno a che vedere.Nell Antico Testamento quasi sempre compare nefesh ad indicare il respiro dei viventi e con altri significati non pertinenti al concetto nostro di anima.Verso la fine nel Libro dei sapienti scritto in greco e per altro altro non parte della bibbia ebraica Tanakh ecco che compare psikè.Probabile comunque che questo è dovuto alla traduzione di un testo semitico precedente.Nella lingua greca psikè non riconduce ad significato univoco sia tra i pagani che tra i cristiani.Quando nella Lettera ai Corinzi Paolo contrappone quello che è psikikon a quello che è pneumatikon adotta un concetto aristotelico intendendo qualcosa di simile al nefesh e non separato da ciò che è materiale.Anche in Giuda 19 gli psikikoi sono soggetti senza spiritualita.Invece il concetto platonico rappresenta si una sorta di anima disgiungibile dal corpo ma è un concetto pagano perchè egli visse molto prima di Cristo e non aveva nozione di quello cristiano.L introduzione delle categorie greche sovrapposte al mondo semitico trasmette fino a noi molta confusione ed approssimazione.Concetti come ombra e neshana sono difficilmente trasferibili alla nostra cultura moderna ed ancora di piu se filtrati attraverso la cultura ellenica

Mentre mi pare indiscutibile la storicità della figura di Gesù, ad esempio se Gesù non fosse esistito gli ebrei probabilmente non avrebbero cercato di sostenere che era figlio di un soldato romano ma avrebbero negato la sua stessa esistenza, diversamente ci sono molti altri elementi di contorno alla sua figura che sono incerti.

Un’introduzione a questi temi la troviamo qua :

https://digilander.libero.it/Hard_Rain/Critica.htm?fbclid=IwAR22eKzM3SplyVjke70vmTuT9pNtP8A1cttcAspFGQM9rtUMioMYHZjbxeM

Di seguito mi avvarrò del supporto di una serie di brani biblici

Luca 4:16-30

16 Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. 17 Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:
18 Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
19 e predicare un anno di grazia del Signore.
20 Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. 21 Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». 22 Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?». 23 Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!». 24 Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. 25 Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26 ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. 27 C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
28 All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; 29 si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. 30 Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

In questo passo di Luca il problema è importante,nella realtà Nazaret non è su un monte,vicino non cè un precipizio e tra i resti antichi di Nazaret non è stata trovata una sinagoga.Esisteva quindi un luogo frequentato da Gesù che aveva caratteristiche simili ? Il luogo ora considerato come monte del precipizio non corrisponde a questa descrizione ! E’ quella attuale la stessa Nazaret biblica ?

Si potrebbe dire che le imperfezioni di Luca derivano dal fatto che non è stato testimone diretto ma si è basato su altre fonti scritte ed orali mentre il materiale sclusivamente lucano non poi così corposo.In questa circostanza allora nel caso Luca non apporta nulla di nuovo e si è dovuto appoggiare su quanto già noto ovvero non solo matteo e marco,con il rischio di inquinare gli eventi con particolari derivati ad esempio da quelle che oggi chiamiamo leggende metropolitane egli verosimilmente raccolse,a meno che leggende non lo erano, forse si dovrebbe escludere da questa riflessione il testo di Luca e basarsi sugli altri tre evangelisti.Però Giovanni è discordante ed allora ne restano due.Infatti mi sembra eccessivo come modo di procedere e del resto luca è canonico ed importante come autore cristiano agli occhi della Chiesa.

Per non sminuire Luca e provare a tentare una modestissima ed imperfetta risposta vediamo questi altri passi sugli eventi della vita di Gesù nei dintorni del Lago di Tiberiade.

Matteo 13:54-58

54 Recatosi nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga, così che stupivano e dicevano: «Da dove gli vengono tanta sapienza e queste opere potenti? 55 Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli (cugini), Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle non sono tutte tra di noi? Da dove gli vengono tutte queste cose?» 57 E si scandalizzavano a causa di lui.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria e in casa sua». 58 E lì, a causa della loro incredulità, non fece molte opere potenti.

Il viaggio prosegue :

Matteo 14,13-21

13 Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. 14 Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
15 Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16 Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». 17 Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». 18 Ed egli disse: «Portatemeli qua». 19 E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. 20 Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. 21 Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Il viaggio prosegue :

22 Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù

34 Compiuta la traversata, approdarono a Genèsaret. 35 E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati, 36 e lo pregavano di poter toccare almeno l’orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano.

Cosa emerge da tutto questo ? Il monte è un luogo dove Gesù arriva dopo essere partito dalla sua patria e poi dal monte compie una traversata in barca ed approda verso Genesaret che si trova sulla sponda del lago in Galilea .Siccome è presumuibile che anche nella logica di Luca basata sulle fonti precedenti Gesù era nazareno perchè Giuseppe andò ad abitare a Nazaret quindi in Galilea e quella Luca considerava la patria di Gesù,chiaro che il Monte si trova dall altra sponda quindi nel Golan,mentre abbiamo visto come Luca non sapeva che a Nazaret non ci sono monte e precipizio sotto il villaggio . A quei tempi nel Golan vicino al lago esisteva un villaggio situato sul monte con un precipizio vicino ? certo era Gamala.Ed a Gamala sono stati trovati i resti di una sinagoga ma non ci sono a Nazaret.Anche uno dei vangeli apocrifi sembra parlare della città di Gesù come un luogo fortificato sopra ad un monte,si tratta del Vangelo di Tomaso “…Gesù disse, “Nessun profeta è benvenuto nel proprio circondario; i dottori non curano i loro conoscenti… una città costruita su un’alta collina e fortificata non può essere presa, né nascosta”…”.

Questo ci dimostra che il monte di Gamala è lo stesso monte ? Di per se stesso no ma procedendo passo a passo vediamo perchè è possibile.

Ai tempi in cui Erode il Grande era un giovane in carriera, speranzoso di arrivare alle altezze politiche che poi raggiunse, egli dovette affrontare in Galilea una “banda” di intransigenti fondamentalisti yahwisti, capeggiati da un certo Ezechia. Giuseppe Flavio ce lo descrive come un dottore (cioè un rabbi) della città di Gamala. Erode riuscì a uccidere il pericoloso capopolo.
Più tardi, alla morte di Erode, il figlio di Ezechia, Giuda, anch’egli di Gamala, erede della causa patriottico religiosa per cui era morto il padre, e animato da un odio personale nei confronti della dinastia erodiana, uscì allo scoperto con azioni antiromane, che riscossero significativi successi militari. Egli, ci dice Giuseppe Flavio, fu leader e forse creatore della setta degli zeloti, che in qualche modo sarà poi connessa con quella degli esseni del Mar Morto. Giuda, era detto il galileo, sollevò un’altra importante rivolta durante il censimento della Palestina supervisionato da Quirino, all’epoca in cui Luca ambienta la nascita di Gesù. Questa volta Giuda perì, insieme pare ad una quantità di zeloti, che furono crocifissi. La crocifissione era una pena applicata dai romani ma non dagli ebrei agli altri ebrei,la condanna verso Gesu è sinedrita,in questo caso VENIVA APPLICATA LA LAPIDAZIONE. La questione del censimento nominato da Luca pure è controversa Secondo gli storici erano due i censimenti : ci fu uno precedente al nostro anno zero di sei anni ed uno successivo di quattro anni.Non era così tassativo che con una donna gravida si dovesse correre alla città di nascita,per Giuseppe era Betlemme,bastava che si registrasse il solo capofamiglia.Comunque i tempi del censimento non erano mai stringenti.

Più tardi ancora i figli di Giuda, pure loro di Gamala, convinti di essere i depositari di un mandato messianico a carattere dinastico, continuarono la lotta del padre e del nonno. Fra loro Giacomo e Simone, arrestati e giustiziati esattamente quando, secondo la tradizione evangelica, furono arrestati i gesuani Giacomo e Simone, con l’accusa di attività sovversive.(David Donnini)

Nonostante quanto esposto, al momento attuale ESCLUDEREI QUALUNQUE SOVRAPPOSIZIONE tra la persone di Giuseppe e di Gesù e quella dei nipoti di Ezechia,mancano evidenze chiare Circa i cugini di Gesù e/o gli apostoli non so rispondere circa eventuali legami di parentela con i nazionalisti di Gamala tuttavia riscontro qualche similitudine.Vediamo però ora in uno studio di Donnini i punti di contatto tra Gesù il galileo e Giuda il galileo,due personaggi ,che a mio avviso certamente sono ben distinti,ma è interessante che si possono verificare alcuni punti che potrebbero schierare entrambe sul fronte messianico esseno zelota sebbene ognuno con le sua peculiare connotazione

Caratteristiche di Giuda il galileo/Gesù il galileo :
La politica di obiezione fiscale Giuda invitava gli ebrei a non pagare le tasse ai romani, poiché ciò sarebbe stato sacrilego, come riconoscimento all’imperatore romano di una sovranità su Israele che spettava esclusivamente a Yahweh; Sebbene viene attribuita a Gesù la frase “date a cesare quel che è di Cesare “,Gesù è stato accusato per questioni relative all’obiezione fiscale (“Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re” Lc XXIII, 2). Si noti la perfetta coincidenza delle tre accuse coi temi del movimento di Giuda;
La denominazione I componenti della sua setta erano definiti “galilei”; il movimento di Gesù era conosciuto col nome “i galilei” (“In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo” Lc XXII, 59; “Una serva gli si avvicinò e disse: Anche tu eri con Gesù, il Galileo!” Mc XXVI, 69);
Gli obiettivi L’ambizione messianica (che fu coronata da uno dei figli di Giuda, Menahem, il quale, durante la terribile guerra del 66-70 d.C., riuscì, seppure per breve tempo, ad indossare la veste messianica in Gerusalemme); Gesù vantava una ambizione messianica, ovverosia il diritto al trono di Israele, al punto da essere definito “figlio di Davide” per numerose volte nella narrazione evangelica. Inoltre tutta la sua famiglia, anche molto dopo la sua morte, continuava a vantare un diritto dinastico (“Quando lo stesso Domiziano ordinò di sopprimere i discendenti di Davide, un’antica tradizione riferisce che alcuni eretici denunciarono anche quelli di Giuda (che era da qualcuno considerato cugino o fratello carnale del salvatore) come appartenenti alla stirpe di Davide e alla parentela del Cristo stesso. Egesippo riporta queste notizie, dicendo testualmente: “Della famiglia del Signore rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detto fratello suo secondo la carne, i quali furono denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide””. Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica)
Le azioni L’incitazione del popolo alla rivolta e l’avere acceso, più volte, focolai di ribellione; Gesù è stato accusato per azioni sovversive (“Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo e dicevava di essere Cristo re” Lc XXIII, 2);
Le conseguenze Praticamente tutti i suoi figli sono stati condannati a morte per la loro attività messianica; Gesù è stato giustiziato dai romani l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei” Mc XV, 25);
La provenienza Gamla. La città di Gesù, secondo la descrizione lucana e quella di Tomaso , deve trovarsi su un monte e nelle strette vicinanze di un precipizio, caratteristica questa che manca del tutto a Nazareth mentre calza a perfezione su Gamla.(schema ricavato da alcune osservazioni di D.Donnini)

Di fronte ai romani del secondo secolo si poteva riconoscere che Giacomo, Simone, Giuda (Didimo)il gemello (Toma in ebraico, Thomas in greco, Tommaso in italiano), elencati come cugini di Gesu negli elenchi sinottici, erano i figli di Giuda il galileo? Si può replicare che nel dedalo inestricabile di omonimie non è affatto certo il legame tra i i figli di Giuda il Galileo ed i personaggi evangelici tuttavia a prescindere da queste considerazioni di certezza storica o meno,di fronte ai romani dei secoli successivi quando c era da predicare Gesù non era certamente possibile anche solo fare sorgere il dubbio che si stava proponendo era una figura anti romana o comunque con orientamenti smaccatamente ebraici, questo potrebbe avere indotto ad una spoliticizzazione del Cristo operata confondendo le acque

Lo scambio ipotetico tra Nazaret ed un altro luogo,forse Gamala,la forzatura forse operata in Matteo 2 23 che dice che le profezie si adempiono con lo stare a Nazaret quando invece i profeti avevano accostato il Messia nazer al germoglio della stirpe davidica,a cosa possono essere dovuti se non all ‘impossibilità di predicare ai romani un messia strettamente od in qualche modo comunque legato al nazionalismo ebraico quindi avverso agli invasori romani ?

Circa qualche legame di parentela tra GESU ed i discendeti di Ezechia c’ è una complessa questione di date Due figli di Giuda vengono giustiziati nel 46 cioè 40 anni dopo la morte del padre avvenuta quando aveva almeno una ventina di Anni nel 6.Se il censimento è stato nell anno 0 come dice Luca sembrano tanti 14 anni di differenza con Giuda senior che diventano 18 se il censimento era quello dell anno 6.Escluderei qualunque idea di fratellanza in linea materna che i vangeli del restano negano tramite la verginità di Maria. Mi sembra improbabile pure in linea paterna . Sappiamo che nella lingua dell’ epoca termini come fratello e cugino non erano facilmente distinguibili.Partendo poi dal pressupposto che Cheofa ed Alfeo sono la stessa persona si potrebbe casomai pensare che Giacomo il minore è loro figlio mentre rimane aperta la questione di Giuda Taddeo (Tommaso Didimo ? ) ,(Giovanni elenca gli apostoli in modo diverso dagli altri).Considerato che non è dimostrato che i cugini di Gesù erano fratelli tra di loro nulla vieta ma non ne abbiamo evidenza che ci fosse un terzo fratello di Giuseppe .La questione è prevalentemente politica piuttosto che genealogica.

C erano delle similitudini tra qualche aspetto degli zeloti e di Gesù ? certamente si .Era GESU’ SEPPURE CON LE SUE PECULIARITA’ ASCRIVIBILE ALLE ATTESE MESSIANICHE EBRAICHE ? CERTAMENTE SI SEBBENE LA SUA FIGURA E’ MOLTO PIU AMPIA RISPETTO AL MOMENTO STORICO NEL QUALE VISSE e non puramente ascrivibile al confronto intraebraico e romano ebraico Era la sua predicazione sovrapponibile a quella zelota ? IN PARTE cosi come conteneva elementi tipici di non una sola scuola rabbinica.

Teniamo anche conto che finchè fu in vita non concesse la predicazione verso i gentili.Vero anche che in origine questo ultimo aspetto poi modificato da Gesu secondo la narrazione degli autori biblici. quando la concesse dopo la crocifissione, non era riportato da Marco, il Vangelo di Marco si concludeva con il sepolcro vuoto e successivamente venne integrato con l aggiunta del finale a noi noto.In Matteo 15,24 Gesu dice “non sono stato mandato altro se non alle pecore perdute/smarrite della casa di israele”, qua il parallelismo è rigoroso verso le 10 tribu perdute della Casa di Israele,quelle del nord ritenute paganeggianti.

Non possiamo non constatare come nell Antico Testamento le profezie sono separate tra quelle per La Casa di Israele,Per la Casa di Giuda,per i figli di Gerusalemme che contestualizziamo come al momento non facevano parte ancora del Regno di Giuda ma della Tribu di Beniamino poi entrata successivamente tra i giudei e di conseguenza il tutto è molto coerente.Ad ulteriore dimostrazione in Giovanni 4,22 Gesu dice alla donna samaritana presso il pozzo “La salvezza viene dai Giudei”,l importanza di questa frase è sottovalutata perchè si vede come è la Casa di Israele ed in seguito i Gentili che vanno portati sulla strada monotesista giusta mentre i giudei in apparenza gia ci sono perchè da loro viene la salvezza.Non ci sono neanche i samaritani.La distinzione tra un gruppo con Israele ed un altro con Giuda la leggiamo anche in 2 Cronache 34 quando al 9 portano al Sommo Sacerdote Celchia l oro raccolto dai custodi leviti e poi da Manasse da Efraim e da tutto il resto di Israele, poi aggiunge oltre a questi :da Giuda da Beniamino e dagli abitanti di Gerusalemme.

CHIARO COME IN QUESTO CASO NON SI TRATTA DEL RESTO DI ISRAELE IN ISAIAH 10 CHE TORNO’ DALLA DEPORTAZIONE PER COSTRUIRE IL SECONDO TEMPIO,SI TRATTA DEL RESTO DELLE 10 TRIBU OLTRE QUELLE CITATE, QUINDI IL RESTO DELLA SOLA CASA DI ISRAELE,RESTO DEL QUALE NON FANNO PARTE BENIAMINO GIUDA E CHI STA A GERUSALEMME CHE APPARTENNERO AL REGNO ED ALLA CASA DI GIUDA.QUESTI(Giuda e Beniamino ed i figli di Gerusalemme) IL RESTO DI ISRAELE QUESTA SECONDA VOLTA INTESO QUELLO STORICO BIBILICO DELLA RICOSTRUZIONE DEL SECONDO TEMPIO QUINDI CIO CHE RIMANE A LORO DIRE DEI VERI EBREI COLORO CHE RAPPRESENTAVANO IN ORIGINE “ISRAEL” IN EBRAICO INTESO COME IL POPOLO DI DIO ,NON INTESO COME LA CASA DI ISRAELE QUELLA DEL REGNO DEL NORD.ANZI ERANO CREDENTI DEI GRUPPI DELLA CASA DI GIUDA

ISAIAH 10 20-22https://www.biblegateway.com/passage/?search=Isaia%2010%3A20-22&version=CEI

20 In quel giorno
il resto di Israele e i superstiti della casa di Giacobbe
non si appoggeranno più su chi li ha percossi,
ma si appoggeranno sul Signore,
sul Santo di Israele, con lealtà.
21 Tornerà il resto,
il resto di Giacobbe, al Dio forte.
22 Poiché anche se il tuo popolo, o Israele,
fosse come la sabbia del mare,
solo un suo resto ritornerà;
è decretato uno sterminio
che farà traboccare la giustizia,

Concludendo cio che riguarda Gv 4.22 nello specifico Gesu presso il pozzo si rivolge ad una Samaritana,quindi appartenente ad un gruppo nato dalla fusione tra ebrei sfuggiti alla deportazione con gruppi di stranieri portati nella loro terra in sostituzione di quelli deportati.Questo fu la premessa della nascita del sincretismo religioso samaritano poi in parte corretto dopo il rientro del “resto di Israele ” che lo spinse verso una religiosità piu vicina a quella degli ex esuli ma che mai venne integrato per via di resistenze da parte degli uni e degli altri.Qua si innesca la questione circa l identificazione di coloro piu vicini alla religiosita ebraica originale che probabilmente sebbene mutata in entrambe non puo essere rappresentata dai samaritani per via del sincretismo e forse anche dei matrimoni misti.In seguito i samaritani tra il 454 fino a tutto il medioevo vennero progressivamente costretti a convertirsi all islam dai turchi,si apre cosi la possibilita che quella parte degli attuali islamici di Israele di non relativamente tardiva immigrazione potrebbe essere rappresentata da samaritani convertiti,anche perchè non si spiega come fino al 1898 le fonti arabe non citano i palestinesi,probabilmente la maggior parte non era ancora immigrata e le prime generazioni immigrate non avevano in primis un etnos palestinese ma si sentivano giordane,egiziane ecc,il resto,quelli di piu antica residenza erano i samaritani forse,di certo nulla hanno a che fare con i filistei

Nella vulgata ebraica ad un certo punto nazireo era diventato sinonimo di capelluto in riferimento a coloro che avevano fatto voto di nazireato che avevano tra le regole quella di non tagliarsi i capelli.

Giovanni Battista altro cugino di Gesu era nazireo.mentre a partire solo da un certo punto in avanti della narrazione evangelica anche Gesù pare astenersi dal vino mentre sappiamo dall immagine dell uomo della sindone che i capelli li aveva piuttosto lunghi.Giovanni Battista Per una serie di circostanze,a cominciare dall idea del battesimo,dai luoghi dove operava e da altri elementi,egli stesso pare per vari aspetti qumruniano ,tenendo comunque presente che la storia di Qumrum è complessa e frutto di varie vicissitudini che si sono susseguite.

“Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” (Lc I, 80);

“si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione” (Mc I, 4);

“In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perchè il regno dei cieli è vicino!”. Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” (Mt III, 1-3).

Qumrum regole “…per andare nel deserto a preparare la via di lui, come sta scritto: “Nel deserto preparate la via … appianate nella steppa una strada per il nostro Dio”…” (Regola della Comunità VIII, 13-14),

inoltre il battesimo era il rito caratteristico della setta qumraniana per l’ammissione di nuovi confratelli

Cosa ci dicono le fonti sui qumrumiani :

“…sono divisi [gli esseni, n.d.a.] fin dall’antichità e non seguono le pratiche nella stessa maniera, essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all’estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta [non ebraica, n.d.a.] asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in una città per tema di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri udendo qualcuno discorrere di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si lascia circoncidere; qualora non acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto da questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri ancora si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte” (Ippolito Romano, Refutatio IX, 26).

Quindi Giovanni Battista altro cugino di Gesù per distanza geografica e per retroterra culturale non sembra lontano dalle caratteristiche esseno zelote di Qumrum ,sede che era connessa al gruppo venuto da Gamala

Per comprendere un eventuale scambio tra Nazaret e Gamala dobbiamo considerare che Paolo di Tarso secondo la tradizione muore decapitato a A Roma alle Aquae Salvae ora noto come Tre fontane,la parte dove ci sono le tre basiliche,non quella della grotta della rivelazione che invece si trova dall altro lato della laurentina al n 400.Eppure per circa cento anni nessuna fonte cita le sue lettere fino a quando a portarle a Roma è marcione che però viene dichiarato eretico.La riforma di Marcione era quella di indicare il Dio del Nuovo Testamento diverso da quello dell Antico,il Cristo rivelato e non incarnato.In questo modo radicale Marcione può staccare Cristo dal movimento messianico ebraico antiromano.Ancora verso il 150 il Cristo incarnato tuttavia pare sconosciuto alle fonti storiche romane sebbene questo è considerato un elemento tipico della cultura ellenizzante e non di quella ebraica.

La riforma paolina è invece meno radicale di quella di Marcione,sebbene circoleranno due versioni delle lettere di Paolo portate a Roma da Marcione,Una diffusa dallo stesso Marcione sulla quale si basa la sua eresia,quantomeno quella che per la Chiesa è eresia,l altra versione è della Chiesa ufficiale.Gli storici di volta in volta sospetteranno uno dei due personaggi oppure entrambe di falsificazione,oppure di falsificazione operata dalla Chiesa.Paolo annuncia un Cristo non più vendicativo come nell Antico Testamento ma portatore di pace e amore.rifiuta la legge mosaica che invece era applicata dalla Chiesa Cristiana di Gerusalemme che aveva a capo Giacomo il giusto altro cugino di Gesù.

E’ evidente che il Cristo di Paolo per i romani ellenizzanti era molto più accettabile che quello di Giacomo il giusto ,considerato troppo vicino al nazionalismo ebraico,e pure di quello di Marcione che non essendo incarnato era più lontano dalla cultura greco romana.

Re Gioisia già da seicento anni aveva indirizzato gli ebrei verso la monolatria ed il monoteismo.Eppure Paolo fa un riferimento anche questa volta più rivolto al mondo greco romano con il suo pantheon di dei piuttosto che a quello ebraico ormai abbastanza Yahwista ,il riferimento è questo :

1Corinzi 8,5-6

5 E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, 6 per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.

Questo non è monoteismo che ammette l esistenza di un solo Dio ma è monolatria ovvero si ammette l esistenza oggettiva di altri dei ,di altri signori,ma un solo Dio ed un solo Signore si adora.

Considerato che la riforma ebraica di Giosia è antica di seicento anni addietro pare più una considerazione rivolta politicamente ai romani.il che fa strano perchè Paolo non dovrebbe ammettere l esistenza di altri dei.Un conto è separare il messia dell orgoglio ebraico da Cristo,camuffando la questione di NAZER NAZARENO ,uno più grave è invece considerare l esistenza di altri dei sebbene non li si adori.

A questo punto chiaro che non poteva essere detto ai romani,qualora Cristo fosse stato di Gamala,che lo era

Paolo e Marcione attraverso il logos e la monolatria conducono i cristiani alla riforma di stampo romano ellenistico riguardo al pensiero di Gesu

Pure Giustino martire nello scrivere ad uno degli imperatori Antonini dice che la sua religione non è poi tanto diversa dalla loro.Era impensabile che chi predicava ai romani potesse presentare Gesu come un soggetto ascrivibile al filone nazionale ebraico

<<Voi sapete, fratelli, che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunciai il vangelo>>. (Gl. 4,13) Il motivo per cui Paolo ci tenne a far conoscere la sua malattia dipese dal fatto che a quei tempi si credeva che l’epilessia fosse una predilezione che gli dei riservano a coloro con i quali essi intendevano entrare in contatto, tanto che uno dei motivi per cui Giulio Cesare fu considerato semi-dio furono gli attacchi epilettici dei quali soffriva.

Paolo è ignorato da Giustino, apologeta e scrittore cristiano, morto a Roma nel 165, il quale attribuisce la conversione dei pagani esclusivamente ai dodici apostoli (Apologia I, 39-45), e ugualmente è disconosciuto da Papia, vescovo di Geropoli (Asia Minore) nella prima metà del II secolo, suo conterraneo, che scrisse un’apologia sulle “Sentenze del Signore”, e nessuna menzione viene fatta di lui nelle lettere di Giuda, di Giacomo il Minore e di Giovanni che gli sarebbero contemporanee essendo state scritte nella seconda metà del I secolo

Il primo a Parlare di lui fu l ERETICO Marcione, di Sinope sul mar Nero, allorché nel 140, presentatosi alla comunità di Roma per mostrare il suo vangelo, consegnò alla stessa alcune lettere affermando che erano state scritte da un certo Paolo predicatore che aveva conosciuto i discepoli di Cristo.

Siamo nella prima metà del secondo secolo e tutti negano ancora l’incarnazione di Cristo, la negano Marcione, Papia, Carpocrate, Valentino, Nicola, Basilide i Doceti e tutti gli altri teologi

In seguito alla separazione degli esseni/cristiani di origine ebraica dagli esseni/cristiani di origine pagana determinata dall’istituzione del sacramento dell’Eucaristia, la comunità di Roma, nella decisione che aveva preso di dare al proprio Cristo l’incarnazione, respingendo ogni teoria gnostica, espulse Marcione dichiarandolo eretico pur conservando il suo vangelo e le lettere di Paolo che diventano la colonna portante di un cristianesimo che sarà costruito sull’incarnazione di Gesù.Unitamente agli Atti degli apostoli scritti dallo stesso luca che però non era stato testimone diretto ed egli sembra l unico tra le fonti antiche a dichiarare di avere conosciuto Paolo
<<E mentre i giudei chiedono miracoli e i greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocefisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani>>. (Cor. 1,22).

Non c’è nessuna allusione a nessuno dei vangeli canonici nella “Lettera di Barnaba” scritta nel 140, né nel “Pastore di Ermas” scritto nel 150, né nella “Lettera ai Corinti” scritta da Clemente nel 150 nella quale si parla della passione di Cristo non come fatto storico ma come una profezia che si è realizzata secondo il profeta Isaia Giustino, morto nel 165, ignora gli Atti degli Apostoli

<<Qualcuno dice io sono di Pietro Cefa, io sono di Apollo d’Alessandria, io sono di Cristo>>(1Cor 1, 12) … << perché io non sono affatto inferiore a quei SUPERapostoli anche se io sono nulla>>(2 Cor 11,5)(2 Cor 12,11)… <<Sono essi Ebrei? Anch’io lo sono! Sono Israeliti? Anch’io! Sono della stirpe di Abramo? Anch’io! Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro>>. (II Cor. 11,22 23). << Tutti coloro che sostengono un altro Cristo differente dal mio sono falsi apostoli, operai fraudolenti che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché satana si maschera da angelo di luce>>. (II Cr. 11,13 14)

Praticamente Paolo, sostiene che il suo Cristo conosciuto per rivelazione (Galati 1 11 Vi dichiaro, fratelli, che il vangelo da me annunciato non è opera d’uomo; 12 perché io stesso non l’ho ricevuto né l’ho imparato da un uomo, ma l’ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo) è superiore a quello degli altri e quindi anche di Pietro e Giacomo. In seguito anche i montanisti sosterranno che le rivelazioni di coloro venuti dopo sono superiori.Ed oggi è tipico dei carismatici che non ha caso fanno cosante riferimenti alla teologia paolina. In questa vicenda dei Cristi che sono alla base delle discussioni, quello che risulta essere il veritiero, secondo gli Atti degli Apostoli,scritti da luca,è proprio quello di Paolo, allorché Cristo in una ennesima visione, rivolgendosi a lui gli dice di lasciare la comunità essena giudaico cristiana di Gerusalemme perché non avrebbero mai riconosciuto il suo come vero: <<18 e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me.>>. (At. 22, 18).

DOPO FILONE partono le teorie gnostiche, Filone per rendere il più possibile intelligibile il suo Logos, scrisse un vangelo ad imitazione di quelli dei Culti dei misteri, nel quale parlando di un Salvatore e dei suoi seguaci, fornì il motivo a S. Epifanio e a S. Eusebio, di affermare che Filone era a conoscenza di Gesù e dei suoi discepoli.

Sul Cristo che Paolo conosce per rivelazione ci sono a gettare sconcerto tre diverse versioni in Atti che il probabile autore Luca,il medesimo di uno dei Vangeli quindi colui che fa confusione su Nazaret e Gamala,riporta. Atti 9 : 4 e, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» 5 Egli domandò: «Chi sei, Signore?» E il Signore: «Io sono Gesù, che tu perseguiti. 6 Àlzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». 7 Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero fermi, senza parole, perché udivano la voce ma non vedevano nessuno. 8 Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla; e quelli, conducendolo per mano, lo portarono a Damasco. Atti 22 :7 Caddi a terra e udii una voce che mi disse: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” 8 Io risposi: “Chi sei, Signore?” Ed egli mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. 9 Coloro che erano con me videro sì la luce, ma non intesero la voce di colui che mi parlava Atti 26 : 14 Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. 15 E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. 16 Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. 17 Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando 18 ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me.

Si sta parlando di quanto Dio avrebbe detto a Paolo secondo la versione di questo ultimo

“Agli esegeti che fanno rimarcare che Filone non poteva assolutamente riferirsi a Gesù nel suo vangelo perché mai in esso aveva fatto il suo nome, la Chiesa risponde che se Filone non nominò mai Gesù ciò dipese dal fatto che egli si riferì a lui in forma esclusivamente allegorica

Tertulliano avvertiva la necessità di mostrare in quali punti L ERETICO Marcione cambiò il vangelo di Luca (libro IV) e le lettere di Paolo (libro V).La questione non era di poco conto, visto che, almeno fino alla prima metà del II secolo, l’unica Bibbia da tutti riconosciuta era quella che i cristiani, proprio in questo periodo,chiamarono‘Antico Testamento’ secondo la versione greca dei LXX,…Come operò Marcione? Ireneo e Tertulliano attestano che Marcione tagliò e mutilò i testi di Luca e di Paolo in tanti luoghi, tanto da renderli non più riconoscibili in molti punti Secondo Marcione, i testi stessi provavano che il Dio della bibbia giudaica, giusto e vendicativo,era totalmente diverso dal Dio di Luca e Paolo, buono e misericordioso.Ecco Marcione dunque, ad un solo sguardo esterno alla sua opera, sembra aver colto nella tradizione cristiana qualcosa di essenziale che egli volle fissare in testi scritti, affinché questi potessero diventare normativi per le future generazioni. La bontà di Dio rivelata in Cristo, annunciata dal vangelo e testimoniata da Paolo, non poteva essere confusa e mescolata con altre rivelazioni di grado inferiore come la bibbia giudaica.”

https://www.homolaicus.com/storia/antica/atti_apostoli/commenti2/lettere_paolo_atti.htm

IL PUNTO E CHE LO STESSO TERTULLIANO IN QUANTO MONTANISTA FINIVA PER INSERIRSI NEL FILONE CHE DA PAOLO FINO AI CARISMATICI CONSIDERA CHI E VENUTO DOPO DEPOSITARIO DI VERITA PIU IMPORTANTI

Uno studio di Girolami evidenzia un esempio della differenza tra il testo dei settanta e quello di Marcione nella parabola di Lazzaro in Luca 16 19,la parabola lucana secondo Marcione offre uno spaccato significativo di molti temi legati alla sua predicazione. Innanzitutto la sua visione cosmologica costringe a rileggere il luogo di Abramo non più come un luogo appartenente al mistero di Dio, ma una condizione di consolazione nel regno degli inferi dove si trova per altro anche il ricco. Tale visione è dettata dalla dottrina dei due dèi: il dio di Abramo non è il dio predicato da Cristo e quindi Abramo non ha il privilegio di conoscere la rivelazione divina. In secondo luogo tutti coloro che ascoltano Mosè perdono tempo, secondo Marcione, perché la realtà della risurrezione non è conosciuta dall’Antico Testamento, ma è rivelata solo da Cristo a Paolo

ECCO LE DIFFERENZE

Novum Testamentum Graece

19

Ἄνθρωπος δέ τις ἦν πλούσιος, καὶ ἐνεδιδύσκετο πορφύραν καὶ βύσσον εὐφραινόμενος καθ᾽ ἡμέραν λαμπρῶς.

20

πτωχὸς δέ τις ὀνόματι Λάζαρος ἐβέβλητο πρὸς τὸν πυλῶνα αὐτοῦ εἱλκωμένος

21

καὶ ἐπιθυμῶν χορτασθῆναι ἀπὸ τῶν πιπτόντων ἀπὸ τῆς τραπέζης τοῦ πλουσίου· ἀλλὰ καὶ οἱ κύνες ἐρχόμενοι ἐπέλειχον τὰ ἕλκη αὐτοῦ.

22

ἐγένετο δὲ ἀποθανεῖν τὸν πτωχὸν καὶ ἀπενεχθῆναι αὐτὸν ὑπὸ τῶν ἀγγέλων εἰς τὸν κόλπον Ἀβραάμ· ἀπέθανεν δὲ καὶ ὁ πλούσιος καὶ ἐτάφη.

23

καὶ ἐν τῷ ᾅδῃ ἐπάρας τοὺς ὀφθαλμοὺς αὐτοῦ, ὑπάρχων ἐν βασάνοις, ὁρᾷ Ἀβραὰμ ἀπὸ μακρόθεν καὶ Λάζαρον ἐν

τοῖς κόλποις

αὐτοῦ.

24

καὶ αὐτὸς φωνήσας εἶπεν· πάτερ Ἀβραάμ, ἐλέησόν με καὶ πέμψον Λάζαρον ἵνα βάψῃ τὸ ἄκρον τοῦ δακτύλου αὐτοῦ

ὕδατος καὶ καταψύξῃ τὴν γλῶσσάν μου, ὅτι ὀδυνῶμαι ἐν τῇ φλογὶ ταύτῃ.

25

εἶπεν δὲ

Ἀβραάμ· τέκνον, μνήσθητι ὅτι ἀπέλαβες τὰ ἀγαθά σου ἐν τῇ ζωῇ σου, καὶ Λάζαρος ὁμοίως τὰ κακά· νῦν δὲ ὧδε

παρακαλεῖται, σὺ δὲ ὀδυνᾶσαι.

26

καὶ ἐν πᾶσι τούτοις μεταξὺ ἡμῶν

καὶ

ὑμῶν

χάσμα μέγα ἐστήρικται, ὅπως οἱ θέλοντες

διαβῆναι

ἔνθεν

πρὸς ὑμᾶς μὴ δύνωνται, μηδὲ ἐκεῖθεν πρὸς ἡμᾶς διαπερῶσιν.

27

εἶπεν δέ· ἐρωτῶ

σε οὖν

,

π

άτερ, ἵνα πέμψῃς αὐτὸν εἰς τὸν οἶκον

τοῦ

π

ατρός μου

,

28

ἔχω γὰρ πέντε ἀδελφούς

,

ὅπως διαμαρτύρηται αὐτοῖς

,

ἵνα μὴ καὶ αὐτοὶ ἔλθωσινεἰς τὸν τόπον τοῦτον τῆς βασάνου.

29

λέγει δὲ Ἀβραάμ


ἔχουσι Μωϋσέα καὶ τοὺς προφήτας· ἀκουσάτωσαν αὐτῶν

.

30

ὁ δὲ εἶπεν· οὐχί, πάτερ Ἀβραάμ,

ἀλλ᾽ ἐάν τις ἀπὸ νεκρῶν πορευθῇ πρὸς αὐτοὺς μετανοήσουσιν.

31

εἶπεν δὲ αὐτῷ· εἰ Μωϋσέως καὶ τῶν προφητῶν οὐκ ἀκούουσιν, οὐδ᾽ ἐάν τις ἐκ νεκρῶν ἀναστῇ πεισθήσονται.

Marcione

19

Ἄνθρωπος τις ἦν πλούσιος, καὶ ἐνεδιδύσκετο πορφύραν καὶ βύσσον εὐφραινόμενος καθ᾽ ἡμέραν λαμπρῶς.

20

πτωχὸς δέ τις ὀνόματι Λάζαρος ἐβέβλητο πρὸς τὸν πυλῶνα αὐτοῦ ἡλκωμένος

21

καὶ ἐπιθυμῶν χορτασθῆναι ἀπὸ τῶν πιπτόντων ἀπὸ τῆς τραπέζης τοῦ πλουσίου· ἀλλὰ καὶ οἱ κύνες ἐρχόμενοι ἔλειχον τὰ τραύματα αὐτοῦ.

22

ἐγένετο δὲ ἀποθανεῖν τὸν πτωχὸν καὶ ἀπενεχθῆναι αὐτὸν ὑπ᾽ἀγγέλων εἰς τὸν κόλπον Ἀβραάμ· ἀπέθανεν δὲ καὶ ὁ πλούσιος καὶ ἐτάφη.

23

ἐν τῷ ᾅδῃ. ἐπάρας οὖν τοὺς ὀφθαλμοὺς αὐτοῦ, ὑπάρχων ἐν βασάνοις, ὁρᾷ Ἀβραὰμ ἀπὸ μακρόθεν καὶ Λάζαρον ἐν τῷ κόλπῳ

αὐτοῦ.

24

καὶ αὐτὸς φωνήσας εἶπεν· πάτερ Ἀβραάμ, ἐλέησόν με καὶ πέμψον Λάζαρον ἵνα βάψῃ τὸ ἄκρον τοῦ δακτύλου ὕδατος καὶ καταψύξῃ τὴν γλῶσσάν μου, ὅτι ὀδυνῶμαι ἐν τῇ φλογὶ ταύτῃ.

25

Ἀβραάμ δὲ εἶπε· τέκνον, μνήσθητι ὅτι ἀπέλαβες σὺ τὰ ἀγαθά ἐν τῇ ζωῇ σου, καὶ Λάζαρος ὁμοίως τὰ κακά· νῦν δὲ ὅδε παρακαλεῖται, σὺ δὲ ὀδυνᾶσαι.

26

καὶ ἐν (ἐπὶ?) πᾶσι τούτοις μεταξὺ ὑμῶν καὶ ἡμῶν χάσμα μέγα ἐστήρικται, ὅπως οἱ ἐνταὺθα

διαβῆναι πρὸς ὑμᾶς μὴ δύνωνται, μηδὲ σὶ ἐκεῖθεν ὦδε διαπερῶσιν.

27

εἶπεν δέ· ἐρωτῶ οὖν σε, πάτερ, ἵνα πέμψῃς αὐτὸν εἰς τὴν οἰκίαν τοῦ πατρός μου,

28

ἔχω γὰρ ἐκεῖ πέντε ἀδελφούς, ὅπως διαμαρτύρηται αὐτοῖς, μὴ καὶ αὐτοὶ ἔλθωσιν εἰς τοῦτον τὸν τόπον τῆς βασάνου.

29

λέγει αὐτῷ · ἔχουσι Μωσέα καὶ τοὺς προφήτας·

αὐτῶν ἀκουσάτωσαν.

30

ὁ δὲ εἶπεν· οὐχί, πάτερ, ἀλλ᾽ ἐάν τις

ἐκ

νεκρῶν πορευθῇ πρὸς αὐτοὺς μετανοήσ

ω

σιν.

31

ὁ δὲ εἶπεν· εἰ Μωϋσέως καὶ προφητῶν οὐκ ἤκούσαν, οὐδ᾽άν τις ἐκ νεκρῶν ἀπέλθῃ ἀκούσωσιν αὐτοῦ.


Secondo altre fonti come il Circolo Renan non fu solo Marcione a modificare i testi ma, falsificando le Lettere che Marcione aveva portato con sé dalla Siria insieme al suo vangelo e aggiungendone altre, il Paolo, prima filoniano e poi gnostico, fu spudoratamente trasformato dalla Chiesa nel sostenitore di un Cristo incarnato facendogli scrivere nel prologo della Lettera ai Romani, che poi è l’introduzione a tutte le Lettere: << Io sono Paolo, servo di Dio, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio riguardo al figlio, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne >>. (Rm. 1,1).
E con questa frase, interpolata come introduzione alla prima delle 14 lettere messe sotto il suo nome, la Chiesa si sarebbe arrogata ogni pretesa per usare Paolo come sostenitore quel Cristo-uomo che doveva imporsi a tutti gli altri Cristi esseni che lo avevano preceduto: il Logos filoniano delle visioni e il Salvatore gnostico.

Il Circolo Renan allorché parla delle interpolazioni e delle falsificazioni che ritiene certe ed evidenti sostiene che rendono le lettere di S. Paolo di Tarso uno zibaldone di incoerenti follie tali da portare uno degli stessi falsificatori a riconoscerlo, facendo dire dall’eccellentissimo Festo: << Paolo, tu sei pazzo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!>>. (At. 26,24), e a far dire a Paolo in una lettera ai Romani (7-15,24): <<15 Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; 17 quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 18 Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19 infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20 Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 21 Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me.22 Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, 23 ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. 24 Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?”

In questa anarchia di vangeli nei quali si parlava in alcuni dell’infanzia di Gesù, in altri della vita della Madonna, ne sorsero alcuni, di matrice ebrea che in antitesi ai vangeli del cristianesimo, costruirono un Gesù che nato dall’unione di un soldato romano con una prostituta ebrea, lo facevano risultare un uomo geniale, ma cattivo e perfido da rapportarlo a Satana (vedi le “Toledoth” da cui deriva il “Vangelo del Ghetto”), si andò avanti in un continuo di diatribe che, via via che i concetti si sistemavano, sorgevano in seno agli stessi padri della Chiesa finché Costantino non radunò tutti sotto un unica ecclesia“.(https://www.homolaicus.com/storia/antica/atti_apostoli/commenti2/lettere_paolo_atti.htm)

A quel punto la ecclesia di Costantino rappresenta ancora fedelmente il credo gesuano oppure è piu incline a rappresentare le rivelazioni successive all era apostolare ed il processo di ellenizzazione ?

In Atti I :”[6]Così venutisi a trovare insieme (gli apostoli) gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?». [7]Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, [8]ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».” Gevulot Ha aretz era il concetto ebraico di confini della Terra ed era riferito al Regno quello unificato da Davide , qua nel contesto si adatta perfettamente e meglio di quello greco (evangelizzazione mondiale) circa la domanda sulla ricostituzione del regno (che in questo caso non può essere la Nuova Alleanza perché non si può ricostituire ciò che non è stato revocato ma è riferito alle attese religiose e politiche, che Gesù nella risposta non boccia)

6 Οἱ μὲν οὖν συνελθόντες ἠρώτων αὐτὸν λέγοντες· Κύριε, εἰ ἐν τῷ χρόνῳ τούτῳ ἀποκαθιστάνεις τὴν βασιλείαν τῷ Ἰσραήλ; 7 εἶπεν δὲ πρὸς αὐτούς· Οὐχ ὑμῶν ἐστιν γνῶναι χρόνους ἢ καιροὺς οὓς ὁ πατὴρ ἔθετο ἐν τῇ ἰδίᾳ ἐξουσίᾳ, 8 ἀλλὰ λήμψεσθε δύναμιν ἐπελθόντος τοῦ ἁγίου πνεύματος ἐφ’ ὑμᾶς, καὶ ἔσεσθέ μου μάρτυρες ἔν τε Ἰερουσαλὴμ καὶ ἐν πάσῃ τῇ Ἰουδαίᾳ καὶ Σαμαρείᾳ καὶ ἕως ἐσχάτου τῆς γῆς

Anche perché gli Apostoli non l’ hanno disattesa la vecchia alleanza semmai è considerata disattesa da chi non ha riconosciuto il Messia.lA RISPOSTA DI GESU IN NESSUN MODO NEGA O DISCONOSCE LE ASPETTATIVE POLITICHE NAZIONALI GIUDAICHE NON LE ESCLUDE NE DALL OPERA DI DIO NE DA CIO CHE POTRA AVVENIRE IN FUTURO.iL “MI SARETE TESTIMONI” NON E’ RIGUARDO AI TEMPI CHE NON VENGONO INFATTI ESPLICITATI MA RIGUARDO A CHE EGLI IN QUALCHE MODO CONFERMA CHE CIO AVVERRA.

Nel contesto sociopolitico del mondo romano potevano essere del tutto espliciti in proposito ? Ovviamente no.Si trattava di dare speranza alle aspettative giudaiche senza prendere di punta l Impero.Ognuno che ha letto fara le sue considerazioni circa quanto Gesu è legato al mondo semitico piuttosto che a quello greco.

@Alfredo Antonini



Bibliografia

http://www.bibbia.net/
https://www.homolaicus.com/storia/antica/atti_apostoli/commenti2/lettere_paolo_atti.htm
http://www.fisicamente.net/SCI_FED/index-954.html
http://www.academia.edu/31826895/a_proposito_di_marcione
Luca Cascioli
Jehanne la pucelle – F. Maquet
L’athée – J. Nicolet
Et voilà pourquoi ils ne croient plus – H. Goutemiel
Ce que j’ai cru, ce que je crois – L. E. Mestre
Ce dont je suis sûr – J. Bournisien
Enquête sans salamalecs chez Mahomet – St Damien
Eglise, qu’as-tu fait de l’Evangile de la vie – A. Bruno
Dieu n’existe pas – P. Alfaric
Le complot clérical – J. Cotereau
Du cloître à l’athéisme – M. M. Hermet
Les absurdités de la bible – Ederespo
Jésus Christ a t-il existé ? – G. Las Vergnas
J’ai dit non à ma secte – G. Angeleri
De la légende de Jésus Christ – C. Chillard
Le bon sens – Meslier, d’Holbach
Vie dramatique de la gentille Bernadette Soubirous – A. Beaughon
Enquête sans salamalecs chez Mahomet – St Damien
Pourquoi je ne suis pas chrétien – B. Russel
L’Eglise a t-elle collaboré ? – J. Cottereau
L’Egypte fascinante – A. Bochot
Si Dieu existait – R. Pannier

KARAIMI NELLE TERRE SLAVE BALTICHE ED IMPERIALI RUSSE.KARAITI IN ISRAELE @alfredoantonini

In questo scritto viene sviluppato sinteticamente sia il tema dei Karaiti sia quello dei Karaimi krymkaralyar ,non quello dei krymchaks che pure sono locutori di un linguaggio turco ebraico ma diverso dai secondi,che potrebbero o meno avere origini simili e che fondamentalmente si differenziano dai primi per la forma di religione cosi come anche all interno dell ebraismo ortodosso i Krymchaks si differenziano e rappresentano un gruppo a parte che adotta il libro di preghiere di Kaffa oggi nota come Feodosia,anche dai secondi si differenziano per motivi religiosi.Ad una visione poco pratica i tre gruppi potrebbero essere facilmente confusi.Teniamo presente che come le altre volte si parla di turchi come gruppo linguistico e non necessariamente come gruppo etnico o genetico.E’anche vero che la maggioranza dei turchi sono tartari o tatari a seconda del termine che più vi garba ,vi ricordo anche l abitudine turca,desunta dai resti delle antiche sepolture,di sposare donne mongole.Tartaro e tataro stanno ad indicare genti miste turco mongole,Mistura che non deriva solo da antichi matrimoni ma anche dalla conquista mongola delle terre dei locutori turchi.Resta il fatto che l altra parte di turchi non sono di medesima origine ma genti probabilmente di antica lingua iranica o indoiranica che ha assunto la lingua turca in una delle sue sottocategorie ed anche genti di ulteriori antiche origini.

Come si definisce la maggior parte dei karaimi dell est europeo ? Si considera,soprattutto in Crimea,quale turca turanica derivante da una antica scissione della chiesta cristiana nestoriana dovuta ad una diatriba sul monachesimo e sull ascetismo.Fa riferimento alla Torah(non al Talmud),alla Bibbia,al Corano,Si tratta di una sorta di religione universale.Non tutti condividono questa esposizione,alcuni ritengono che si tratta di ebrei della diaspora mediorientale allontanatisi da Gerusalemme dopo la distruzione del primo tempio.oppure del secondo,oppure ancora di Samaritani .In questi ultimi casi potrebbero poi essersi mischiati con i sopravvisuti sadducei e con altri gruppi preananiti antirabbinici, fino all avvento di Anan Ben David verso l anno 760,forse tra questi gruppi uno faceva rifermento a Giovanni Bar Zebedeo ed esisteva già intorno all anno 600.Non so se avevano a che fare con le chiese gnostiche e gioannite.Da quel momento divennero noti come ananiti.

"The literature of the Karaites we will easily see that they are none others than the Samaritans",lo sosteneva Babylonian Talmud, Book 10: History of the Talmud, tr. by Michael L. Rodkinson, [1918]
Si tratta di ebrei che non riconoscono i rabbini cosi come al tempo passato,questa volta a differenza dei sadducei,non riconoscevano il Sinedrio nel caso erano Samaritani.Rammento già prima del tempo di Gesù le differenze tra ebraismo enochico e rabbinico sinedrita.Per il vero rispetto ai sadducei biblici forse avevano anche varie altre ipotetiche differenze.perchè non è del tutto certa la teologia originale sadducea.L ipotesi dell interpretazione mediorientalista circa le origini dei Karaimi era quella che aveva calvacato Firkovich per sostenere che i karaimi non potevano rientrare tra le varie leggi antiebraiche che si sono succedute nel tempo perchè allontanatisi anteriormente da Gerusalemme non potevano avere respondabilità circa la morte di Gesù,in ogni caso non capisco perche di questo si ritiene responsabili tutti gli ebrei per una colpa unicamente del sinedrio a maggioranza sadducea e che era un organo fantoccio messo in piedi dai romani per fare da cuscinetto e che non rappresentava in nessun modo il popolo di Israele ma solo se stesso ed i romani.Comunque Firkovich,archeologo e pare a volte falsario al quale dobbiamo però il ritrovamento del codex leningradensis questo invece considerato autentico,ebbe successo ed ottenne dai Romanov una sorta di immunità per i Karaimi. In seguito anche i nazisti accolsero quei principi .Dal mio punto di vista non posso escludere la coesistenza di entrambe le origini tra i karaimi.Sia nel quadro degli studi genetici disponibili ad ora sia in quello degli studi storici e teologici è complicato stabilire la loro origine.

i Karaimi https://www-nehemiaswall-com.translate.goog/karaites-holocaust-case-mistaken-identity?_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it : “affrontarono un pericolo molto reale e tangibile da parte dei nazisti. Green spiega che quando le leggi antiebraiche di Norimberga entrarono in vigore c’erano un totale di 18 Karaylar-Karaiti che vivevano sotto il dominio nazista. Questi 18 Karaylar-Karaiti hanno presentato una petizione ai nazisti per esentarli da queste oppressive leggi antiebraiche. Green riferisce che la richiesta è stata infine accolta:

“Gli sforzi dei caraiti tedeschi [karaylar-] si sono concretizzati il ​​5 gennaio, quando Serge von Douvan, leader della comunità caraita tedesca [karaylar-], ha ricevuto una lettera dal Leiter der Reichsstelle für Sippenforschung .

“Per quanto riguarda le vostre osservazioni del 5 settembre e del 10 ottobre 1938 al Ministro degli Interni del Reich, vi informiamo di quanto segue.

La setta [karaylar-]karaita non dovrebbe essere considerata una comunità religiosa ebraica ai sensi del paragrafo 2 punto 2 del primo regolamento della legge sulla cittadinanza del Reich [=leggi di Norimberga]. Tuttavia, non si può stabilire che i caraiti nella loro interezza siano di stirpe correlata al sangue, poiché la categorizzazione razziale di un individuo non può essere determinata senza ulteriori indugi dalla sua appartenenza a un particolare popolo, ma dalla sua ascendenza personale e dalle sue caratteristiche biologiche razziali. ” (Green 1978b, pagine 37-38)

molti ebrei hanno assunto l’identità di Karaylar-Karaiti per salvarsi dai nazisti. Questo era molto diffuso ed era persino usato dai leader ebrei. Green spiega:

“Questo mezzo di fuga è esemplificato al meglio dalle gesta di Mordechai Tenenbaum, un leader sionista polacco prebellico e organizzatore di attività di resistenza nei ghetti di Varsavia, Vilna e Bialystok. Mentre era studente all’Università di Varsavia, Tenenbaum ha studiato lingue turche. Con lo scoppio della guerra riuscì ad ottenere documenti contraffatti che lo identificavano come Jozef Tamarof, un tartaro polacco della regione di Vilna.Con questi documenti, e la protezione delle minoranze [karaylar-]karaite e tartare, Tenenbaum viaggiò liberamente in tutto il mondo. La Polonia occupata dai tedeschi svolgeva attività di resistenza.Fino alla sua morte nella rivolta del ghetto di Bialystok, Tenenbaum e altri membri del suo gruppo di resistenza riuscirono a salvare un numero imprecisato di ebrei falsificando documenti che attestavano che il detentore era di [Karaylar-]Karaite o Tataro.

Apprendiamo dai sopravvissuti che questo mezzo di fuga è stato ampiamente utilizzato nell’area di Vilna. Molti di questi “karaiti” fuggirono dal ghetto di Vilna e vissero nella parte ariana della città non toccata da tutte le persecuzioni che colpirono gli ebrei nel ghetto.” (Green 1978b, pagine 41-42)

Molti ebrei hanno assunto l’identità di Karaimi

I Karaylar-Karaiti non erano l’unico gruppo di origine ebraica ad essere considerato non ebraico dai nazisti. Green spiega:

“Il trattamento preferenziale accordato ai [karaylar-]karaiti non dovrebbe essere visto come un incidente isolato. Nel corso della mia ricerca, ho scoperto non meno di sei casi documentati di esenzioni concesse a gruppi di origine “ebraica”. In tutto casi, i portavoce di queste comunità sostenevano che non erano di origine “ebraica” e che in passato avevano avuto pochi contatti con gli ebrei ashkenaziti.Questi gruppi, originari della Russia meridionale, dell’Asia centrale, dell’Europa orientale e occidentale, includevano il Giudeo -Tats, Ebrei georgiani, Jugutim, Subbotniks, Judeo-Celts e Nahomine. I tedeschi temperarono consapevolmente il loro zelo razziale in ossequio a considerazioni militari e politiche. Come risultato di questa acquiescenza all’opportunità politica, circa 70,000 di tali persone erano teoricamente esentate dallo sterminio.” (Green 1978b, pagine 43-44)

Sebbene i nazisti dichiarassero i Karaylar-Karaiti non ebrei, ciò non li salvò tutti dall’olocausto. Quando i nazisti invasero l’Unione Sovietica nel 1941, inviarono accanto alle loro unità militari un’altra forza chiamata Einsatzgruppe o “unità speciali”. Gli Einsatzgruppe erano letteralmente squadre della morte che radunavano gli ebrei e li uccidevano in massa . Alcuni dei Karaylar-Karaiti caddero vittime di questi Einsatzgruppe , come spiega Green:

Massacri in Ucraina :”Nel corso della mia ricerca ho scoperto un incidente in cui il decreto del 5 gennaio 1939 [che esonera i Karaylar-Karaiti dalla persecuzione nazista] non fu applicato. A. Anatoli (Anatoli Kuznetsov) riferisce nel suo romanzo storico Babi Yar che un gruppo di caraiti furono inclusi tra i 33.771 ebrei di Kiev che furono giustiziati dai membri dell’Einsatzgruppe C, Sonderkommando 4A sotto il comando del colonnello delle SS Paul Blobel il 29-30 settembre 1941:

“. . . .Si diceva che i Karaim fossero passati da qualche parte (non avevo mai sentito la parola prima, ma mi resi conto che dovevano essere una specie di setta) vecchi in abiti larghi che arrivavano fino ai talloni. Avevano passato la notte nelle loro sinagoghe. Al mattino erano usciti cantando: “Figli, stiamo andando incontro alla morte. Preparatevi! Andiamo incontro alla morte con coraggio, come fece Cristo.” (Green 1978a, pagina 284 citando Kuznetsov, pagina 61.)

Come accennato in precedenza, una delle principali differenze tra i Karaylar-Caraiti e gli ebrei caraiti è che i primi riconoscono Gesù e Maometto come profeti mentre i secondi no. Ovviamente Anatoli stava parlando di Karaylar-Karaiti che dicevano: “Incontriamo coraggiosamente la morte, come fece Cristo”, cosa che un ebreo caraita non direbbe mai. Il massacro di Karaylar-Karaites a Babi Yar è menzionato anche da Spector che scrive:

“Apparentemente ai comandanti dell’Einsatzgruppe non furono fornite istruzioni su come trattare con i [Karaylar-]Caraiti. Pertanto, a Kiev i cui ebrei furono i primi ad essere sterminati in massa nell’Unione Sovietica, furono inclusi alcuni [Karaylar-] Caraiti tra gli ebrei assassinati a Babi-Yar il 29-30 settembre 1941. Presumibilmente, anche le piccole concentrazioni caraite nella parte settentrionale del distretto di Odessa, e forse anche Cherson, furono danneggiate dall’Einsatzgruppe . (Spector, pagina 93)

i Karaylar-Karaiti non pensavano solo a salvarsi. Green ci informa che hanno fatto del loro meglio per cercare di aiutare le migliaia di ebrei mascherati da Karaylar-Karaiti. Green ha persino trovato testimoni oculari di ciò che sono vivi solo oggi grazie agli sforzi di questi Karaylar-Karaiti:

“Durante la mia ricerca, ho incontrato una coppia, che vive a New York, che è scampata alla morte fingendosi [Karaylar-] Karaiti. Durante la guerra, Nechemiah e Ida Glezer, originari di Vilna, hanno assunto l’identità dei [Karaylar-] Karaiti. ]Karaites Jakob ed Ema Adryowicz. Per un breve periodo vissero in un relativo stato di sicurezza fino a quando furono colti in un raid della polizia. La polizia li imprigionò e li mandò a Varsavia per ulteriori interrogatori. Durante il loro internamento, furono interrogati da Ananiasz Zajaczkowski, un noto turkologo [karaylar-]karaita che fungeva da collegamento tra la comunità caraita polacca e i tedeschi, Zajaczkowski disse alla coppia che conosceva la loro vera identità, ma che non dovevano preoccuparsi perché non l’avrebbe rivelata ai tedeschi.Fece una richiesta: che scomparissero immediatamente dopo il loro rilascio.” (Green 1978b, pagina 42)

L’eroismo di Zajaczkowski, che rischia la propria vita per salvare una coppia ebrea, è da applaudire. Devo sottolineare che questo non ha ancora nulla a che fare con il giudaismo caraita. Zajaczkowski non era un ebreo caraita! Era un caraylar-karaita.

Shmuel Spector porta un altro resoconto di un ebreo salvato dai Karaylar-Karaiti in Crimea:

“Nella stessa Crimea, è noto che Mina Fischheut si è salvata dallo sterminio. Nelle sue parole: ‘Sono stata salvata grazie al fatto che poco prima della registrazione i miei amici mi hanno portato una carta d’identità datami dal mio [Karaylar-]Karaita amico – Dr. Neuman; questo era stato di sua sorella che è stata uccisa nel bombardamento.” (Spector, pagina 107)

Un’accusa contro i Karaylar-Karaiti è di aver oppresso gli ebrei nel ghetto di Lutzk aiutando tedeschi ed ucraini Green spiega:
“Nella città di Lutsk, i [karaylar-]karaiti locali fungevano da collegamento tra i tedeschi e il Lutsk Judenrat. Jacob Eilbert, un sopravvissuto del ghetto di Lutsk, ha testimoniato dell’attività antiebraica [karaylar-]karaita. Ha raccontato che i [karaylar-]karaiti sarebbero entrati nel ghetto e avrebbero picchiato donne e bambini. In altre occasioni avrebbero estorto ingenti somme di denaro allo Judenrat di Lutsk. Eilbert ha anche testimoniato che i [karaylar-]karaiti hanno aiutato i tedeschi e Ucraini nella liquidazione del ghetto di Lutsk nell’agosto 1942. La mia ricerca, tuttavia, indica che le tese relazioni [karaylar-]karaite-ebraiche descritte da Eilbert sembrano essere un’eccezione”. (Green1978a)

Chi era questo Firkovich che aveva trovato il modo di salvare i karaimi ?https://www.jewishencyclopedia.com/articles/6134-firkovich-abraham-b-samuel-aben-reshef : “Firkovich caraita russo; nato a Lutsk, Volinia, 27 settembre 1786; morì a Chu-fut-Kale, in Crimea, il 7 giugno 1874. Fu educato come studioso caraita, ma in seguito prestò molta attenzione alla letteratura rabbinica, dalla quale fu influenzato il suo stile ebraico. Nel 1818 fu ḥazzan della sua città natale, carica che tra i caraiti e i rabbiniti comprende quella di cantore, lettore, maestro e ministro. Nel 1828 visse a Berdychev e ebbe controversie con alcuni ebrei rabbiniti, il risultato fu la sua opera antirabbinica “Masah u-Meribah” (Eupatoria, 1838). Negli anni successivi, quando divenne strettamente connesso con i rabbiniti, ripudiò i sentimenti contenuti in quell’opuscolo. Nel 1830 visitò Gerusalemme, dove raccolse molti manoscritti caraiti e rabbiniti. Al suo ritorno rimase due anni a Costantinopoli, come insegnante nella comunità caraita. Poi andò in Crimea e organizzò una società per pubblicare vecchie opere caraite, di cui molte apparvero in Eupatoria (Koslov) con commenti da lui. Nel 1838 fu maestro dei figli di Simḥah Babovich, capo dei caraiti russi, che un anno dopo lo raccomandò al conte Vorontzov e alla Società Storica di Odessa come uomo adatto da inviare a raccogliere materiale per la storia della Caraiti. Nel 1839 Firkovich iniziò gli scavi nell’antico cimitero di Chufut-Kale e portò alla luce molte vecchie lapidi, alcune delle quali, affermò, appartenevano ai primi secoli dell’era volgare. I due anni successivi furono trascorsi in viaggi attraverso il Caucaso, dove saccheggiò i genizot delle antiche comunità ebraiche e raccolse molti preziosi manoscritti. Andò fino a Derbent, e tornò nel 1842. Negli anni successivi fece altri viaggi della stessa natura, visitando l’Egitto e altri paesi. A Odessa divenne amico di Bezalel Stern e di Simḥah Pinsker, e mentre risiedeva a Wilna conobbe Fuenn e altri studiosi ebrei. Nel 1871 visitò la piccola comunità caraita di Halicz, in Galizia, dove introdusse diverse riforme. Da lì andò a Vienna, dove fu presentato al conte Beust e conobbe anche Adolph Jellinek. Tornò per trascorrere i suoi ultimi giorni a Chufut-Kale, di cui ora rimanevano solo poche rovine. Nel 1871 visitò la piccola comunità caraita di Halicz, in Galizia, dove introdusse diverse riforme. Da lì andò a Vienna, dove fu presentato al conte Beust e conobbe anche Adolph Jellinek. Tornò per trascorrere i suoi ultimi giorni a Chufut-Kale, di cui ora rimanevano solo poche rovine. Nel 1871 visitò la piccola comunità caraita di Halicz, in Galizia, dove introdusse diverse riforme. Da lì andò a Vienna, dove fu presentato al conte Beust e conobbe anche Adolph Jellinek. Tornò per trascorrere i suoi ultimi giorni a Chufut-Kale, di cui ora rimanevano solo poche rovine.“

Circa i Karaimi dell est come possiamo dare un ritratto piu ampio ? https://hashlamahitaly.wordpress.com/2020/01/18/i-caraiti-i-veri-precursori-dei-teo-filosofi-di-oggi/ :

le informazioni qui presentate sono state tradotte dal sito originale preservate dai Caraiti della Carpazia e della Galizia che mondialmente si rifanno alle tradizioni dei Kaliz Kabari o Khabari  (حواريـ).

Tore (Tura / Türe / Töre / Törö / Törü), la legge di base per tutti i turaniani.

Il simbolo descrive il campo di Tengri come è descritto nel Capitolo 2 del 4 libro della Torah.

Tengri è Dio in un’antica forma alternativa di Allah per i turchi musulmani, la g e’ muta.

Documenti siriaci indicano che un gran numero di gente componeva il popolo turco nel centro dell’Eurasia prima noti come Caraiti o Karaylar già nel 7 ° secolo dC . Secondo la nostra storia tradizionale, 40 famiglie turaniche o Caraiti noti come ” Khabars Kaliz ” ( forse in relazione alle Sabirs del 5 AD) , sono apparsi in Europa orientale tra i cristianizzati ” Unni ” della Khazaria nel 8 ° secolo . Erano un residuo di credenti che erano sfuggiti all’invasione degli Omayyadi di Xorezm nel 712 AD e si stabilirono in Qiriq Yer nella provincia Bachčysaraj della Crimea che era stata conquistata dai Cazari nel 668AD ma la tradizione Caraita è stata istituita solo come l’interpretazione ufficiale della Tura ( Tore ) in On – Oq occidentale turca Kaghanate da Kaghan Bulan di Khazaria sotto l’influenza del prete Caraita Isacco Sangari . Questo non è stato molto tempo dopo l’incarcerazione di Nuʿmān ibn Thābit che convertì Anan ben David alla nostra religione a Baghdad. Nel secolo seguente Kazaria diventò il centro della cultura caraita fincheè i Kara-Kazari  furono rovesciati e Almış iltäbär iniziò a raggiungere il califfato. Questo forzò la secessione di almeno 4 tribù Khabar-Kazare, tre delle queli inclusi i Kaliz-Khabari entrarono in alleanza con gli Hetomat Magiari.

La prima prova incontestabile trovata riguardante i turanici Caraiti ( Karaylar ) in Europa è finora l’iscrizione Alsószentmihály del X secolo che illustra  il nostro utilizzo di vecchie rovine turche . Da quel momento fino al tempo delle invasioni mongole , sono stati sotto la guida pastorale dei Sacerdoti Tuhrul Johanine. Nel 1236 insieme a Cuman Polovtsi furono conquistati dai Mongoli, ma secondo una cronaca del 18 ° secolo di Lvov Kanesa , Daniel ” il croato ” di Halycia concluse un trattato con Batu Khan nel 1243 in base al quale ha portato 100 famiglie turaniche caraite dalla Crimea ad Halycia nel 1246 , per il quale Daniel fu incoronato da un arcivescovo papale in Dorohochyn  nel 1253 come primo re di Rus. Il Lvov Kanesa venne considerato da Reuven Fahn la più grossa congregazione Caraita in Galizia con un cimitero già documentato al 1444 AD .La fine della conquista mongola è stata seguita da una lunga lotta contro la crescente influenza dei califfi sunniti in Crimea e Eusasia centrale . Tuttavia, Karaylar godeva di uno status privilegiato nel Commonwealth polacco-lituano che continuò sotto l’Impero russo .Tuttavia, la Kanesa Turaniana (Chiesa) ha subito male durante il 20 ° secolo .

CaraitiKaraylar
E ‘stata la prima chiesa ad essere chiusa dai socialisti sovietici che le hanno confiscato tutte. I nazionalsocialisti massacrarono il loro clero per essere stati generalmente scambiati per ebrei durante la seconda guerra mondiale quando l’ ultimo discendente ” Tuhrul ” del Lvov Kanesa della Carpazia e Galizia sfuggì ai socialisti sovietici e nazionali per arrivare alla fine nel Regno Unito.

Dopo la morte del vescovo Shapshal nel 1961 la vita spirituale praticamente è arrivata fuori dalla Polonia, in Lituania e Crimea fino a che con interesse fu ripresa ” in esilio” tra Carpazia e Galizia dai membri caraiti della società anglo-celtica dei Nativitisti.La Chiesa Caraita è l’espressione unica per l’Ucraina di Karaimsim ( soprattutto Carpazi Galizia) e Crimea ( Krymkaraylar ) . Si è distinta dalla forma ebraica di Qumusi del Caraismo

Come si definiscono i karaiti di Israele : https://www.karaite.org.il/karaite/Mavo : “secondo la Sacra Torah data a Mosè, la pace sia con lui, sul Monte Sinai, e secondo le altre parole dei profeti che Dio mandò al popolo d’Israele. In questo modo, la Torah, la parola di Dio, è l’unica fonte di autorità religiosa per il popolo di Israele.

Gli ebrei caraiti rifiutano qualsiasi concessione di santità o validità vincolante a qualcosa di umano in seguito, come la “Torah orale” rabbinica, il “Nuovo Testamento” o il “Corano”, ma allo stesso tempo accettano il Talmud e la Mishnah come parole di i Saggi e come parte del patrimonio culturale e storico del Popolo di Israele, che sono stati scritti nel corso degli anni e non costituiscono una fonte vincolante. Le parole di questi saggi, alcune sono vere e altre sbagliate, come ogni cosa umana. Ma ogni cosa umana – in sostanza – è cosa umana, non può contraddire la parola di Dio, non può aggiungerle né toglierle.

Gli ebrei caraiti rifiutano il principio fondamentale dell’ebraismo ortodosso, secondo il quale ai rabbini è data l’autorità esclusiva di interpretare la Torah, e secondo cui la loro interpretazione è vincolante, anche quando contraddice le scritture, le aggiunge o le sottrae. Gli ebrei caraiti credono che oggi, in assenza di profezia, ogni ebreo abbia l’obbligo di studiare bene la Torah e interpretarla lui stesso.

Ogni ebreo ha il dovere di decidere quale sia la corretta interpretazione, poiché alla fine la responsabilità delle sue azioni, la ricompensa e la punizione, sono poste sulla somiglianza di ogni persona e non sulle spalle dell’autorità centrale su cui la persona fa affidamento”

Chi è il principale ispiratore dei karaimi di Crimea ? Sicuramente Anan Ben David .

https://www.britannica.com/biography/Anan-ben-David : “Nel 770 Anan scrisse il codice definitivo del suo ordine, ilSefer ha-mitzwot (“Libro dei precetti”). Il suo principio unificante è il rifiuto di gran parte del Talmud e del rabbinato, che fondava la sua autorità sul Talmud. Solo la Bibbia ebraica  è ritenuta valida, ma è interpretata con un insolito miscuglio di libertà e letteralismo.”

https://karaimi.org/religia#I.%20Rys%20historyczny : Anan, ha fondato a Gerusalemme, la Città Santa, il più antico tempio Karaim, cioè kenesa (dall’aramaico all’arabo kanisa – congregazione). È costruito sotto terra, ha 20 gradini di scale in pietra che scendono, il che tradisce la natura del tempio della religione perseguitata (vedi foto nell’articolo “Descrizione del viaggio in Terra Santa” – Myśl Karaimska, vol. II, fascicoli 3-4, 1931). Da Gerusalemme, la fede Karaim si irradiò in tutte le direzioni e nell’VIII-X secolo si diffuse in Siria, Mesopotamia, Persia, Asia Minore e altri. La sua influenza attraverso il Nord Africa arrivò fino all’Oceano Atlantico (Marocco) e raggiunse anche le aree steppiche delle regioni del Caspio e del Mar Nero. Tra i popoli turchi seminomadi (i cosiddetti seminomadi), come i cazari, i peceneghi, i cumani o i polovtsiani, che nel medioevo formarono potenti associazioni statali nelle zone steppiche (i cosiddetti il, el), incontriamo grandi gruppi di persone che professano la religione Karaim.

Proviamo a vedere una versione storica della vicenda da parte caraita https://www.sacred-texts.com/jud/t10/ht124.htm : “è noto che secondo l’opinione degli stessi caraiti nei loro libri, la loro fede e la loro tradizione è identica al Pentateuco. Insieme al corpo del Pentateuco, il Signore comunicò a Mosè un commento orale, e lo comunicò ai suoi contemporanei, che lo trasmisero alle generazioni successive fino alla morte di Salomone. Quando il popolo fu diviso in due fazioni, una aderì a Roboamo e l’altra seguì Geroboamo, che peccò e fece peccare la sua parte. I Caraiti chiamavano le loro tradizioni il giogo e il fardello ereditati, e secondo loro durante tutto quel tempo ci fu solo una Torah per tutto il popolo, come un solo Dio, e il testo e la sua interpretazione erano inseparabili e scaturiti dalla stessa fonte, il padre dei Caraiti essendo lo stesso Mosè, il pastore fidato che portava sulle spalle tutto il suo popolo. Poiché Geroboamo era uno di coloro che avevano ricevuto la tradizione trasmessa di epoca in epoca sopra menzionata, e uno degli uomini del Gran Sinedrio, temendo che il potere regio venisse recuperato dalla dinastia di Davide, inventò strane e spurie interpretazioni di la Torah per sostituire quelle buone e vere che il Sinedrio aveva per tradizione. Lo ha presentato al popolo, che ha ingannato e portato al male. La nazione gli ha creduto, ha seguito le sue orme, ha scambiato la maggior parte dei comandamenti della Torah con altri, sottratti, aggiunti, a loro piacere. Da allora Israele fu diviso in due sette, e la Torah divenne due Torah rivali e ostili. La Giudea mantenne la legge secondo l’antica consuetudine ricevuta da Mosè senza alcuna modifica, aggiunta o sottrazione, caraismo. essendone la continuazione moderna. Israele, invece, osservava le leggi secondo la nuova maniera, con alterazioni, aggiunte e sottrazioni inventate da Geroboamo, e il Rabbinismo ne è la continuazione; successivamente falsi profeti sorsero in Israele e, rivendicando l’ispirazione divina, li sviarono, e anche alcuni della Giudea, ecc. Ma la Giudea, tuttavia, continuò ad essere la sede della tradizione mosaica, poiché la maggioranza aderiva maggiormente alla verità. Tuttavia, quando il Tempio fu demolito, la maggior parte dei profeti, sacerdoti, Leviti e Sinedrio furono uccisi, mentre quelli rimasti in vita erano per lo più peccatori. Perciò alla restaurazione del secondo Tempio, anche se c’erano ancora profeti, che sono chiamati i “fichi buoni”, c’erano due sette e due Torah separate. Dopo la cessazione dell’ispirazione profetica questa scissione crebbe e si allargò. Il partito che sosteneva la verità disse che la Torah era solo quella scritta da Mosè e data a Israele; la parte che credeva nella falsità ha detto che c’erano due Torah,

scritta e orale, inventata da Geroboamo e dai falsi profeti, e che riferirono anche a Mosè, che la ricevette (secondo loro) dal Signore. Così continuò fino al tempo di Matteo, l’Asmoneo (Maccabeo), quando Antioco il Malvagio, volendo sopprimere del tutto la tradizione ebraica, in quel tempo di calamità tutti i grandi saggi del Sinedrio che avevano la vera tradizione del commento e della Torah furono tutti assassinati, e la tradizione fino ad allora trasmessa, fu ora recisa, e la maggior parte del commento e della Torah andò perduta e dimenticata , ne rimase solo una frazione infinitesimale. Questo fatto è avvenuto nell’anno 3560 dopo la creazione.

Quando Matteo trionfò e la pace fu ristabilita nel paese, gli uomini di intelletto si sedettero per imparare la Torah e capirla con l’aiuto della loro ragione. Ma a causa della sua grande profondità, non potevano comprenderlo ed esistevano molte opinioni diverse. Sorsero così le differenze tra le sette, sia caraite che rabbiniche, che persistono ancora oggi.

La lite tra le due sette crebbe in violenza fino a quando fu raggiunto il tempo del re e sommo sacerdote Janeus, e accadde qualcosa tra i saggi e lui, come è noto, così che furono massacrati tutti i saggi nella sua rabbia, e nessuno rimase tranne un grande uomo di ogni setta, Jehudah b. Tabai, che sosteneva la verità, e Simeon b. Shetah, disegnato dopo la falsa dottrina di Geroboamo b. Nebat e i falsi profeti. Il re, desiderando uccidere entrambi, Jehudah b. Tabai si nascose a Gerusalemme e Simeon b. Shetah era il fratello della regina, che ha facilitato la sua fuga in Egitto, dove rimase tre anni; essendo lì, apprese dai saggi israeliti trovati lì dalla distruzione del primo Tempio, e dai giorni di Geremia, tutti gli strani commenti inventati da Geroboamo e dai falsi profeti. Simeone B. Shetah vi aggiunse alcuni dei suoi, e vi costruì un grande tempio e vi sacrificò, sebbene non fosse il luogo prescelto; e dopo il suo ritorno a Gerusalemme volle essere gran signore in Israele, e quindi insegnò al popolo ciò che aveva acquistato in Egitto, come legge orale comunicata a Mosè, e da lui trasmessa; e, poiché era il cognato del re e aveva molta influenza a corte, le sue false dottrine divennero popolari tra Israele, che ricevette la falsa Torah invece di quella vera.

Dopo di che Israele fu diviso in due parti, e la lite iniziò anche nel Sinedrio, i capi della nazione, e gli eredi e maestri della Torah. Una setta andò dopo R. Jehudah b. Tabai ed era chiamato Sadducei (Zadikim) (Retto), dalla frase “ascoltatemi, voi che perseguite la giustizia” (Zadik) e la loro giustizia è giustizia eterna, e la loro Torah è verità; Il caraismo ne è una continuazione. La seconda setta seguì Simeon b. Shetah, e furono chiamati Farisei (Parushim), separatisti, per essersi separati dall’antica fede di Israele. Questo stato di cose continuò dal 3650 dopo la creazione, dal tempo di Jehudah b. Tabai, fino alla rovina del secondo Tempio, anno 3828. In quell’epoca la maggior parte dei sadducei fu trucidata, ma sopravvissero per lo più i farisei, per cui vi furono due cause: la prima, perché quelli della parte sadducaica erano il partito politico e uomini bellicosi, mentre i farisei erano umili ed erano studenti; secondo, perché i Sadducei erano più severi nell’osservare i doveri, e la loro condotta era di molta santità e purezza, e avevano visto che se dovevano essere esiliati, essendo una terra immonda, e senza acqua per rimuovere l’impurità, non potevano osservare la legge come dovrebbe essere; perciò furono martiri, preferendo essere uccisi piuttosto che vivere, e tutti furono uccisi per la santificazione del Signore. Metti i farisei che non erano severi e non avevano paura della rovina del tempio o dell’esilio, e preferirono la vita alla morte, e andarono da Tito, il malvagio, e, arrendendosi, furono tutti lasciati in vita. Pertanto, dopo la rovina del Tempio, i Farisei salirono al potere, mentre i Sadducei declinarono. Così continuò fino a R. Jehudah il Nassi, l’editore della Mishna. Ha raccolto tutti i commenti, buoni e cattivi, veri e falsi, antichi e recenti, tutti insieme; li ha scritti in un libro senza fare distinzioni tra sacro e profano, impuro e puro; decise e dichiarò che sono tutti sinaici.

Dopo la conclusione della Mishna, insorsero coloro che componevano il Talmud palestinese e babilonese, e da quel momento in poi la lite crebbe in vigore, e crebbero l’odio, la rivalità e la gelosia tra le due sette, i sadducei e i farisei. Perché i Sadducei possedevano la vera Torah, scritta da Mosè nostro maestro, e quei pochi veri commenti che sono stati lasciati da molti; ma i farisei abbandonarono la Torah scritta e la ignorarono come di importanza subordinata, e si aggrapparono alla legge orale, cioè la Mishna e il Talmud, facendone la cosa di primaria importanza, dicendo che la tradizione sarebbe stata vittoriosa. Dissero che chiunque studia la legge scritta ha adempiuto solo parzialmente ai suoi obblighi, ma chiunque studi Mishna o Talmud ha completamente adempiuto ai suoi obblighi; chiunque trasgredisce la legge scritta è colpevole di castighi, chi trasgredisce le parole dei saggi è reo di pena capitale, e che non si deve obiettare anche se ti dicono della destra che è la sinistra, e della sinistra che sono gli insegnamenti giusti e simili errati. Così continuò ad essere fino a quando il tempo di Anan(Anana Ben David) il Nassi, il Santo e il Santo, figlio di Davide il Nassi, nell’anno 4400 dopo la creazione. Ana 1 abitava in Babilonia ed era dei Sadducei, e per la sua grande saggezza Israele, sia Sadducei che Farisei, lo scelse come Nassi, come capo di Beth Din ed Exilarca. Dopo il suo incarico come Nassi e capo di Beth Din con l’approvazione del monarca arabo e la volontà di tutto Israele, divenne zelante per Dio e la sua Torah, e desiderò riportarla alla sua primitiva purezza; ha iniziato a far valere contro la legge orale, vale a dire, la Mishna, e negarla e dichiararla nulla. Quando la setta dei farisei si accorse di tutto ciò, insorse su di lui e escogitò stratagemmi per ucciderlo. Ma per paura del re, non gli misero le mani addosso, ma lo denunciarono al re che si era ribellato contro la legge del governo, ma il re ebbe pietà di lui e lo salvò da loro, e così fu lasciato vivo. Quando Anan percepì che i farisei non volevano tornare alla verità, fu disgustato di essere un Nassi, lasciò la sua casa e le sue proprietà in Babilonia e partì con i suoi figli e discepoli a Gerusalemme, la Città Sacra. Vi costruì una sinagoga, “Il Tempio di Dio”, per pregare e piangere mattina, mezzogiorno e sera; e vedendo che i Farisei aumentavano e che i Sadducei diminuivano, e temendo che la vera Torah fosse completamente dimenticata, e per timore che i sadducei venissero in tempo assorbiti dai farisei, comandò ai suoi discepoli, amici e conoscenti, di tenersi separati dalla setta dei farisei in tutto e con il massimo rigore possibile. Ha proibito loro di mangiarei loro cibi, poiché non si preoccupano di ogni tipo di impurità e mangiano carcasse e sego proibiti dalla Torah. Così proibì anche loro di sposarsi con loro, perché avevano oltrepassato le barriere della consanguineità. E Anan interpretò la Torah e i comandamenti secondo il vero commento, come l’aveva ricevuta dai suoi padri e maestri per tradizione, che appartenevano alla setta dei sadducei, continuando dai tempi più antichi; e siccome tutta la dottrina sadducea si fonda sul testo delle Sacre Scritture, Pentateuco, Profeti e Agiografi, per questo Anan il Nassi chiamò la setta sadducea “Caraiti”, (Karaim), cioè chiamatie andare nella loro semplicità. (Ba’ale Mikre): e siccome l’intero scopo dei farisei era quello di perseguire alte cariche e signorie , e anche perché sono molti rispetto ai pochi Caraiti, li chiamò “Rabbanim” (signori, molti), cioè gli aderenti alla Mishna e al Talmud. . . .

Questa è l’opinione degli stessi caraiti sulla loro storia“

In seguito la dottrina di Anan subi modifiche sia da una parte che dall altra.Mentre da un lato i karaimi dell est slavo turco evolveranno come gia accennato verso una religione tendenzialmente universale ammettendo Bibbia cristiana e Corano,va detto però che una parte degli scissionisti rientrarono come gruppo separato e con i suoi riti nell ambito della chiesa crisitana orientale,dall altro lato tra i seguaci di Anan si fece strada un suo critico,il protosionista Daniel ben Moshe Al kumusi .

Il karaismo di Kumusi respinge la fede nel nuovo testamento che invece è del karaimismo turaniano di anan ,i karaiti kumusiti che erano protosionisti sfrattarono quelli di anan dalla loro chiesa a gerusalemme,tuttavia nell anno 1070 però questa venne restaurata e tale rimase per 900 anni fino al 1967 quando i sionisti la demolirono e sostiuirono con una sinagoga.A sua volta la chiesa dei karaimi di Ucraina e Crimea è da se stessa considerata espressione unica di karaimism,si distingue dal karaismo ebraico e anche il calendario è diverso da quello dei karaiti di Lituania che pure dalla Crimea erano partiti verso il 1450 per finire anche in Polonia mentre esiste anche un gruppo ungherese del quale non conosco le origini ed un alto cecoslovacco.

http://www.karaite.org.il/news/%D7%93%D7%A0%D7%99%D7%90%D7%9C-%D7%91%D7%9F-%D7%9E%D7%A9%D7%94-%D7%90%D7%9C%D7%A7%D7%95%D7%9E%D7%99%D7%A1%D7%99 :

“Daniel Alkomissi scrive:“

“Dall’inizio dell’esilio, i suoi rabbini erano ministri e giudici… e coloro che cercavano la Torah non potevano aprire bocca ai comandamenti di Dio per paura dei suoi rabbini… fino alla venuta del regno di Ismaele perché aiutano sempre il narratore per mantenere la Torah di Mosè e dobbiamo benedirli “.

Daniel Alkomissi ha diffuso tra la diaspora una “Chiamata ad Aliyah” a Gerusalemme. Nella sua lettura, ha chiesto la restaurazione di Gerusalemme e la sua trasformazione in un centro spirituale che avrebbe portato alla redenzione dell’intera nazione. Dalla sua lettura:

“Ascolta Dio, alzati e vieni a Gerusalemme e noi ritorneremo a Dio, e se tu non verrai, perché sei affaccendato e hai fretta dietro ai tuoi beni, manda da ogni città cinque persone e starai con loro perché possiamo diventare un’unica associazione e pregate sempre il nostro Dio sui monti di Gerusalemme».

Non era soddisfatto dell’immigrazione di individui in Israele, ma ha chiesto un oloivit completo del kibbutz

ora sta a voi, voi tutti che cercate Dio, andare davanti a molti come un pastore davanti al gregge”.

Si oppose all’approccio rabbinico secondo il quale non si dovrebbe immigrare in Israele fino alla venuta del Messia. Disse che si dovrebbe salire a Gerusalemme anche prima della redenzione, implorare il perdono di Dio lì, piangere la distruzione e vivere una vita ascetica:

“Non è usanza di tutto il mondo, se un uomo viene battuto contro un altro uomo, colui che viene battuto non andrà forse da colui che viene frustato per supplicarlo… e anche se il creatore, il Dio del mondo, sarà frustato per la produzione, gli sarà permesso di mangiare e bere finché non tornerà da lui?!?… Sappi che i furfanti che sono in Israele Parliamo tra di noi: ‘Non dobbiamo venire a Gerusalemme finché non ci raccolgano quando li abbiamo gettati via”. E questo è ciò che dicono gli arrabbiati e gli stolti, perché se Dio non avesse decretato che venissimo a Gerusalemme dai paesi con errori e segni – non sapremmo in la nostra saggezza che coloro che sono frustati dovrebbero venire alla porta della schiuma per implorarlo … Per venire a Gerusalemme e stare in essa davanti a me “

Ancora oggi il pensiero sionista è molto forte tra i Kumusiti https://www.terrasanta.net/2021/03/caraiti-gli-ebrei-dimenticati/ :

“se da un lato considerano Gerusalemme come la città santa, dall’altro il Kotel (il Muro occidentale) non ha per loro alcuna dimensione sacra. «I caraiti non vanno a pregare al Muro. Per noi, il luogo più sacro è il Monte del Tempio, il sito dove sorgeva il Tempio di Gerusalemme, e che oggi ospita la Spianata delle Moschee. Noi il Tempio lo vogliamo ricostruire, ma questo non rientra nei piani degli altri ebrei perché ciò significherebbe per loro cambiare abitudini, il loro modo di vivere la fede. L’interpretazione e la legge orale ebraiche dicono che, quando il Tempio sarà ricostruito, gli ebrei dovranno seguire le leggi della Torah. Dubito sia ciò che vogliono…». Con tono disincantato, Avi prosegue: «A essere sinceri, tra di noi non parliamo della ricostruzione del Tempio, perché sappiamo che il governo israeliano non lo farà mai. Continuiamo a pregare e a sperare che questo avverrà, ma non ci aspettiamo nulla. Con un po’ di fortuna, quando il Messia arriverà, mostrerà agli altri ebrei la via caraita per ricostruire il Tempio».

Sarebbe proprio questa messianica del caraismo ad attirare certi cristiani di passaggio a Gerusalemme. Il direttore del centro, accogliendo ogni giorno turisti imbattutisi (per caso?) nella sua sinagoga, non può fare a meno di notarlo. Molti dei visitatori si presentano come protestanti evangelici. Se al contempo sono anche sionisti – il che è sempre più frequente tra i cristiani – credono anche che l’esistenza dello Stato di Israele sia un passo avanti verso il riconoscimento di Gesù Cristo come Messia in terra. Avi afferma addirittura di averne visti molti convertirsi al caraismo negli ultimi anni, anche se non saprebbe dire quanti.

Abbiamo visto quanto Al Kumusi ha predicato il ritorno a Gerusalemme che è il luogo dove dovrebbe avvenire la ricostruzione del Tempio che oggi i caraiti desiderano.

La dichiarazione di fede karaita https://www.karaite-korner.org/declaration_of_faith.shtml:

The Karaite Declaration of Faith, called Tuv Ta’am (after the first two words in Hebrew) has been recited in the Karaite Synagogue on High Holidays since at least the 13th Century, with an abridged version being recited twice daily. The Karaite “Declaration of Faith” consists of a series of statements read aloud by the Hazan (cantor). The congregation responds to each statement by emphatically shouting Emet! meaning “Truth!”. The Karaite “Declaration of Faith” includes the main principles and practices which give Karaism its unique character including:

The uniqueness and oneness of YHWH as God and Creator.
The truth of the Torah given to Moses.
The perfect nature of the Torah which requires no additions or supplement (i.e. the Rabbanite Oral Law is extraneous).
The concept of an ultimate reward for those who keep the Torah.
The holiness of the Temple in Jerusalem and its status as a place to turn in prayer.
The beginning of months in the Biblical calendar according to the visibility of the Crescent New Moon
The beginning of years in the Biblical calendar according to the state of the barley crops (Abib) in the Land of Israel.
The truth and prophetic nature of the entire Hebrew Bible.
The truth and holiness of the Biblical Holidays and Feasts.
The eternal nature of God who rules the universe.
The concept of an Eschatological or “Messianic” Era in which all mankind will worship the one true God, YHWH.
A Translation of the Karaite
“Declaration of Faith”
(Tuv Ta’am)

Teach me good judgment and knowledge; for I believe in your commandments. (Ps 119,66)

Believe in YHWH your God and you will be established; believe in His prophets and you will prosper. (2Chr 20,20)

And they believed in YHWH and in Moses His servant. (Ex 14,31)

YHWH is our God, our Creator, our Redeemer, our Maker, our Holy One, he is unique in the Universe: Truth!

And Moses is His servant, His prophet, His messenger, His desired one, His chosen one, His beloved faithful emissary with signs and wonders: Truth!

And His Torah is perfect, sound, pure, right, clear, enlightening to the eyes, gladdening to the heart, soothing to the soul, teaching wisdom to the simple, and it is more pleasant than gold and much fine gold and sweeter than honey and nectar, and beneficial to those who keep it and those who fulfill it get much reward: Truth!

And His Temple is the House of Prayer, the House of Worship, the House of Sacrifice, the House of Pilgrimage-Feasts, the Temple of the King YHWH of Hosts in Jerusalem the Holy City: Truth!

And the moon in its renewal, in its visibility, in its appearance to the eye in the evening at the time of its testimony, after being hidden, is a reliable witness in heaven, Sela, a valid sign and an indication for the beginning of months according to the word of God: Truth!

And the Abib which is found in the Land of Israel in its time, in its manner, in its nature, is a valid sign and an indication for the beginning of years for pilgrimages, feasts, and holidays, according to the word of the God of Hosts: Truth!

And His prophets and His messengers and His emissaries and His seers and His angels which prophesy and which are sent in truth and righteousness: Truth!

And His holidays: Truth!

And Holy Convocations: Truth!

And [insert formula for appropriate Holiday, see below]: Truth!

(the Feast of Unleavened Bread for Seven Days/

the Seventh (Day) of Assembly [last day of Hag HaMatzot]/

the Feast of Weeks and Day of First Fruits/

the Day of Shouting on the First of the Seventh Month/

the Feast of Booths for seven days/

the Eighth (Day) of Assembly [last day of Sukkot])

And His commandments and His statutes and His testimonies and His judgments and all His words: Truth!

And YHWH is a true God; He is the living God and King of the Universe;

At His wrath the earth trembles; and the nations can not stand up to His fury. (Jer 10,10)

And do not entirely remove the true word from my mouth, for I hope for your judgments. (Ps 119,43)

And it will be that YHWH will be King over all the Earth and on that day YHWH will be one and His name will be one. (Zech 14,9)

YHWH lives forever; Your God, Oh Zion, from generation to generation, Praise Yah! (Ps 146, 10)

Your kingdom is an eternal kingdom; and your rule is in every generation. (Ps 145,13)

For the kingdom belongs to YHWH; and he rules the nations. (Ps 22,29 [28])

YHWH is King, YHWH has [always] been king,

YHWH will be king forever and ever. (Ex 15,18)

Blessed be YHWH forever: Amen and Amen. (Ps 89,53 [52])

[Translated from the Hebrew by Nehemia Gordon based on Karaite Siddur, Volume 2, Vienna 1854, p.110 (Hebrew); reprinted in Karaite Siddur, Volume 2, Ramleh 1977, pp.208-209 (Hebrew)]

@alfredo antonini

ALTRE FONTI
https://kjuonline.net/
Official site of the Crimean Karaites
http://www.cesnur.org/2003/vil2003_kizilov.htm
http://www.berkovich-zametki.com/Nomer35/MN55.htm
http://www.berkovich-zametki.com/Nomer41/Kizilov1.htm
Karaim Website
Signs of New Life in Karaim Communities
Karaites in the Holocaust
web site of Lithuanian Karaims
KARAITE LIBRARY online
The origin of the (European) Karaites in the books and texts of Karaite hakhams
https://kjuonline.net/
https://karaimi.org/
http://www.karaites.org/
http://www.caraitas.org/

LINKS
http://www.caraitas.org/ 

https://kjuonline.net/

http://www.karaites.org/

Official site of the Crimean Karaites

http://www.cesnur.org/2003/vil2003_kizilov.htm

http://www.berkovich-zametki.com/Nomer35/MN55.htm

http://www.berkovich-zametki.com/Nomer41/Kizilov1.htm

Karaim Website https://russian-qaraim.livejournal.com/

Signs of New Life in Karaim Communities

Karaites in the Holocaust

web site of Lithuanian Karaims

KARAITE LIBRARY online

The origin of the (European) Karaites in the books and texts of Karaite hakhams

http://www.karaim.eu/en/home/

https://karaimi.org/

https://karaitelife.estranky.cz/

http://karai.crimea.ru/

IPOTESI DI CARAISMO SINCRETICO (Ebraico-cristiano-islamico)

Il mayorchino CAYETANO MARTÍ VALLS discendente del maestro Yèshua,as. →

RINVENIMENTI NELL’AGER SORANUS:UNA TOMBA E UN’EPIGRAFE DI ETA’ IMPERIALE A BALSORANO @elisatrillyantonini @alessandratanzilli

In area privata ubicata in via Sant’Angelo n°21b, in loc. Affitto del comune di Balsorano (Aq) 1 , è
sistemato da circa quattro anni un reperto architettonico ed epigrafico giacente extra situm ma
proveniente da un vicino casolare 2 .
Il frammento consiste nell’imoscapo, in mediocre stato di conservazione, di un fusto di semicolonna
scanalata in calcare locale su base tuscanica, formata da toro e scozia, e plinto quadrangolare, privo di
piedistallo (fig. 1); il manufatto, non lavorato nella parte posteriore (fig. 2), doveva essere originariamente
più alto, presupponendo la sovrapposizione di altri rocchi. La differenza di circonferenza fra il collarino
e la parte più alta del rocchio induce a ritenere che il fusto fosse leggermente rastremato verso l’alto. Ai
lati del manufatto sono stati praticati fori e scanalature per l’inserimento di tenoni di fissaggio (fig. 3); si
nota un foro centrale nel fusto per l’alloggiamento del perno (fig. 4) 3 . Sulla superficie anteriore del plinto
si svolge un’iscrizione funeraria distribuita su due linee 4 :
Clâudia · Phyllis [- c. 3-]
Ti(berio) Claudio· Fruct(o)· p(osuit?)

Il ductus risente della scrittura corsiva, come evidenziano un accenno alla barra traversa della lettera A, la
resa tondeggiante della V in Claudio, il nesso tra le lettere AV nel nomen Claudia; dopo Phyllis, in prima
linea, c’è traccia di tre lettere ormai evanide e di difficile interpretazione a causa della compromissione
dello specchio epigrafico soprattutto al margine destro, anche se mi sembra di individuare la lettera o
alla fine della lacuna. In seconda linea, la p corsiva potrebbe essere sciolta dal verbo posuit oppure da
patrono. Sono tre i punti distinguenti circolari e alti ancora visibili.
Per quanto riguarda i personaggi citati nell’iscrizione, il nome della dedicante della tomba iscritta non è
del tutto sconosciuto in zona: infatti, una Claudia Phyllis ricorre in un’epigrafe di I sec. d. C. vista dal
Mommsen ad Atina in via Postavecchia apud Clementem Visocchi in seguito alla segnalazione di Heinrich

von Brunn e purtroppo perduta 5 . Nel caso dell’epigrafe in esame, si può prospettare per Claudia Phyllis
un legame di parentela diretta o un vincolo di riconoscenza con il defunto con cui, come suggerisce la
presenza di un cognomen grecanico forse mutuato dalla madre, condivideva la condizione libertina o di
discendenza da liberti 6 . Il nome del defunto, Tiberius Claudius Fructus (escluderei lo scioglimento in Titus
per il più frequente nesso Tiberius Claudius), ricorre – ovviamente per omonimia- nell’iscrizione della
seconda metà del I sec. d. C. rinvenuta a Brindisi nel monastero dei Cappuccini 7 , nella stele marmorea
risalente alla seconda metà del I sec. d. C. scoperta a Roma nel colombario del sepolcreto Salario di via
Allegri, oggi conservata a Roma nel Museo Nazionale Romano 8 , in cui è il dedicante di un sepolcro al
patrono Tiberius Claudius Paris, un liberto addetto alla gestione dell’archivio imperiale, e ai suoi
discendenti. E ancora, nell’iscrizione funeraria marmorea di ignota provenienza, conservata a Roma nei
Musei Capitolini, la pietà filiale perpetua la memoria di Tiberius Claudius Fructus e di Valeria Hilara,
nutrice di Ottavia, sfortunata moglie dell’imperatore Nerone e tragica eroina di una tragedia
pseudosenecana 9 . Un altro Tiberius Claudius Fructus è menzionato nell’iscrizione funeraria di II d. C.
conservata nel deposito del Museo Archeologico Nazionale di Napoli 10 , e anche nell’epigrafe, perduta,
di uguale contesto topografico, funerario e cronologico 11 , in cui risulta liberto di un esponente di rango
equestre, non è chiaro se di Tiberius Claudius Alpinus, praefectus cohortis sextae Thracum nel 96 12 , oppure di
Tiberius Claudius Alpinus, esponente di altissimo rango militare sotto Domiziano, poi asceso in età
traianea alla carica senatoria 13 .

Le numerose ricorrenze onomastiche di personaggi della gens Claudia in altri territori del Lazio e della
Campania non devono far dimenticare che tale nomen è documentato anche in località viciniori al luogo
di rinvenimento dell’epigrafe di Balsorano, in particolare a Sora, dove compare nella tabula marmorea
funeraria, di I- II sec. d. C., incassata nella parete esterna sopra la porta laterale della chiesetta
dell’Angelo Custode in via Marsicana, nei pressi del Cimitero 14 , e nell’iscrizione funeraria, perduta, di
Tiberius Claudius Primus, rinvenuta presso il ponte San Lorenzo, e dunque all’imbocco della via per
Atina 15 . Nell’ager Casinas l’attestazione di Tiberius Claudius Gillianus nell’iscrizione funeraria forse proveniente dalla frazione Cardito di Vallerotonda (Fr) 16 , e di Tiberius Claudius Praecilius Ligarius (o
Ligarianus) Magonianus, cui è dedicata l’iscrizione rupestre presso il santuario di Casalucense di Sant’Elia
Fiume Rapido (Fr) 17 , ha recentemente trovato spiegazione nella presenza in zona di discendenti dei
liberti imperiali di origine africana, dovuta alle attività agricole svolte in praedia imperiali o alle
operazioni di costruzione dell’acquedotto di Casinum, iniziate e concluse sotto gli imperatori Claudio e
Nerone, di cui assunsero sia il praenomen che il gentilizio 18 . Il reperto in esame testimonia ancor di più la portata della trasformazione sociale ed economica avvenuta nel I sec. d. C., come documentano le
epigrafi e le tipologie monumentali attestate nelle altre necropoli dell’ager Soranus, secondo un fenomeno
già osservato in altre regioni: a partire da tale secolo, ben diversamente da quanto registrato nelle
testimonianze relative all’età tardo-repubblicana, si verifica un’elevata ricorrenza nelle iscrizioni
rinvenute di nomi di liberti o di loro discendenti. Tale fenomeno trova spiegazione nel processo di
legittimazione ufficiale del loro ingresso nei quadri dirigenziali dell’amministrazione avvenuta nel corso
del I sec. d. C., quando molti liberti di fiducia dell’imperatore ed altri schiavi della familia Caesaris furono
posti a capo di importanti segreterie centrali nell’ambito di una più efficiente burocratizzazione della
macchina statale, soprattutto per controllare l’amministrazione finanziaria centrale e periferica, e ne
ricavarono cariche e ricchezze. In tutto l’impero il numero dei liberti, soprattutto nelle città, fu
elevatissimo, tanto da superare con buona frequenza quello degli ingenui, come dimostrano le stesse
attestazioni epigrafiche; l’alto numero di liberti titolari di sepulchra familiari o epitaffi funerari è
riconducibile alla ricerca ostinata di una sospirata integrazione, al bisogno di autoaffermazione e di
autorappresentazione che spingeva chi avesse raggiunto un buon livello economico ad edificarsi una
sepoltura che testimoniasse la posizione raggiunta nella scala sociale, in risposta ai diritti civili e politici
negati 19 . È il caso anche del nostro Tiberius Claudius Fructus: il dedicatario doveva avere un certo
prestigio, a giudicare dal fatto che la tomba non era una comune fossa, ma anzi aveva pretese di
monumentalità. Questo nuovo rinvenimento induce a ritenere che il sepolcreto, già attivo nel corso del
I sec. a. C., abbia avuto una fase di rilancio monumentale e di espansione tra la seconda metà del I sec.
e il III d. C., in linea con un fenomeno già osservato nelle epigrafi del sepolcreto scoperto presso la
confluenza del Lacerno 20 , delle necropoli individuate in aree compitali che sorgevano nelle località di
San Giuliano 21 , di San Domenico 22 , ai margini della via extra-urbana Sferracavallo a Sora e la S.S. delle
Vandre per Atina 23 , in cui nomi di liberti ricorrono con elevata frequenza 24 .

Pur essendo certamente difficile ricostruire la tipologia della struttura della tomba in base ad un
frammento isolato, la forma semicolonnare, la lavorazione effettuata nella faccia a vista, la superficie
posteriore appena sbozzata e soprattutto le tracce di incassature dei tenoni laterali di ancoraggio
portano a escludere l’attribuzione a un segnacolo isolato o ad una tomba a colonna, e piuttosto rendono
plausibile l’ipotesi che si trattasse di un pilastro addossato alla parete di una struttura naomorfa
impostata su basso zoccolo e alta più di m 2, come suggeriscono le dimensioni del fusto; tale tipologia
appartiene ad una classe di monumenti funerari piuttosto diffusa in età imperiale più a Roma che nelle
zone interne

Il reperto proviene dall’area anticamente occupata da un sepolcreto eretto ai margini di un tratto del
tracciato della via antiqua, oggi ripercorso dalla strada vicinale che mette in comunicazione Balsorano
Vecchio con una frazione di San Vincenzo Valle Roveto, chiamata San Giovanni Vecchio dal nome del
Santo onorato nella chiesa benedettina edificata reimpiegando anche i resti di un santuario dedicato ad
Ercole (fig. 5) 26 ; la strada proseguiva verso Antinum, oggi Civita d’Antino, e Angitia, cioè Luco dei Marsi
ed è segnalata da occasionali ritrovamenti di vici, santuari, villae e tombe a fossa e a cappuccina 27 .
Nel sito di provenienza del reperto in esame sorgeva la prepositura benedettina di San Donato, posta
sulla strada per il Casale San Giovanni 28 , oggi San Giovanni vecchio, documentata solo dalle fonti ma non da tracce materiali immediatamente riconducibili alla struttura cenobitica 29 , in quanto la chiesetta è crollata per il terremoto del 1915 30 , lasciando traccia di sé solo nella toponomastica. Probabilmente il
monastero era stato eretto, secondo una pratica diffusa e osservata in tante altre strutture benedettine,
con materiale di spoglio proveniente in massima parte dal sepolcreto e da altre rovine antiche; in un
campo attiguo sono sistemati un inedito torcular , sicuramente proveniente da una villa rustica attestata
tra la località Colle Fosse e Affitto 31 , e un’epigrafe funeraria datata a metà del I sec. a. C. 32 ; un’altra, riferitaad un arco temporale fra la metà del I sec. d. C. e il secolo successivo, è stata riutilizzata per
pavimentare una vicina stalla 33

@Elisa T.Antonini-Alessandra Tanzilli

1 L’area è il giardino della villa dei sigg. Fabio Lucci e Sara Venditti, che ringrazio per la cortese ospitalità. L’abitazione insiste nella part.
cat. 1293, fg. 9 del comune di Balsorano.
2 Nel giardino è visibile anche un’acquasantiera databile ai secc. XVI-XVII, ornata dal rilievo di un putto alato, proveniente dalla diruta
chiesa della Madonna delle Grazie, sita presso la sponda sinistra del fiume Liri nel territorio del comune di Balsorano. Le dimensioni del
manufatto sono: altezza cm 22, larghezza cm 67, profondità cm 38.
3 Per l’intero frammento, le dimensioni sono le seguenti: altezza totale cm 35, altezza della base (plinto) cm 13,5, larghezza massima cm 46,
profondità: cm 39, diametro della colonna cm 31,3. In base alla misura del diametro, si può ipotizzare che l’altezza del fusto fosse almeno
di m 2.
4 Dimensioni del campo epigrafico: altezza cm 14, larghezza cm 46; lettere alte cm 3,5, interlinea cm 1. Data dell’autopsia: 20.06.2021.
Colgo l’occasione per ringraziare il dott. Carlo Molle per il sempre proficuo e generoso scambio di idee e riflessioni.5 La lacuna presente al margine sinistro della 4ª linea, [—]ia Phylli[s —], in CIL X, 5111 (MANCINI 1994, p. 866, n°141; EDR 150627 di F.
Verrecchia, S. Sparagna 2017), potrebbe essere integrata con Claudia, anche se il cognomen Phyllis nelle numerose occorrenze compare dopo
nomi diversi, pur se terminanti in -ia. Tale cognomen è infatti attestato in 31 titoli sepolcrali, di cui 24 rinvenuti a Roma, databili tra il I e il II
sec. d. C. e relativi a donne di dichiarata condizione libertina; tra di esse, non compare nessuna Claudia (schede EDR 000142, 029427,
072605, 075304, 077591, 078219, 078748, 112262, 113155, 114254, 117114, 118190, 118437, 119148, 120322, 123472, 125930, 136942,
139001, 144263, 147017, 150627, 154058, 160426, 162979, 163698, 169751, 170734, 172782, 173536, 179005).
6 Per la problematica riguardante la provenienza orientale attestata dai cognomina grecanici, CALABI LIMENTANI 1973, p. 163.
7 CIL IX, 127; scheda EDR 166597 (L. Traversa 2018).
8 Inv. 77164; NSc 1917, p. 291, n°6 (G. Lugli); scheda EDR 000147 (C. Caruso 2005 e 2012).
9 CIL VI, 8943, cfr. p. 3891 (= ILS 1838); scheda EDR 118947 (G. Crimi 2012 e 2019).
10 Scheda EDR161169 (G. Camodeca 2017 e 2020).
11 CIL X, 2269; scheda EDR 161195 (G. Camodeca 2017).
12 AEp 1977, 722 = RMD I 6.
13 CIL V, 3356 (= ILS 2710); scheda EDR 093818 (C. Girardi 2014).  Sul cursus honorum di Tiberius Claudius Alpinus e su un’epigrafe
onoraria in Siria a lui dedicata, STARCKY, BENNET 1968, pp. 54-57.  
14 CARBONE 1970, p. 55; SOLIN 1981, pp. 56-57, n°9; TANZILLI 1982, p. 148, n°11; scheda EDR 078113 (G. Crimi 2014).
15 CIL X, 5729; scheda EDR 140641 (G. Crimi 2014).16 MOLLE 2020, pp. 67-70.
17 CIL 5163= ILS 3863.
18 Sull’ipotesi, MOLLE 2020, p. 69.
19 Sulla questione, HESBERG 1994, pp. 273-275.
20 CERQUA, GATTI, GREGORI 2014, pp. 223-227.
21 Per quanto riguarda la necropoli ai margini del compitum, l’antico incrocio fra il prolungamento viario del decumanus maximus e la strada
per Arpinum, TANZILLI 2014, in particolare a p. 24 e alla nt. 38 (con bibliografia precedente).
22 Sulla necropoli di S. Domenico, TANZILLI, GRIMALDI 2009, pp. 61-62, 75-87, 90-92, p. 95, pp. 106- 107, 111-112, p. 116; CERQUA,
CERRONE, PANTANO 2011; TANZILLI 2013, pp. 17-20.
23 Sui materiali funerari rinvenuti ai margini della strada per Atina, dal ponte di S. Lorenzo a Sora fino al Borgo di Vicalvi, TANZILLI 1982,
pp. 35-36, 142, 153-154; TANZILLI, GRIMALDI 2009, pp. 71-72, 110, 113; TANZILLI 2012; TANZILLI 2013, pp. 20-21.

24 Più della metà delle iscrizioni rinvenute nel territorio sorano sono risalenti alla piena età imperiale e attengono a personaggi di
condizione libertina, di cui molte sono oggi conservate nel Museo civico della media valle del Liri a Sora (TANZILLI, GRIMALDI 2009, p. 76, p.
95, p. 97, pp. 99-110).
25 HESBERG 1994, pp. 209-230.
26 La presenza di un santuario è documentata dall’iscrizione sacra ad Ercole risalente al II sec. a. C. (LETTA 1988, p. 389, n°124 = AEp 1991,
0560; scheda EDR 033143 (G. Di Giacomo, 2008 e 2016); Suppl. CIL IX, p. 1834.
27 La via antiqua, qu(a)e dicitur Marsicana (ChVult I, p. 244), o via Sorana, era l’antico tratturo di mezzacosta costruito sul versante orientale
del Liri fra il III-II sec. a. C. per collegare la via Valeria con l’ager Soranus (GROSSI 1992, p. 41, p. 90, tav. 1) e di cui si conservano tratti più
o meno cospicui (QUILICI, QUILICI GIGLI 1988, p. 62). La via è documentata anche dalle visite pastorali alle chiese della diocesi (SQUILLA
1971, p. 133). Poiché la strada era tortuosa, dissestata e pietrosa (HOARE 1819, pp. 337-338), si rese necessaria nel 1834 la sistemazione della
via di fondovalle, oggi SS. n°82 della valle del Liri, che ripercorreva il tracciato già esistente in età imperiale (GROSSI 1992, p. 41) e attestato
in una mappa del secolo XVIII (ASFR, Atti demaniali, busta 65, fasc. 153, Pianta con l’indicazione degli opifici e dei molini lungo il corso del Liri e del
Fibreno, 1793). Il percorso è testimoniato anche da un titulus pedaturae (CAPOCCIA 2019), recuperato nell’area sottostante l’antica strada e poi
sistemato presso il sagrato della chiesa di San Rocco a Balsorano, e dai resti di un vicus terrazzato in loc. Santa Lucia (GROSSI 1991, p. 216).
28 ASDS, Visite pastorali 1663, c. 31.
29 Il monastero di San Donato, sorto in castro Vallis Soranae e cioè nel territorio di Balsorano, è attestato già dalla fine dell’VIII secolo,
quando era divenuto tra il 774 e il 778 possedimento dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno (ChVult I, pp. 238-239); nel 944 il cenobio
era ancora pertinenza, cum inclita valle Sorana, dell’abbazia volturnense (ChVult II, p. 106), la cui influenza terminerà nel 972 con la cessione
del territorio al conte dei Marsi Rainaldo (ChCass II, cap. 7, p. 634). La chiesa è citata in ASDS, Brogliardo A, c. 185 v («in Valle Sorana,
eccl(es)iam S(ancti) Petri et S(anc)ti Donati»); il documento è la trascrizione effettuata nel 1685 del fol. 59 del liber magnus trecentesco, a sua
volta copia della bolla emanata nel 1110 da papa Pasquale II al fine di fissare l’ambito territoriale della diocesi sorana. La chiesa di San
Donato era ancora in piedi nel sec. XVII dal momento che a quel tempo viene redatto l’Inventario delli beni della Chiesa di Santo Donato in
terr(itori)o di Valsorano (ASDS, Libro Verde, cc. 322 r -322 v ) o ne risulta una breve descrizione in una visita pastorale (ASDS, Visite pastorali
1663, cc. 31-32), secondo cui l’edificio sacro era del tipo “a sala”, appariva pavimentato in terra battuta – ad eccezione di un lastricato
posto in corrispondenza dell’altare -, era abbellito da un unico dipinto raffigurante san Donato vescovo e confessore, e risultava

accessibile attraverso un portale in marmo; la chiesa già allora necessitava di lavori di restauro al tetto e alla pavimentazione e di
un’adeguata chiusura della porta e di una finestrella per non permettere l’ingresso di animali. Nei documenti del secolo successivo era
ormai in disuso (Visite pastorali 1703, c. 96 v : «Nel territorio di detta Terra vi è la Cappella di S. Donato, e non vi si celebra […]»), tanto da
non comparire nell’ elenco delle chiese e dei conventi di Balsorano (ASDS, Visite pastorali 1722, cc. 18-34). Di tali cenobi, e in particolare
del monastero di San Nicola, restano alcuni frammenti lapidei scolpiti con motivi fitomorfi di cui erano composti i portali (TANZILLI,
ANTONINI 2016, pp. 74-76).
30 SQUILLA 1971, p.133.
31 GROSSI 1992, p. 31. È probabile che il toponimo Affitto derivi dalla frequente concessione in locazione degli appezzamenti di terreno.
32 CAPOCCIA 2018, p. 26.
33 CAPOCCIA 2018, p. 25.

FONTI, BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

FONTI
ASDS = Archivio Storico della Diocesi di Sora Cassino Aquino Pontecorvo

Libro Verde = Archivio Diocesi di Sora, Serie A, 1, “Inventario di benefici, parrocchie e altri luoghi pii della diocesi
di Sora”. Libro Verde (1612-sec. XVIII, con notazioni dei secoli XIX e XX).
Brogliardo A = Archivio Diocesi di Sora, serie B, Foro vescovile, sottoserie II, Notizie valde considerandae, 1. (1685) Causa
relativa a cinque mulini ecclesiastici nella città di Sora; v. s. “Brogliardo A. Sorae Curiae episcopalis pro molendinis
ecclesiasticis civitatis et diocesis, quibus adnectuntur varia privilegia civitatis Sorae”, cc. 1-411.
Visite pastorali 1663 = Archivio Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo, serie D, Governo della Diocesi, sottoserie VI,
Visite pastorali, mons. Maurizio Piccardi, Relazione della visita pastorale alle parrocchie e alle persone ecclesiastiche
delle città della Valle di Roveto sotto la sua giurisdizione, 8, (1663 nov. 10- 1663 dic. 3).
Visite pastorali 1703 = Archivio Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo, serie D, Governo della Diocesi, sottoserie VI,
Visite pastorali, mons. Matteo Gagliani, Raccolte di notizie presentate di parroci, amministratori di luoghi pii, priori
di confraternite in occasione per la visita pastorale alle parrocchie e altri luoghi pii di Fontana Liri e delle città della
Valle Roveto sotto la sua giurisdizione, 12, (1703-1704).
Visite pastorali 1722= Archivio Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo, serie D, Governo della Diocesi, sottoserie VI,
Visite pastorali, mons. Gabriele de Marchis, Visita pastorale alle parrocchie di Posta Fibreno, Isola del Liri, Fontana
Liri, Balsorano, Casalattico, Alvito, 21, (1722-1733).
ASFR = Archivio di Stato di Frosinone
Atti demaniali, busta 65, fasc. 153, Pianta con l’indicazione degli opifici e dei molini lungo il corso del Liri e del Fibreno, mappa acquerellata
del 1793.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
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CAPOCCIA 2019 = A. CAPOCCIA, Balsorano AQ: un inedito terminus sepulcri, 2019, pp. 1-2, in
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Lazio meridionale, Ager Aquinas. Storia e archeologia nella media valle dell’antico Liris VI (a cura di A. Nicosia),
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TANZILLI 2013 = A. TANZILLI, Materiali funerari editi e inediti a Sora, Vicalvi e Casalattico, Quaderni Coldragonesi 4
(a cura di A. Nicosia), Colfelice 2013, pp. 17-26.
TANZILLI 2014 = A. TANZILLI, Consecratio in formam deorum in un capitello composito figurato di Sora (Frosinone),
Quaderni Coldragonesi 5 (a cura di A. Nicosia), Colfelice 2014, pp. 15-28.
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«Quaderni Coldragonesi», 7 (a cura di A. NICOSIA), Colfelice 2016, pp. 61-78.
TANZILLI, GRIMALDI 2009 = A. TANZILLI, M. GRIMALDI, Museo della valle del Liri- Sora, Isola del Liri 2009.

IL MONDO DELLA STEPPA @aldoc.marturano

La steppa è un palcoscenico immenso e affascinante. Visitandola la prima volta, l’avevo contemplata giusto nel suo primo aspetto in Mongolia e mi aveva spaventato quasi: una distesa pianeggiante di terreno fessurato dai frequenti terremoti e un suolo duro dalla secchezza di color bruno perché battuto da un sole senza tregua!

Qui di giorno c’è il sole cocente, mentre ci vuole qualche ora per passare dal caldo che il suolo continua ad emanare dopo il tramonto, al freddo della sera. Di notte tutto si raffredda e solo al calduccio nella jurta degli amici nomadi, si sta veramente bene…

Oggi si va in camionetta nella steppa mongola e in questo deserto di Gobi se si vuol andare veloci, ma secoli fa? A quei tempi occorre forse immaginarsi file di cammelli carichi di roba in lenta marcia lungo le famosissime Vie della Seta? Oppure mandrie di cavalli dalla lunga criniera in corsa, seguiti da presso da uomini, donne e bambini su carri con due o quattro ruote, pionieri dalle guance cotte dal sole che cantano mentre vanno in carovana verso occidente?

Di là dal Gobi dalla steppa mongola dove mi trovavo, scorgevo a sudovest le montagne dell’Altai e quando scoppiavano brevi temporali improvvisi in lontananza in estate, a me che ne vidi uno, sembrò che s’illuminasse lo schermo di un enorme teatro e si riempisse di cavalieri al galoppo nel fragore di tuoni e lampi.

A nord invece c’era la taigà, una foresta alquanto rada di alberi più silente che con la Transiberiana avevo attraversato, passati i Monti Urali, prima di arrivare ad Ulan Baator.

Non è però questo il mondo di nomadi, sebbene di qui essi partissero puntando sulla lontanissima Europa ad ovest o a sud verso la splendente Cina, oltre gli Altai, cuore etnico dei turcofoni già verso il V sec. CE.

Stando con i loro discendenti per un po’ in Kirghistan, mi son reso conto che questa gente vede il nomadismo non come un fatale e ingrato modo di vita, non conoscendone altri, ma come un’antica scelta di attività per esistere. In breve se potessero, preferirebbero un’economia più sicura e una giornata meno solitaria che non quella comune d’ogni pastore-allevatore. Così amano la compagnia e di sera raccolti intorno al fuoco alimentato con lo sterco secco si ascolta e si racconta per ore di tutto e di tutti.

Si riscopre nella steppa la civiltà del parlare perché la parola ha un peso enorme non immaginabile nella nostra cultura neppure con internet! Chi sa raccontare meglio, accompagnando le parole con i gesti, è il più ascoltato, senza badare troppo al contenuto di ciò che dice, e le risate frequenti fra gli astanti sono il sintomo dell’allegria che si sfoga quando non c’è più da badare alle mandrie degli animali e finalmente si parla. Senza differenza d’età, grandi e piccini, sono invitati a dire la loro… col diritto beninteso di essere ascoltati!

Non credo d’altronde che esista forse al mondo una lingua con giri di parole più espressivi del mongolo o del turco, anzi! Mi viene da rammentare R. Grousset (v. bibl.) che giustamente pensava che qui fosse nata la verbosa democrazia parlamentare…

Naturalmente il paesaggio, l’ecosistema di cui ogni persona umana è parte influisce profondamente negli atteggiamenti e nelle decisioni e, a parte il clima, c’è una particolarità geomorfologica unica al mondo nelle steppe: le cosiddette Terre Nere (in russo černozjòm). In termini più semplici è una striscia di terra argillosa (terre a löss) che trattiene l’umidità e permette la crescita spontanea di erba-foraggio per l’intero anno di cui le bestie volentieri si nutrono e ciò favorisce il sistema di pastorizia nomade, unico cespite economico di questi allevatori in perpetua transumanza.

Come si vede dalla cartina, si estendono più o meno dal Pacifico all’altro estremo dell’Eurasia in Ungheria. Qui l’ultimo lembo di steppa diventa puszta, una vecchia parola slava passata nell’ungherese che significa vuota di gente. Il paesaggio oggi è diverso tuttavia. Le coltivazioni hanno preso il sopravvento sui pascoli, ma il cavallo, grazie agli Alani migrati secoli fa nell’Hortóbágy, ancora in branchi mostra ai turisti con i suoi caroselli e con in groppa i cavalieri Jaszi la sua possanza.

Detto ciò, da dove trae l’acqua il suolo a löss visto che le piogge sono rare? Al sud delle Terre Nere ci sono catene di montagne attaccate quasi agli Altai in una lunga fila: Tian-Šan, Pamir, Kün-Lün fino al Caucaso, alte quanto basta da poter immagazzinare dalla cima fin sui declivi il gelo invernale ghiacciato per lasciarlo poi sciogliere e a valle disegnare oasi e fiumi.

Insomma da est a ovest la steppa non è un continuo conglomerato geografico uniforme e semi-desertico o addirittura ostile dal punto di vista antropico come appare le prime volte. No! Interrotta da fiumi enormi, da laghi immensi in oasi altrettanto gigantesche avvolge e coinvolge storicamente il nomade. L’oasi è la fine del suo errare e vi s’immerge, consolandosi del duro modo di vita che ogni giorno deve affrontare. È la sua meta dei piaceri che affascinano e degli incontri che legano… Gli ebrei persiani parlavano di questi posti come dell’Eden o della Terra di Canaan dove nei fiumi scorrevano latte e miele.

E proprio nelle oasi della Steppa Eurasiatica sorgono città famosissime ed importanti come Samarcanda, città d’Avicenna e del Tamerlano, che attrasse Alessandro il Macedone e Cinghiz Khan per tacere delle tante altre!

Un’oasi si incontra pure dopo le dune del Kizil Kum (sabbie rosse in turco) arrivati alla riva sinistra del fiume Jaik (oggi Ural) a Occidente. A valle, col corso parallelo al grande fiume Volga, taglia la steppa come un gigantesco colpo d’ascia prima di versare le sue acque nel Mar Caspio. Insieme Jaik e Volga, quest’ultimo una volta chiamato Itil, con le proprie masse d’acqua alimentano per quasi l’89 % il più grande lago del mondo che è il Mar Caspio. Se consideriamo che la superficie del Caspio è di ca 100 mila kmq con una profondità che raggiunge un massimo di 1025 m nelle vicinanze delle sponde iraniane, possiamo immaginarci che, fiumi e lago, con l’enorme volume di umidità da essi generato rappresentino un fattore fondamentale per il regime climatico della regione. Col massiccio del Caucaso sulle rive ovest e il Demavend sulle rive sud, il Mar Caspio ha modificato e presumibilmente continuerà a farlo, il clima di tutto il Mediterraneo fino alle nostre coste pugliesi! Il Caucaso effettivamente gioca la sua parte eco-climatologica poiché ai suoi piedi mantiene in vita, primi di altri, ad est il bacino del fiume Terek (oggi Daghestan) e a ovest il bacino minore del fiume Kuban insieme col basso Don e affluenti a nordest.

Gli eventi di questi luoghi, includendo la Crimea e rispettivamente il Mare d’Azov, impressionarono gli storici delle regioni circostanti sin dal tempo di Erodoto (V sec. ACE).

Secoli dopo la trasformazione culturale dei turcofoni Bulgari e Cazari fu notata in particolare separata dalle religioni e, sebbene da quel tempo ci separino oltre 10 secoli e nell’intera area euroasiatica moltissimo sia cambiato, l’informazione nel Medioevo Russo è arrivata fino a noi, mista a favole leggende.

Una domanda sorge e resta: Se una volta i Bulgari e i Cazari trovarono in tale teatro l’ambiente necessario per crescere come popoli e diventare potenze regionali, cosa è accaduto all’ecosistema Volga-Caspio-Caucaso da plasmare l’intera loro storia?

Per quanto riguarda il Caspio sono fortunato perché la risposta è che negli ultimi anni del XX sec. CE, dopo accurati studi da parte della Stazione d’Osservazione d’Astrakhan in collaborazione con l’Università di Baku, si è riusciti a comprendere abbastanza sul regime delle acque del maggior fornitore del Caspio e cioè del Volga. Si è capito che i cicloni delle Azorre, che tanto condizionano il nostro clima europeo, hanno una grandissima influenza sul regime delle piogge e delle nevi che nutrono gli affluenti del Volga. Il fiume perciò muove volumi d’acqua enormi confluenti nel Mar Caspio. Eppure il livello del grande lago non si solleva di molto e non è registrato uno straripamento sulle rive da richiedere eventualmente deviazioni, scolmature o dighe a monte. Certo, ci sono le sesse causate da differenze di pressione atmosferica che abbassano la superficie in un posto e causano la reazione di innalzamento sulla riva opposta. Ciò avviene con una periodicità finora non ben sistemata nello schema di regime, ma, a parte i casi clamorosi di intere strutture rivierasche inghiottite dalle acque mentre il lago era in fase d’innalzamento del livello, l’equilibrio è mantenuto dall’evaporazione.

Qualche esempio servirà a dare un’idea. La fortezza costruita da Ivan il Terribile nel XVI sec. CE sulla foce del Terek era continuamente sommersa dalle acque da costringere a ricostruirla più volte a monte. Un avvenimento simile è registrato nel 1304 CE dal geografo persiano Najati che racconta come alla foce del fiume Giurgian sulla riva sudorientale il porto d’Abezgun (città importante nella nostra storia nella zona di Gümüs Tepe, in Turkmenistan) fosse inghiottito completamente dalle acque e scomparisse e via via tanti altri.

C’è però un altro non ultimo mistero sul Caspio. A sud-est delle coste caspiche, si nota una specie di golfo chiamato Kara Boghaz Göl ossia nel dialetto turco dell’Azerbaigian: Lago della Gola Nera. Qui esistono delle correnti fortissime che vanno dal centro del Mar Caspio verso il fondo di questo golfo!! Cioè qui le acque sono letteralmente “inghiottite” e spariscono sotto terra per andare a finire chissà dove! E, si dice, che sia questa gola nera a mantenere il livello del Caspio in equilibrio, più che l’evaporazione!

È indispensabile sapere tutto ciò? Io penso di sì perché spiega come, conoscendo il regime dell’oscillazione del livello del Caspio, si condussero campagne militari o – a pagamento – si garantiva maggior sicurezza spostando la data per il passaggio di carovane, eserciti etc.

Un punto va ancora riconfermato.

I nomadi eurasiatici, parafrasando I. Lébédinsky (v. bibl.), non sono resti di genti una volta autoctone rimaste indietro nell’evoluzione delle società antropiche locali, bensì gli epigoni di sedentari che hanno scelto un modo nuovo di vivere sfruttando con nuovi costumi e nuove economie l’ecosistema steppico. L’evoluzione sempre più affinata verso l’allevamento e la pastorizia si è prodotta abbastanza rapidamente fra il 1° e il 2° millennio ACE all’epoca del cosiddetto Bronzo e ha lasciato tracce ben chiare dagli Altai alla Crimea.

Assodato ciò, qualcosa dovette pur smuovere uomini distanti oltre 10 mila km in linea d’aria innanzitutto verso il Caspio e fare qui una sosta di qualche secolo per poi continuare verso Occidente. Anzi! Dopo le prime ondate e i primi arrivi ai confini dell’Impero Romano, una misura di difesa per paura dei nomadi dell’est nel Medioevo (VIII-XI sec. CE) fu l’elaborazione e la messa a punto del concetto cristiano di razza superiore, i romani, e dei semi-umani bruti o bestie selvatiche che ci stavano invadendo, gli orientali (G. Heng, v. bibl.)!

In realtà un multiforme cataclisma lento e spaventoso era in atto su un arco di tempo abbastanza ampio nel numero di secoli che forse non era del tutto sfuggito all’osservazione degli studiosi antichi, salvo che nella sua complessità, ma che è stato trascurato dalla ricerca storica odierna tuttora schiava della causalità: la cosiddetta Anomalia Climatica Medievale.

È uno degli esiti sfortunati di un insieme di fenomeni geomorfologici particolarmente interessanti l’emisfero boreale terrestre: uragani, terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni e simili che si può comporre entro il 450-700 CE come inizio e il 1530 CE come fine cioè la Piccola Era Glaciale. La temperatura dell’aria variò e oscillò di qualche grado a causa della polvere vulcanica sospesa nell’alta atmosfera e di conseguenza siccità e carestie ne seguirono oltre al risveglio di certi agenti patogeni come Yersinia pestis o il Plasmodium malariae ad esempio.

@Aldo C.Marturano

I CAZARI SENZA CITTA @aldoc.marturano

Il centro càzaro si sposta a nord sul delta del Volga ed è il momento di visitare la nuova capitale Itil. Un’ottima descrizione l’ha lasciata il geografo del X sec. CE al-Istakhri nel suo Il Libro delle Vie e dei Paesi:

«Khazar è il nome di un paese la cui capitale si chiama Atel [Itil]. Anche il fiume che esce dalla Terra dei Rus’ e dalla Terra dei Bulgari [e che l’attraversa] si chiama Atel. La città consiste di due parti una delle quali si trova sulla riva occidentale [destra] dell’Atel ed è la parte di maggior estensione. L’altra parte si trova sulla riva orientale [sinistra]. Il re vive sulla parte occidentale che nella loro lingua è chiamata Balk [balig/balyk in turco città] o Bak [una cattiva lettura della precedente]. La lunghezza di questa parte è di circa una parasanga [un po’ meno di 6 km] e ha le sue mura. Le abitazioni sono sparse [a caso] e sono fatte di feltro. Soltanto alcune sono in terra cruda. La città ha mercati e bagni e molti musulmani vi abitano, si dice più di 10 mila persone e hanno una trentina di moschee. Il Palazzo del Re è lontano dalle rive del fiume ed è di mattoni cotti ed è l’unica costruzione in mattoni cotti giacché il Re li ha proibiti a chiunque altro. All’interno delle mura ci sono 4 porte che portano al fiume e sulla terraferma.»

Aggiungo al-Mas’udi che informa come la parte abitata dal kaghan è un’isola (intende dire che è circondata da un fossato e che utilizza i diverticoli del fiume in quel punto) ed è collegata con la terraferma per mezzo di un ponte di barche. Tutt’intorno ci sono campi da coltivare riservati alla coltivazione dei cittadini di Itil e non ci sono altri villaggi permanenti!

E infine completo con le informazioni dello stesso kaghan Giuseppe che scrive di esser nato nell’altra isola dove sua madre, la kahtun, vive in appartamenti propri.

È credibile quanto hanno scritto costoro, senza averla mai vista Itil? Il mio dubbio è legittimo dato che resti riconoscibili non ne sono mai stati trovati, nonostante le tante spedizioni archeologiche fatte dopo la morte di L. N. Gumiljòv. Perché mai fu lasciata definitivamente Samandar, ammesso che questo centro sia mai esistito da qualche parte, per trasferirsi sul Delta del Volga? In altre parole perché lasciare la prima sede statale nella regione del medio e basso fiume Terek dove oggi più o meno si trovano i Ceceni e gli Ingusci? E dove sono esattamente queste due città del bacino del Terek, Samandar e Balangiar? Ha qualche relazione il fatto che Volga e Terek sbocchino entrambi nel Mar Caspio e chele citt siano state spazzate via dalle acque caspiche? Per di più, come spiegare la scelta di fondare Itil sulle rive del Mar Caspio molto più in basso rispetto alla quota di Samandar che al contrario avrebbe dominato le acque da una posizione più sicura?

In realtà la questione di base è oltremodo complessa.

I càzari e i bulgari da nomadi delle steppe passati ad agricoltori e ancora da pochi decenni sedentari, avevano sognato la città come l’avevano sentita raccontare, ma costruirne una senza aver un’idea architettonica e di comunità occupata in ambiti produttivi diversi per tutta la vita era tutt’altro che semplice…. se non impossibile!

Per i Bulgari del medio Volga islamizzati la capitale alla confluenza col Kama fu facile da immaginare accentrata alla moschea del venerdì con i bagni adiacenti per le abluzioni e lo testimoniano i resti monumentali che hanno resistito dopo 1000 anni di vicende diverse a Bolgar odierna, per i Càzari edifici del genere non ve ne potevano essere perché l’unico tempio rimaneva quello da ricostruire a Gerusalemme… dunque niente città per quello che intendiamo noi oggi!

Strabiliante, ma è la realtà archeologica.

@Aldo C.Marturano

ESISTE UN MEDIOEVO RUSSO ? @aldoc.marturano

Si parla e si scrive tanto della grande letteratura romantica o della musica russa, degli eventi dei tempi sovietici, ma prima? Chi c’era prima di Dostoevskii, di Čaikovskii o di Lenin? Esiste una storia russa remota anteriore a Pietro I, il fondatore di San Pietroburgo, da raccontare? E da quale epoca si può cominciare a parlare di Russi e di Russia? E perché parlare di Slavi o di Russi in una compagine multietnica come è stata (ed ancora lo è) la vastissima regione che negli atlanti classici si chiamava Pianura Sarmatica e in quelli più recenti è annotata sotto Pianura Boreale Europea? Sono le prime domande che qualunque lettore curioso si pone quando insoddisfatto di quanto si scrive di storia europea si sia già dato uno sguardo attorno alla ricerca di letture appetibili che raccontino che cosa ci fosse e chi vivesse nel lontano passato nella Federazione Russa visto che questo stato costituisce grandissima parte del nordest del nostro continente inclusa l’appena detta pianura. Se poi il lettore da persona puntigliosa si fosse accorto della varietà di genti diverse presenti nella regione e pensasse che sarebbe interessante scoprire quali apporti, materiali e immateriali, gli antenati di quelle genti (né meno né più “europee” di altre) abbiano regalato alla Russia e al resto del continente nel passato, l’argomento diventa talmente complesso che non crediamo sia in circolazione un lavoro accessibile sull’argomento col ben augurante titolo Storia dell’Antica Russia… e basta! D’altronde la storia si fa coi documenti e occorre rivolgersi agli specialisti che quei documenti hanno esaminato e vagliato, se si vogliono avere risposte rigorose sulle varie topiche, e gli specialisti non pubblicano granché per un pubblico non accademico. Per queste ragioni preparatevi a entrare nei meandri del passato insieme con noi e spigoleremo notizie poco note e normalmente nascoste nei labirinti delle ricerche o dei commenti storiografici disponibili per trarne alla fine una sintesi piacevolmente leggibile. Avvertiamo che le discussioni sollevate e le ipotesi suggerite sul tema “antico-russo” in questi ultimi anni si sono moltiplicate e per natura e per punti di vista. A volte sono sfociate nella pura fantastica speculazione, tanto da rendere certi lavori recenti non apprezzabili e per qualità e per profondità d’analisi, ma a volte hanno rivoluzionato il modo di guardare alla storia antico-russa in primo luogo nella storiografia sovietica, postsovietica e tedesca. Ad esempio fra i lavori da noi selezionati abbiamo scelto l’atlante storico di Allen F. Chew (v. bibl.) da cui partire, con l’estrema convinzione che la storia, di qualunque gente o parte del mondo essa sia, non può essere coperta da copyright poiché appartiene a ognuno di noi. E così anche la geografia e la cartina qui accanto che ne fa parte. Detto ciò, la Rus’ di Kiev era uno stato che avrebbe occupato fra il IX e il X sec. CE gran parte della Pianura Russa (per comodità chiameremo così il territorio che ci interessa escludendo sin da ora il bacino polacco della Vistola) e le cui vicende abbracciarono a mala pena tre secoli: X-XIII sec. CE convenzionalmente appunto chiamato Rus’ di Kiev perché la sedicente capitale era proprio l’odierna città ucraina che fondata dai càzari (K. Brooks 2002) nel 1240 fu sconvolta dai Tataro-mongoli di Cinghiz Khan. Purtroppo non solo case e persone furono annientate dal fuoco e dalla furia della soldatesca in quell’anno sfortunato, ma parecchi manoscritti appartenenti all’annalistica nata qui ca. un secolo prima andarono persi. E noi piuttosto che rammaricarcene all’infinito siamo lieti di ammettere che grazie al lavoro degli archeologi sovietici mossisi in grande stile negli anni ’50 del secolo scorso disponiamo di parecchi elementi di conoscenza in più che ci permettono di ricostruire tante verità storiche altrimenti dimenticate. Seppure non nominandoli uno per uno, i lavori degli archeologi con i loro reperti riportati alla luce in vari siti insieme con i monumenti scritti rimasti saranno alla base dell’indagine presente, salvo le interpretazioni che invece sono nostre, sperando che siano attendibili e esaurienti. Naturalmente Wikipedia e internet ci hanno fornito il loro indispensabile supporto epistemiologico.Qui di seguito, evitando i binari accademici tracciati nel secolo scorso per scrivere la storia antico-russa che sono desueti e cercando di contenere la spinta a speculare allorché capita che manchi una documentazione di base minima, ecco le questioni sulle quali indugeremo più a lungo: Definire meglio che ruolo avrebbe una storia antico-russa nell’ambito economico, culturale e religioso della storia europea più generale.Individuare degli elementi chiari nell’ambito della mentalità, cultura e comportamenti che distinguano dalle altre etnie a contatto nel medesimo territorio in modo da distinguere meglio i protagonisti e di qui finalmente……dedurre i traguardi che le élites al potere credettero di avere il dovere di conseguire nelle loro imprese per sentirsi in grado di identificarsi, coagularsi e apparire a capo di un’unica etnia dominante che assunse poi la denominazione ibrida di russa che, secondo noi, andrebbe chiamata slavo-russa. Queste sono le topiche importanti che esamineremo giacché fra il X e l’XI sec. CE Germani (Scandinavi per lo più), Balti, Slavi, Ugro-finni (Ungheresi fra gli altri) e Turcofoni (Bulgari e Càzari preminentemente, ma prima Avari e Unni) e Iranofoni (Alani-Osseti) si ritrovarono mescolati letteralmente nelle medesime aree dove poi si sarebbe affermata la Rus’ di Kiev che, diciamolo subito, una politica ebbe chiara: slavizzare + slavizzare!Non dimentichiamo che le leghe di genti appena nominate facevano parte di quelle Invasioni Barbariche, termine in uso nella storiografia “latina” che invece la storiografia tedesca ha chiamato giustamente Trasmigrazioni di Popoli. Ci troviamo nel pieno di un’epoca in cui una civiltà romano-cristiana ormai cristallizzata e immota e sotto pressione islamica da vari lati, subiva l’impeto di forze giovanili nuove. In realtà più che di scossoni inflitti le “invasioni” erano vere iniezioni di energia che annunciavano la rinascita europea rendendo inutile nel medio termine, dobbiamo aggiungere, la diffidenza dell’ideologia religioso-politica cristiana eternamente occupata a eliminare ogni novità pur di dominare in maniera totalizzante le menti e le culture. Il medievalista francese contro-corrente Jacques Heers (v. bibl.) scriveva che il Medioevo è una costruzione genericamente artificiosa creata nel Rinascimento italiano per mille ragioni e noi siamo d’accordo, ma nel nostro caso apponendo l’aggettivo russo accanto a Medioevo muteremmo forse granché tale situazione di artificiose nomenclature? E sarebbe diverso se invece di Medioevo Russo parlassimo di Storia degli avvenimenti anteriori all’Era di Pietro I, l’Imperatore russo che verso il 1700 mise in atto le prime modernizzazioni del vasto Impero Moscovita? Ci pare di no, almeno dal punto di vista formale. Comunque sia al momento non esiste una storia “slavo-russa” anteriore al 800 CE e quindi la ripartizione classica e ambigua in Alto, Basso e Tardo Medioevo non fa letteralmente né caldo né freddo nel Nordest Europeo e per questo motivo, se ce ne serviremo, sarà esclusivamente un puro riferimento. Anzi! Crediamo che l’uso delle periodizzazioni “medievali” siano eredità ideologiche di vecchio stampo allorché si scriveva la storia per esaltare le nazioni e le nazionalità e, soprattutto, le numerose élites che imperavano. La stessa cosa si può dire per il sistema dei legami feudali in uso in Occidente fra potere e gente semplice, fra autorità superiore e inferiore giacché nel Nordest i legami interpersonali di dominio furono di tutt’altro tipo.C’è però un aspetto singolare del Medioevo Russo che non va trascurato e che abbiamo ventilato già all’inizio e cioè la presenza rinnovata e rimescolata continuamente di popolazioni diverse cioè le già citate Invasioni Barbariche. Le genti è vero che fossero dirette in Occidente, ma le soste in queste peregrinazioni in certe aree erano abbastanza lunghe da non poterle escludere dalla storia locale. Dopo le ricerche fatte presso i nomadi da A.M. Khazanov et al. (v. bibl.) si vede che i famigerati Barbari tanto dileggiati e temuti perché nomadi, avevano forme di stato, definibili al limite forse un po’ più fluide dei sedentari, ma pur sempre funzionanti su vasti territori. Anche la ricerca etnografica nell’estremo nord ha aperto nuovi orizzonti di studio e, sebbene non si parli di “invasioni”, come mai il ricordo di queste trasmigrazioni sembra lì scomparso? È stato forse a bella posta occultato? E che male c’è a considerare insieme con altri “barbari” le genti del nord antenati della Rus’ di Kiev? Per nostra fortuna l’esperienza degli ultimi decenni ci conferma che quando ci si accinge a costruire una nuova comunità nel mezzo di popoli e culture diversi c’è sempre una contiguità che lascia tracce e che è osservabile grazie ai nuovi strumenti di indagine. Piuttosto la questione è se per davvero la Rus’ di Kiev fu un primo passo verso la creazione di una “civiltà” innovativa, sebbene tramandasse valori cosiddetti “orientali” o “asiatici” visto che fino ad oggi tali valori sono stati concettualmente messi da parte per costringersi a dipingersi più europei di altri. In breve ci si vergogna di parlarne perché considerati il portato di “asiatici” estranei all’Europa e ai suoi esclusivi valori giudaico-cristiani e in certo qual modo da aborrire (ampiamente ne tratta E. Knobloch, v. bibl.).Sotto questi aspetti il punto focale della storiografia conservatrice alla corte dei Romanov (l’ultima dinastia imperiale peraltro di origine danese: Holstein-Gottorp e travestita da slavo-russa) diventò raccontare la storia antico-russa in termini di annunciazione della nascita di un ethnos superiore moscovita o Grande Russo con una sua universalità e preminenza culturale. Questo è stato il dettato dello storico di corte, N. Karamzin (prima metà del ‘800 v. in bibl.): descrivere quasi senza commentarli modi e tempi evolutivi della nuova gloriosa entità politica russa e quanto essa produceva di organizzazione in nome di Cristo! Poi però restava oscura la funzione pratica onnipresente del potenziale bellico e ideologico del Sacro Romano Impero Russo lanciato alla conquista coloniale di quell’enorme porzione del Globo terraqueo dal Pacifico al Baltico che noi inglobiamo nello spaventevole concetto di Siberia.Concludendo, con tali pendenze ideologiche si giunse persino ad attribuire alle forme statali preesistenti alla Rus’ di Kiev (ma pure alle successive) un format apposito che le rendesse in certo qual modo pericolosamente misteriose e sbucate da chissà quale oscuro angolo del pianeta… per il semplice fatto di non essere né russe né slave e perciò etnicamente inquinanti! Malgrado ciò la presenza non solo degli Slavi con differenze linguistiche (dialettali?) e culturali notevoli persino al loro interno, ma pure dei Non-slavi in via d’acculturazione o di soffocamento nello “slavume” dominante a Kiev, è innegabile come pure lo è la multietnicità della Pianura Russa e comune d’altro canto ad altre aree nazionali antiche e moderne del resto d’Europa, seppur periferiche alle dette trasmigrazioni. Insomma è giunta l’ora di esaminare e di mettere nel giusto rilievo il meticciato interetnico che produsse il sospirato superethnos slavo-russo al potere prima a Kiev e poi a Mosca e tranquillamente ammettere che la Rus’ di Kiev fu composita e sincretistica in ogni maglia del suo tessuto e se in ogni evento la peculiarità interetnica non si rispecchia a volte in maniera evidente, sottacerla o non postularla non potrebbe che rendere incompleto il racconto storico.E non sarebbe tempo di confessare che i vecchi sforzi di creare un’inutile società omogenea culturalmente dominata da élites sedicenti pan-russe, usando (oltre alla costrizione fisica) la potenza dottrinaria del Cristianesimo Ortodosso e quelli della Rivoluzione Socialista di 100 anni fa, non hanno dato gli esiti auspicati?Il discorso è complicato e maggiormente lo diventò proprio quando la Rivoluzione del ’17 esaltò la questione delle nazionalità molto dibattuta in Europa dal Congresso di Vienna in poi. Nel giovane stato sovietico cominciò a fiorire in ogni comunità allogena confederata la difesa delle rispettive unicità culturali e politiche da comporre in una storia locale e in qualcuna di esse sorse persino la voglia di secessione dall’URSS. E non fu tutto! La base della nuova identità etnica al principio non poteva essere che la lingua, segno distintivo tradizionale più immediato di ogni ethnos e superethnos, salvo poi a cercare la cultura letteraria nazionale in lingua da abbinare e riconoscerla come realtà etnica (L.N. Gumiljòv v. bibl.). E qui sottolineiamo l’ambiguità linguistica non solo italiana, ma pure di altre lingue europee, nel non saper dare un nome alla parlata della Rus’ di Kiev, antenata filologica non soltanto dell’ucraino e del bielorusso, ma anche del grande russo moscovita. Né dimentichiamo però che quest’ultima parlata, comunque la si voglia odiare o amare, alla fine è quella che ha conservato e tramandato grandissima parte della produzione letteraria orale degli Slavi orientali che oggi è tanto apprezzata e rivissuta nei reenactments e che rappresenta un patrimonio europeo di civiltà contadina enorme.Nelle Cronache Russe (di cui diremo meglio più avanti) rus’ki/русъкі è l’aggettivo derivato da Rus’ esclusivo degli slavi Poljani di Kiev e della loro lingua! Se pensiamo che per gli slavo-russi moderni si è conservato russkii per la lingua e si è coniato rossijànin per il cittadino della Federazione Russa, c’è ancor più confusione nel distinguere ucraini da bielorussi e poi questi dai russi d’oggi e allora preghiamo il lettore di aver pazienza e rassegnarsi se in italiano non c’è che russo da usare così com’è.Salteremo pure l’ingarbugliatissima questione di quando fra il X e XI sec. CE si concretizzò la necessità di introdurre lo slavo-macedone per le Sacre Scritture e per imporlo contro ogni altra varietà di slavo parlata fra Kiev e i Balcani (dalla centrale di Ohrid) e accetteremo una volta per tutte che la lingua veicolare rus’ki si diffondesse nella Pianura Russa seppur compresa con sforzo da slavi e da bilingui non slavi. Noteremo invece che il cronista addita come persone estranee e da evitare chi non si esprime in quella lingua. È per lui un segno fortemente negativo e addirittura diabolico perché non parlare rus’ki vuol dire essere in condizione di paganesimo e alla fine jazyk (russo per lingua in generale) nel derivato nominale jazyčestvo diventerà insieme di lingue straniere dei pagani e passerà a significare paganesimo. Le conseguenze pratiche di questo modo di vedere? Ne riparleremo più avanti…C’è poi l’etnonimo enigmatico rus’ intorno al quale si sono scritte migliaia di pagine sull’etimologia e, benché siano state partorite le interpretazioni più svariate, attualmente non c’è un etimo accettabile! E’ importante ciò? Purtroppo sì! Siamo in un contesto culturale dove l’amanuense rispecchia una maniera consueta di far storia all’interno della chiesa cristiana bizantina del X-XII sec. CE secondo cui gli eventi umani sono guidati dalla mano invisibile del dio cristiano. Un popolo non ha storia finché non abbraccia la fede di Cristo e solo da quel momento inizia la sua esistenza nel tempo universale che porta, a seconda dei destini decisi dalla volontà divina, verso la sua estinzione o la sua gloria gratia Dei. L’Impero Romano d’Oriente a cui questa costruzione ideologica fa capo non era visto né mai si era propagandato come istituzione passeggera o effimera. Al contrario! Gli altri regni un po’ alla volta sarebbero scomparsi, ma Roma d’Oriente sarebbe rimasta il centro dell’Impero Universale destinato a durare fino alla fine dei tempi. Da questa posizione di superiorità, politica e religiosa allo stesso tempo, le Cronache Russe avvertono che il potere deriva giusto da quel dio più potente di ogni altro ed è sancito inoltre dalla ”dottrina” che i suoi ministri terreni insegnano giacché ad essi è affidato il compito di controllare che il potere affidato ai pochi uomini scelti sia esercitato secondo gli insegnamenti delle Sacre Scritture. In uno schema di tal fatta occorre pertanto in caso di entità politiche nuove cercare, trovare e definire la persona eletta che impersoni l’autorità sacra del Principe che governerà gratia Dei! Non solo. Si pretende che i sudditi ne accettino supinamente i comandi, rinunciando a obbedire a qualsiasi altro sedicente rappresentante divino sulla Terra… Sarà questa l’egida filosofica della strenua e lunga lotta per la conquista di territori e di risorse da parte delle élites riconosciute legittime dall’autorità della Chiesa di Kiev (e poi di Mosca) contro ogni genere d’opposizione nella Pianura Russa. Le azioni militari condotte nei villaggi e nelle città che porteranno distruzione e saccheggi saranno bellamente giustificati perché servono a eliminare i focolai di ostinato paganesimo/islamismo/giudaismo finché non si piegano al trionfo di Cristo. L’occupazione maggiore delle armate kievane con la caccia all’uomo nelle foreste o nella steppa diventano vere e proprie crociate e i preti cristiani si troveranno sempre in prima fila con icone e paramenti sacri pronti a ribaltare ogni ordine societario tradizionale e sostituirlo con uno a marchio cristiano. Persino Kiev subirà tali crociate da parte di knjaz (rus. principe) russi contro knjaz pure russi, ma “eretici” o “dissidenti”, che avevano rinnegato il passato della loro dinastia ed erano tornati al paganesimo o, peggio che mai, si rivoltavano alleandosi coi pagani…Un punto importante è la questione della Chiesa di Roma sul Tevere e il suo sforzarsi nel “tempo di mezzo” di inglobare in un unico popolo cristiano parlante latino ogni europeo intorno alla figura imperiale del papa dopo che la tempesta “germanica” del 476 CE si era attenuata e che la nobiltà teutonica aveva conquistato ormai le vette del potere. Come mai questa Roma non riuscì ad aver successo nella Rus’ di Kiev? Eppure gli esiti delle operazioni “latine” in terra slava sono ben registrati e conservati negli archivi papali.Senza spiegazioni esaurienti come si fa però a capire la rinuncia fino al XIII sec. CE a intraprendere ulteriori azioni evangelizzatrici in Terra Russa? Forse Roma incontrò resistenze e opposizioni da parte dei poteri slavo-russi e perché mai? E quei troncati contatti che esito ebbero alla proclamazione dello scisma unilaterale nel 1054 CE? E in qual misura favorì l’azione dell’altra centrale cristiana, Roma Secunda o Costantinopoli che battezzò Kiev alla fine del X sec.? Calcoli di potere? Convenienze d’élite? Gelosie fra religiosi? Travagli interetnici nei centri slavi dei Balcani? Come mai fra Bulgari, Càzari e altri turcofoni che abitavano a Kiev le Cronache Russe scelgono esclusivamente i Poljani come l’etnia portatrice esclusiva di questa storia benché “costretti” a mescolarsi coi Varjaghi per diventare i Rus’ come affermano le Cronache Russe? Sono questioni a cui chi salì al potere a Kiev dovette far corrispondere atti adeguati giacché il nuovo stato ebbe a che fare fra due Rome rivali e per evitare di privarsi dei vantaggi economici che ricavava nel commercio internazionale con entrambe escogitò politiche opportunistiche ad hoc… Con tale scenario ci chiediamo e richiediamo perché sia così ostico scrivere di storia russa antica e poi non riuscire a riallacciarla al resto della storia europea esaltata e ammirata col suo Medioevo, Rinascimento a cui ci riferivamo seguendo J. Heers? La domanda non è stantia, ma – e lo ripetiamo – c’è una quasi totale assenza sul mercato editoriale europeo e italiano in particolare di lavori almeno divulgativi sull’argomento Medioevo Russo. Per parte nostra nei limiti delle nostre conoscenze e di decenni di studi ci siamo convinti – e lo ribadiamo – che la storia antico-russa pregressa all’Impero e all’URSS ha degli aspetti che la rende unica e per le sue peculiarità senz’altro difficile da trattare, ma l’evidente assenza di discussioni a livelli, accademici e non, sulla legittimità del “pianeta russo” a considerarsi europeo a tutti gli effetti materialmente non ha ragion d’essere.

VARJAGHI,VICHINGHI O RUS? @aldo c.marturano

Una lezione scritta dal maggiore esperto italiano di medioevo russo.

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Gli scandinavi sono conosciuti in Europa come grandi navigatori per la natura dell’ecosistema in cui vivono, tuttavia mentre norvegesi e danesi si avventuravano immediatamente nel Mar del Nord allora considerato il mitico Oceano che circondava la terra abitata, non era lo stesso per gli svedesi che si affacciavano sul Mar Baltico. Esaminiamo un po’ meglio la questione. Dalle coste norvegesi (e/o danesi) si partiva con un buon spirito di avventura spinti ad affrontare il mare persino per raggiungere le mitiche terre ai confini del mondo: la fantastica Ultima Thule che in seguito si rivelerà essere il continente americano. Con uno sguardo più corto invece il viaggio verso le coste più vicine ossia la Scozia o il nord dell’attuale Francia era preferibile. Con la navigazione – minimo! – di una giornata intera a volte con venti favorevoli e a volte con correnti contrarie o burrasche i naviganti avrebbero trovato all’approdo monasteri e chiese pieni di valori – gli ex-voto dei pescatori in oro e argento, ad esempio – da saccheggiare oltre alle cittadine dove avrebbero potuto razziare giovinetti da vendere in schiavitù. Al-Andalus (con capitale la splendente Cordova) li conosceva bene, questi pirati, sotto il nome generico di al-Majus (sebbene li identificasse secondo alcuni documenti con i Rus) già nel VIII sec. d.C. e faceva con loro mercato non solo per gli schiavi.I viaggi in ogni caso prima di mettersi in mare avevano come base cognitiva le informazioni raccolte soprattutto presso i mercanti ad es. a Birka o a Haithabu nel IX sec. d.C. Per gli Svedesi che infatti si affacciavano in un mare interno, il Baltico, già sapevano dalle tradizioni delle millenarie migrazioni germaniche, quanto esso fosse relativamente calmo e con brevi distanze da una costa all’altra, sebbene si fosse convinti di trovarsi sempre nell’Oceano mitico delle coste norvegesi. Per l’epoca tuttavia sulle coste baltiche non v’erano chiese né cittadine da saccheggiare. Anzi! Si sapeva che fossero covo di pirati in agguato fra gli alberi fitti fin sul bagnasciuga… Eppure i sentito-dire di un mondo meraviglioso al sud e di qualcuno che c’era stato e poi era ritornato a raccontare spingeva a tentare il lungo e difficoltoso viaggio di attraversamento della foresta russa!La Scandinavia fino al XV sec. era considerata un’isola circondata dall’Oceano situata ai Limiti del Mondo ricalcando le concezioni degli antichi geografi, fra cui Plinio il Vecchio. Con una carta geografica fra le mani, subito ci si accorge che, datasi una ragione per lasciare le proprie terre e cercarne altre lontane, nel caso dei Norvegesi recarsi nella foresta della Pianura Russa avrebbe significato percorrere un lungo giro intorno alle loro coste piene di fiordi fino a Capo Nord e poi virare verso sudest in lande desolate e sconosciute. L’impresa restava certamente “spaventosa” da compiere nell’Oceano popolato di mostri e con acque piene di vortici mortali (ricordate ad es. il Mælstrom di Edgar Allan Poe?) che trascinavano nell’abisso ogni navigante verso la morte senza scampo, per tacere dei ghiacci e del freddo intenso, se ci si avventurava d’inverno! Sappiamo ciononostante dalle saghe islandesi che con quegli estremi pericoli ci fu chi riuscì, forse casualmente, a seguire la rotta settentrionale lungo i fiordi per entrare nell’odierno mar Bianco nell’estremo nord. Vagando sperduti nella semideserta tundra artica costoro capitarono presso un tempio dei finni (saami) che lì abitavano e lo saccheggiarono delle pellicce e delle altre cose preziose lì custodite. Oltre non andarono per paura dell’ignoto e della rappresaglia “magica” dei locali e si ritirarono. Fu una di quelle imprese che non furono più reiterate e pochissimi credettero che l’impresa fosse stata mai compiuta realmente come due mercanti l’avevano raccontata al re sassone Alfredo in quella parte misteriosa di mondo! Il nome tardo-medievale Norrvegr o Rotta verso Nord rimase comunque attaccato alla terra occidentale scandinava come un destino dei suoi abitanti che erano così esclusi dalle frequentazioni nel mar Baltico, ma incoraggiati a proseguire nel nord…Chi scrisse di questi e altri eventi erano di solito cronachisti ecclesiali franchi del continente intorno al IX-X sec. e parlavano di Uomini del Nord (Nordman) o di Pagani (gentiles, pagani) se non proprio di pyratae, vecchio e spregiativo vocabolo latino mediterraneo del tempo di Pompeo, pur malcelatamente ammirati per le loro tattiche guerresche. In realtà da subito si trova una distinzione negli Annales Bertiniani fra Svedesi e il resto degli Uomini del Nord. In queste cronache franche in particolare i Danesi, sono definiti fino alla metà del IX sec. pyratae, mentre un gruppo di tali “normanni” affidati dall’Imperatore Teofilo (829-842) a Ludovico il Pio provenienti dalla Pianura Russa si dicono Sueones ossia Svedesi e, diretti in patria, sono lasciati passare in terra franca dopo un’accurata identificazione. Nella Vita di san Ansgario, primo vescovo di Amburgo, si narra – tanto per fare un esempio – che intorno alla metà del IX sec. i Vichinghi volessero attaccare la città di Birka, situata all’interno delle coste baltiche svedesi, ma che prima dell’attacco si consultassero con gli dèi e a causa del responso negativo l’attacco non avvenne. Mettendo da parte l’elemento miracoloso-edificante del cronista Rimberto che ascrive ogni merito di salvezza al dio cristiano, è chiaro che i Vichinghi rinunciavano a un’impresa troppo complicata, se non organizzata in anticipo, e per di più evitando il disturbo agli amici mercanti!Più toccata dai Vichinghi, come scritto, è la Scozia, prossima ai fiordi norvegesi, ed è proprio qui che nasce la parola Vichingo assente nelle sopracitate cronache. Viking, Wiking et sim. non indica una nazionalità particolare, ma dei pirati che apportano scompiglio e morte alla gente che vive nel raggio delle loro razzie. Malgrado ciò, rinunciato ad immaginarli a spasso nel mar Baltico, mi chiedo: Che cosa poteva spingere questi arditi a lasciare le coste di casa propria? E come erano composti i gruppi in movimento? Forse è utile risalire a proposito ai Goti, visto che sono gli antenati di tutti i normanni, se così si può dire. La famosa opera Gesta dei Goti (ca. 551 d.C.) di Jordanes ne parla attingendo dalla Storia dei Goti del predecessore Cassiodoro. Qui ho trovato non solo gli itinerari seguiti dagli svedesi intorno al II sec. d.C. con l’accenno alle necessità che li spingevano a lasciare quella terra conquistata di recente, la Scandinavia baltica, ma anche i nomi delle genti del Grande Nord con le quali vennero a contatto. Ne riporto di seguito qualche riga che riassume le conoscenze dell’epoca: «Nel Nord nei flutti salati del Mar Oceano c’è una grande isola: La Scandinavia [da lui chiamata Scandza]. Ha la forma di una foglia di albero di limone con i lati frastagliati, distesa per il lungo e chiusa in se stessa. Pomponio Mela informa che essa si trova sul Kattegat dove infatti il Mar Oceano arriva con le sue onde. La parte anteriore [orientale] è proprio davanti alla foce della Vistola che nasce nei Monti della Sarmazia e arrivato in vista della Scandinavia si divide in tre rami e si versa nell’Oceano [qui c’è la conferma che le acque baltiche sono acque dell’Oceano mitico] dividendo la Germania dalla Scizia. L’isola scandinava ad oriente ha un grande lago [è il Malären] …. e in occidente è bagnata da un mare immenso che la tocca fin nel nord e non è navigabile…»In questa opera preziosissima ecco che apprendo come in un fosco mattino nella Terra dei Goti (sud dell’attuale Svezia) si raccogliessero a concione le famiglie dei maggiorenti per discutere di una situazione che stava diventando invivibile. La comunità era cresciuta e la precarietà della locale agricoltura e delle altre risorse di cibo disponibili non permetteva più di nutrire a sufficienza tutti. Si decise allora di dividere il popolo in tre gruppi e poi di tirare a sorte quale di questi avrebbe lasciato l’attuale patria per sempre. Nel 150 d.C. il gruppo scelto dalla sorte lascia dunque le coste svedesi più o meno dalle parti dove si trova oggi Stoccolma e si dirige verso sudest. La geografia che illustra la penetrazione dei Goti attraverso terre oggi polacche è abbastanza chiara. Il primo fiume che incontrano sul continente è la Vistola che viene percorsa tutta contro corrente. Senza andare nei particolari la spedizione ebbe successo e il nome dei Goti si sparse per tutta l’Europa proprio con la fama di quell’impresa che rimbalzò fissandosi nelle tradizioni locali nel nord nella realizzazione di un grande sogno. È quasi sicuro che da essa nacque quel desiderio di volgersi a sud dove c’era la vera ricchezza (intesa come abbondanza di cibo) e dove il calore del sole ti avvolge per tutto l’anno in città bellissime fra splendide donne etc. Non solo! La validità dell’itinerario scelto era ormai stata provata e chi ne avesse voglia nei secoli seguenti l’avrebbe ripercorso per nuove imprese.Per i Goti di Ermanarico – il capo della detta spedizione – la meta ultima era Roma in Italia, ma dopo la devastazione vandala e lo spostamento del centro politico romano-imperiale sul Bosforo, la meta nel IX-X sec. diventava Roma Nova o Secunda ossia Costantinopoli cioè la mitica città che le genti del nord chiamavano semplicemente la Città Grande (Mikla Gårdhr) riconoscendola la più grande città del mondo.E’ anche vero che in Norvegia arrivavano frequentemente informazioni dal sud del continente sui fiorenti insediamenti cristiani, specialmente sollecitando l’attività quasi frenetica del vescovado di Amburgo e Brema in mano a san Ansgario e ai suoi collaboratori. Anzi! E’ certo che i monaci irlandesi eremiti furono i primi a colonizzare le coste della lontana Islanda e che, altrettanto sicuramente, facevano tappa lungo le coste e nei fiordi dell’odierna Norvegia. Qui essi narravano alla gente delle loro abbazie, dei conventi con i villaggi annessi lungo le coste francesi e inglesi e sulle isole ancor più a occidente. Hibernia (Irlanda) è una di quelle da dove essi stessi provenivano situata in mezzo all’innavigabile mare Oceano che solo un santo monaco come san Brandano sapeva attraversare indenne. Con questi racconti e con i loro libri magici i monaci tentavano naturalmente allo stesso tempo di evangelizzare questi goti pagani! E invece il loro raccontare attirò l’attenzione e l’avidità e provocò le malaugurate imprese vichinghe su quelle abbazie e su quei villaggi indifesi… con base proprio questo lato occidentale della Scandinavia!In Svezia al contrario furono i mercanti (quasi sempre bulgari e ebrei) a portare le notizie su Roma Secunda e sui suoi splendori e delle capitali musulmane altrettanto magnifiche come Baghdad inaugurata intorno a 800 d.C. e ciò, secondo me, risultò accattivante per gli Svedesi che capirono di trovarsi geograficamente più vicini di altri “nordici” a queste città ricchissime. Arriverà persino l’informazione che ci siano le possibilità di essere ingaggiati a far da scorta armata a convogli commerciali o a diventare guardie a re ed imperatori o ancora a far da truppa speciale nelle spedizioni guerresche… molto ben pagati! Come un qualsiasi avventuriero disperato o deciso a dare una svolta alla sua vita, il futuro svedese intraprendente cerca una vita più agiata e, siccome l’unica cosa che sa far meglio è la lotta armata (anche per ragioni fisiche visto che il migrante è sempre un giovane in ottima salute e ben in forze). Attenzione però, non la guerra come la intendiamo oggi, ma l’arte di combattere nel corpo a corpo in una razzia. Sarà uno di questi arditi a mettere insieme un giorno un gruppo di intenzionati come lui a partire. Seleziona i suoi compagni, si procura i finanziatori per acquistare le armi (le migliori spade sono importate dai Franchi e a quei tempi costavano fior di quattrini), costruisce la sua nave (altra grossa spesa) e, giunta la buona stagione, va per mare alla ricerca delle vie per il sud. Il mar Baltico è un mare interno pochissimo esteso in confronto all’analogo Mediterraneo. E’ pieno di isole e perciò facile da attraversare cabotando da un’isola all’altra o persino a nuoto! Muoversi da una costa all’altra è quindi agevole e non richiede navi attrezzate per le tempeste “oceaniche” del Mare del Nord o per lunghe traversate. Le famose impressionanti e enormi navi “vichinghe”, i knørrar o i drakkar trionfali, qui sono superflue ed è inutile credere a quei documentari o a quelle storie di Vichinghi che viaggiano in acque baltiche su queste pittoresche navi! Un qualsiasi svedese alla ricerca di avventure non aveva difficoltà ad approdare sulle coste di fronte a lui, come fanno ancora oggi i suoi epigoni con le popolarissime barche a vela, senza dover necessariamente essere attrezzato con mezzi costosi… Ribadisco che le grandi navi ritrovate dagli archeologi danesi e svedesi e ricostruite in vari musei, erano più necessarie sull’Oceano che non nel mar Baltico e, figuriamoci poi, lungo i fiumi russi! Lasciamo dunque i norvegesi nel loro Mare del Nord… a fare i Vichinghi e focalizziamoci sulla Svezia sud-orientale.Partendo dall’Uppland dove oggi c’è Uppsala o da Sigtuna, a poche miglia marine c’è subito la grande isola di Gotland o verso nord saltando di isoletta in isoletta, chiamate oggi Åland, si giunge sulla costa finlandese. Si può optare per il nordest e allora s’incontra la costa della Curlandia e le isole che chiudono il Golfo di Riga. Miglia più avanti verso est e si entra nell’odierno Golfo di Finlandia fino alle isolette che sbarrano oggi il porto della moderna San Pietroburgo. Qui siamo alla foce della Nevà, all’epoca paludosa e creduta come parte dell’Oceano mitico. Questo è il Baltico e questi sono i suoi navigatori medievali più assidui: i cosiddetti Variaghi! Né sono soltanto e sempre in viaggio in grossi gruppi organizzati, poiché c’è anche qualche navigatore solitario e persino su tratti di percorrenza lunghi. Anzi! Qualcuno di questi, se aveva fortuna, si stabiliva nei dintorni dell’approdo a lui più favorevole e, sposando una figlia delle genti locali, la sua vita si concludeva lì. Di tanto in tanto sarebbe anche tornato in patria dai suoi vecchi, proprio in vista del facile viaggio di andata e ritorno, e avrebbe raccontato nel vecchio giro di amicizie delle esperienze fatte in terra straniera che ora era la sua nuova patria.E, come è documentato nelle saghe scandinave, si sarebbe offerto come guida esperta per la zona da lui abitata… Un altro punto da chiarire una volta per tutte è che non è mai esistito un “popolo varjago” alla ricerca di una terra dove fondare una nazione nuova e perciò neppure la ricerca di un’origine dei varjaghi in un esatto luogo della costa svedese ha ragion d’essere. A me consta che i Variaghi costituissero delle bande organizzate per imprese di saccheggio. L’impresa doveva fruttare tanta ricchezza da poter tornare in patria a riprendersi nella comunità un posto sociale migliore di quello che avevano lasciato. E, se non lo erano ancora, diventavano dei corsari, dei predoni che si presentavano in vesti di mercanti più o meno “pacifici” e infine, oserei dire, sono loro i precursori sia della “legale” Hansa germanica sia degli “illegali” Vitalienbrüder di qualche secolo dopo che batteranno le stesse rotte! Purtroppo i viaggi nel Medioevo erano pari alla morte! Si sapeva quando si partiva, ma si ignorava se si sarebbe mai tornati e, se è vera la nostra ipotesi degli emarginati, faceva comodo alla comunità se costoro scomparissero per sempre con un semplice viaggio. Ciò non contraddice il fatto che altri loro congeneri (non esclusi i danesi e i frisoni, tanto per non far torto a Saxo Grammaticus, v. bibl.) si fossero invece già integrati nelle realtà straniere della costa baltica meridionale, benché da un’analisi linguistica del termine Varjaghi nell’annalistica russa si evidenzia come esso si riferisse solitamente agli armati che battevano il mar Baltico orientale più remoto e non a quelli che s’insediavano sulle coste o vivevano da ospiti pacifici in città dell’hinterland baltico.Il termine Varjago appare presso il cronografo greco Kedrenos nel 1034 col significato di guardia del corpo dell’Imperatore ed è esteso genericamente ai gruppi armati di gente del nord. E’ evidente che le CTP errano nell’elencare i Varjaghi fra i popoli baltici, visto che un popolo non sono! E’ chiaro che gli elenchi delle CTP vanno visti come le solite classificazioni dei popoli secondo la Bibbia con la famosa dispersione per il mondo dopo la Torre di Babele. Un “apolide” come uno svedese fuggiasco o pellegrino è inconcepibile per l’amanuense se non fa parte di un popolo nominato nelle sacre scritture e per di più mi pare di poter distinguere nella nomenclatura fissatasi nelle lingue russe 2 tipi di migranti svedesi: i Varjaghi e i Kolbjaghi. Kolbjag è anch’esso un termine comparso tardi (XI sec. in Michele Attaliate, bizantino, e nel XVI sec. accettato nelle CTP) per un portapacchi, un trasportatore, un traghettatore insomma una specie di postino o guida che sa dove andare, se gli affidate qualcosa da consegnare ad un determinato destinatario, ma… straniero e svedese! Il termine ha un etimo nella parola kylfingr che in norreno (la lingua degli scandinavi in cui sono scritte le saghe islandesi e antenata del moderno svedese e delle due lingue norvegesi in uso) indica uno che usa la pertica o il bastone (kylfa in norr.) per viaggiare, per indicare il suo rango, ma anche da usare come pegola su una zattera e dunque più pittorescamente è uno sperticatore (più avanti capiremo il perché)! Un Kolbjag è molto importante per chi voglia viaggiare lungo i numerosi corsi d’acqua della Pianura Russa. Infatti chi naviga contro corrente, se non conosce la strada per giungere al destino prefissato, corre il rischio ad una confluenza di perdersi nella corrente sbagliata! Da Costantino VII Porfirogenito sappiamo che addirittura lungo i grandi fiumi russi sono da evitare rapide e secche! Una guida che conosca bene l’itinerario, man mano che ci si addentra nel folto mentre si è su un natante, è quindi importantissima. Non solo deve conoscere il luogo, ma saper anche parlare le lingue dei nativi che si incontrano per accordarsi con loro, per aggiornare le informazioni giacché le correnti possono aver cambiato alveo o altro. In altre parole deve essere uno che nella zona si presenta come persona affidabile. Lo immagino quindi ingaggiato dal capo-spedizione appena arrivato che si mette a capo (ben pagato!) della carovana di barche per guidarle lungo un percorso da lui scelto, con la sicurezza dell’esperto. Anzi! Dagli storici del tempo sappiamo (ma si fa così ancor oggi in tutto il mondo) che i locali, una volta fattisi abbordare, danno informazioni sbagliate agli stranieri troppo curiosi in viaggio nelle loro terre per sviarli e tenerli lontani dai propri villaggi nascosti nel fitto della foresta. Da questo lavoro abbastanza generico degli svedesi residenti sulle rive baltiche meridionali fra guidare e sperticare, i Finni hanno poi dato loro il nome Ruotsi alla Svezia derivando la parola da rodd (norr. roθ) che ancora oggi in svedese indica lo sperticare mentre nessuna denominazione “etnica” del tipo Varjag è rimasta!Vediamo allora come si organizzano nell’avventura e Varjag, una volta accettata in uso, indica un giovane scapolo preso a contratto a tempo determinato! A capo del suo gruppo c’è uno più anziano di tutti che comanda e organizza, che sa dove andare e che cosa fare, che ha raccolto notizie e informazioni su un certo luogo dove si trova un certo bottino. Particolari sull’intrapresa? Nessuno! I dettagli non vengono mai svelati dal capo! Ci si impadronirà della ricchezza che si troverà e, lui assicura, farà tornare tutti ricchi a casa. Quali sono i requisiti per la scelta dei partecipanti? Innanzitutto bisogna essere prestanti, saper maneggiare le armi e cioè spada e ascia di guerra e saper remare oltre che ingegnarsi a lavorare legno e ferro quando occorra, cucinare e cucire vele etc. perché qui si fa insieme tutto senza alcun aiuto esterno. E, se ci sarà da battersi, ci si batterà fino alla morte. Prima occorre però prestare giuramento e accettare la vara ossia i vincoli del contratto nelle mani del capo-spedizione. A questo scopo è indispensabile la consultazione con una vitka/visendakona che prima di lasciar partire l’equipaggio per una notte intera rimarrà nella selva a consultarsi con gli dèi. Se gli auspici sono favorevoli, ci sarà una cerimonia conviviale con la festa del bere o Sumbl in cui si preparerà il cibo e si mangerà e con una solenne bevuta, com’è costume qui nel nord, si concluderà fiduciosi. A questo punto il patto è sancito e chiuso e, non appena il mare sarà libero dai ghiacci, si salpa! A proposito! Nel gruppo non sono ammesse donne, salvo talvolta quella del capo!Aggiungo che non so con certezza se i Varjaghi ricorressero nel modo di combattere, come facevano i loro congeneri Vichinghi usando l’Amanita muscaria per eccitarsi e se andavano nudi nel cosiddetto berserkr coperti soltanto da una pelle d’orso. La parola composita ber cioè orso+ serkr cioè camicia li svela nel loro comportamento selvaggio o in altri termini i Vichinghi emulavano un modello già consacrato…Anche gli svedesi avevano in mente un modello analogo, forse in qualche aspetto diverso a causa del diverso ecosistema baltico, ma giungerà il momento di abbandonare il vecchio pseudo-etnonimo varjaghi e passare a un altro pseudo-etnonimo peculiare per il Medioevo Russo cioè rus.Nel IX sec. quando l’avventura varjaga è documentata meglio la situazione “politica” delle coste baltiche dipendeva dalle “voglie” dei Vendi (in questo etnonimo ho conglobato gli slavi presenti nel bacino dell’Elba e della Vistola) attestati a nord lungo la costa ad est da Lubecca fino alla Curlandia, nello spazio lasciato dalle migrazioni germaniche e ugro-finniche verso sud. I Vendi avevano un santuario nazionale ad Arkona nell’isola di Rügen e difendevano le loro terre dagli intrusi con le armi e le imboscate fino al XII-XIII sec.! Arenarsi perciò sulle loro spiagge era molto pericoloso perché si correva il rischio, mentre si facevano i tentativi di rimettere la propria barca in mare, di essere improvvisamente circondati. Solitamente nascosti fra gli alberi fitti presenti, i Vendi spogliavano di tutto letteralmente i malcapitati oltre a trattenerli prigionieri per venderli schiavi! Anzi! A parte l’affidabilità storica di Saxo Grammaticus non molto buona su questi argomenti, l’ecclesiastico danese del XII sec. d. C. ci riferisce che una spedizione approdata sulle coste baltiche meridionali fu impedita a proseguire perché i Vendi avevano sparso l’approdo con dei chiodi a quattro punte che impedivano il camminare, se non indossando delle spesse scarpe di legno! Dunque le coste vendiche non sono ospitali e senza sostare si dovrà proseguire oltre verso est. In quei secoli a causa delle precarie comunicazioni era impossibile organizzare un grande numero di persone per trasbordarle da una centrale di operazioni all’altra in un territorio in azioni coordinate di conquista, occupazione o altra simile e si ricorreva alla creazione di modelli di gruppo coeso e stereotipato per numero di membri e maniere d’agire che potessero operare indipendentemente l’uno dall’altro per ottenere un esito previsto comune. In tal modo chi riproduceva quel modello standardizzato aveva diritto ad attribuire al suo gruppo e a se stesso il nome-totem del modello e agire in definitiva per conto proprio. Tali modelli bastava tramandarli da generazione in generazione purché rispondessero comunque ai riti e alle regole che le locali sacerdotesse benedivano e approvavano. Noi moderni in Italia abbiamo un nome specifico per tale tipo di organizzazione, malavitosa o no: mafia! Di qui l’ipotesi di Mafia dei Rus che diventa un sistema statale per san Vladimiro quando coi suoi accoliti si impadronisce di Kiev e ne fa la centrale del potere.Le CTP raccontano che alle prime apparizioni i Varjaghi si imponessero come predoni duri e sfruttatori avidi spesso assoggettando i locali con un pesante tributo permanente. Col passar del tempo la gente si ribellò, ricacciandoli in mare più volte. Ed ecco venir fuori l’esasperata leggenda (riferita o inventata da Tatišev, storico russo del ‘700) che denuncia: A causa di litigi continui fra i locali intorno alla prima metà del IX sec. con gli Slavi in testa ci si recò a Gotland e si invitò Rjurik a governare le Terre Russe. Nella leggenda l’unico punto notevole, seppure estremamente ovvio, è che i rus erano svedesi e che si mossero da Gotland. Le navi che i Varjaghi armano, l’ho già detto, non sono grandi ed ogni equipaggio non supera le 20-30 persone (anche questo è nelle CTP) ed ha una vela e dei remi. Hanno prora doppia come il knørr vichingo in modo da non doverle manovrare quando si inverte il senso di navigazione dopo un approdo, non avendo peraltro un timone fisso. Addirittura, dopo la traversata via mare e prima di addentrarsi nelle correnti fluviali, le si lasciavano a secco in un posto sicuro per il ritorno, proprio perché imbarcazioni adeguate al traffico fluviale bisognava procurarsele o nel caso farsene fabbricare presso i locali.Se una banda sul mare si può affidare ad una guida esperta che sia già a bordo, magari si passa fra le isole (oggi) estoni (Saare- e Hiu-maa, soprattutto) che chiudono a nord col cosiddetto Stretto di Irbes l’enorme “lago-mare” cioè il Golfo di Riga e purché si sia superato l’altro stretto dove ci sono i Vendi (l’odierna Ventspils, in lettone Città dei Vendi!). In caso contrario si terranno le isole a tribordo e si giungerà alla foce del Narva (fiume non lontano da Tallinn) che non è molto bene in vista dal mare, ma è l’unico accesso verso il lago Peipus (per i russi “dei Ciudi” e “di Pskov”) e alla stazione-città di Pskov (anticamente Pleskov). Né risulta che questa sia una rotta molto battuta perché di solito si preferisce procedere oltre per entrare nella foce del Nevà! Il Golfo di Finlandia è parte dell’estuario molto largo di questo fiume, la cui corrente non è molto forte poiché il dislivello col lago Nevo, di cui la Nevà è l’emissario nel Mar Baltico, è di ca. 5 m su un gradiente lungo una settantina di km! Oggi il lago si chiama Ladoga e il Nevà ha spostato il suo letto più a sud, mentre per quasi l’intera durata del Medioevo Russo bagnava un’area diversa dall’odierna e ciò rende il riscontro storico-geografico più complicato. Sia come sia, all’epoca mantenendosi più o meno al centro della corrente che non ha meandri e pochi affluenti facilmente distinguibili fra i fitti canneti, si evitavano gli agguati in primo luogo, benché la densità abitativa di questa area detta Ingria (in norreno Ingermanland e Ižora in russo, oggi provincia di San Pietroburgo) fosse bassissima in n luogo che allora costituiva una grande palude. Entrati nel lago, c’è una specie di penisola abbastanza elevata davanti alla foce del fiume Volhov. Perché ci si ferma qui? Poiché dopo aver doppiato questa penisola si sono scorti i fili di fumo che salgono dalle case del villaggio su palafitte dei Finni locali sulla riva destra del fiume. I Varjaghi sulla riva sinistra, non fidandosi di approdare, fanno sosta a Ladoga, una postazione eletta a base logistica. Oggi qui c’è una fortezza costruita in mattoni nel XVI sec. che porta il nome di Ladoga la Vecchia (Stàraja Làdoga) e dovrebbe trovarsi prossima alle rovine della vecchia base varjaga. Le tracce di Aldeigija (norreno per Làdoga) sono più tarde comunque di quelle del villaggio finnico di fronte sull’altra riva a conferma che i Finni erano presenti lì prima dell’arrivo degli Svedesi, ma non erano bellicosi. Anzi! L’archeologia ci dice che i due gruppi etnici vivessero rigidamente separati per un bel pezzo e che Ladoga, visto che non si sono trovate prove di un consumo di alimentari né di conflittualità permanente, era abitata stagionalmente e non tutto l’anno. A questo punto occorre decidere il da farsi perché il tempo stringe e, se si deve proseguire per il sud, sarà meglio affrettarsi, prima che il duro inverno ostacoli il cammino. Si tenga presente che le visite delle bande varjaghe rispettavano delle date precise per non incappare nel ghiaccio invernale o nella fanghiglia primaverile delle piste forestali e sugli spartiacque. Se si partiva entro un certo giorno dalla costa svedese e si prevedeva di tornare entro talaltro giorno per non rimanere bloccati dai capricci della stagione e si può pensare che più o meno il periodo rispettato era lo stesso del calendario marittimo dell’Hansa, ammesso che non ci siano stati mutamenti notevolissimi del clima fra il IX e il XV sec. d.C. quando si chiudevano i traffici fra G. Novgorod e Lubecca a San Martino (11 novembre). Attenzione però! Quanto io scrivo può dare adito a credere che il mar Baltico, non appena la navigazione era possibile e agevole, fosse solcato da knørrar armati di tutto punto a far la spola fra le coste svedesi e le coste meridionali baltiche. Non è così! Le situazioni e le circostanze descritte fin qui non prevedono bande varjaghe composte da molte persone che vanno e vengono dai luoghi qui nominati in continuazione. Basti soltanto pensare quanto fosse difficile già ingaggiare 40-50 giovani e far lasciare i villaggi per partire con entusiasmo e forse non tornare chissà mai più. La densità demografica nel 800-1100 d.C. era bassa e l’agricoltura precaria e sottrarre una decina di braccia dal lavoro dei campi voleva dire destinare un villaggio alla fame, se non c’era una compensazione sufficiente per la sussistenza di genitori, fratelli e sorelle minori. Se poi si pensa che una navigazione di qualche giorno implicava per un equipaggio cibo e acqua come carico passivo oltre a armi e etc., è logico vedere sulle onde del mare barche non grandi che trasportano merci e mercanti, invece di guerrieri impavidi. Ciò premesso, continuo l’escursione geografica dicendo che G. Novgorod si trova a nord della sponda del lago Ilmen all’uscita dell’unico emissario, il fiume Volhov appunto, che sbocca nel Lago Nevo dopo ca. 200 km. E qual è il legame fra G. Novgorod, la più antica repubblica medievale europea, e i Varjaghi? Secondo i reperti archeologici i Varjaghi apparvero da queste parti più o meno intorno all’VIII sec. d.C. ossia alla stessa epoca della base logistica di Ladoga. S’insediarono nella Cittadella di Rjurik (Rjurìkovo Gorodìšče, toponimo tardivo e di significato spurio) sulla sponda alquanto elevata del lago a soli 3 km dall’odierna città e sulla foce del Msta, affluente di destra del Volhov che collega ai traffici dei Bulgari del Volga. Ma a chi serve la Cittadella di Rjurik sulla riva destra del fiume e su un’elevazione del terreno (le saghe la ricordano come Holmgård)? È una vedetta sulla foce del Msta per controllare l’arrivo dei mercanti dal sud? Può darsi, ma non solo! Da questa posizione si controlla il disgelo a primavera (maggio-giugno) della massa di ghiaccio invernale che copriva l’Ilmen e si può così prevedere se la minaccia di improvvise inondazioni a valle avrebbero luogo e in qual misura! I Finni informano che non molto vicino nel nordest c’è un altro lago, Lago Bianco (Belo Ozero), ottimo posto di mercato dove trovare roba ad alto valore aggiunto, quali le pellicce richiestissime di zibellino o di candido ermellino che i locali cacciano d’inverno in gran numero. Qui arrivano i Bulgari e dopo aver fatto affari proseguono per il lago Onego più a nord e sul fiume Svir entrano nel lago Nevo. Fanno capo a Ladoga sul Volhov dove si formano i convogli diretti per mare a Birka e chiudono il cerchio “baltico del commercio”.I varjaghi intanto sognano il sud e occorre risalire il fiume Volhov dalla foce fino all’Ilmen. Dal lago in seguito, affrontando le paludi sulle sponde ovest dove oggi c’è Russa, si è a due passi dalle sorgenti del Volga, del Dnepr e del Don oltre che della Dvinà-Daugava e quindi a monte del Golfo di Riga! Purtroppo la corrente in questo periodo storico (IX sec.) era in magra da anni e il Volhov presentava delle rapide pericolose fra cui l’ultima poco prima della foce. Procuratisi perciò una barca senza chiglia (strugi o paromy o natanti simili) agevole ada trascinare sul terreno delle rive con l’aiuto eventuale del tiro dei cavallini locali e dei rulli di legno, tutto si fa accordandosi coi Finni locali (le CTP li chiamano Ciudi e Vesi). Non è plausibile che i Varjaghi ricorrano all’assalto o alla distruzione dei loro villaggi, come spinge a credere la Leggenda di Rjurik, giacché se agissero così, ricaverebbero bottino la prima volta, ma poi la fama si diffonderebbe e i locali sparirebbero creando circostanze talmente catastrofiche da abbandonare l’avventura della Pianura Russa per sempre. Andare verso sud… ma per far che cosa?Certamente il traffico commerciale della Pianura Russa non era cosa nuova nel mar Baltico giacché già Tacito ne parla a proposito dell’ambra e dell’avorio, quest’ultimo sia fossile dai mammut sotto il ghiaccio sia dai trichechi dell’Artico. Inoltre le informazioni che qui si raccoglievano, dicevano che mete come Costantinopoli o Baghdad erano lontane e recarvisi costava moltissimo persino per un mercante che avesse merce di qualità da scambiare e credenziali di locali altolocati, per tacere dell’itinerario lungo e irto di punti daziari in mano a genti nomadi genericamente diffidenti con gli estranei.Saxo Grammaticus (XII-XIII sec.) nella sua raccolta di saghe scandinave descrive imprese favolose raccontate dai varjaghi tornati in patria, ma non sono imprese da considerare comuni e ad ogni buon conto le ricchezze sono molto più a sud delle rive del mar Baltico! A questo punto è importante avere un’idea, seppur generica, di come i commerci funzionavano nella Pianura Russa lungo le sue vie d’acqua in quanto i Varjaghi quando si ingaggiavano in servigi di scorta erano pagati “in natura” e pertanto si davano da fare per cambiare la ricompensa ricevuta in natura in oggetti preziosi e non ingombranti da portare con sé al ritorno in patria, trasformandosi a loro volta in mercanti. Le monete ovvero i dirhem circolavano, ma erano ritenuti ornamenti e per di più femminili!Che intendo per postazione, mercato, posto di scambio nell’ambito culturale del Nordest europeo?Una postazione (veža) è un luogo a quota elevata da cui si riesce con lo sguardo a dominare una porzione del territorio circostante. Tipica postazione era Kiev prima di diventare la capitale di uno stato. Situata sullo sperone situato nella confluenza del Pripjat col Dnepr e qualche altro affluente minore, fondata dai Cazari e mantenuta dai Bulgari, Kiev ospitava, ca. 800 d.C., bande varjaghe in servizio di vedetta, in attesa di transitare per Costantinopoli per un ingaggio nel corpo della Guardia Imperiale o altra “fatica” equivalente.Un mercato (torg) è uno spazio ben delimitato con sue regole e obbligazioni. Non è accessibile a chiunque, ma solo alle persone qualificate che non espongono le loro merci, ma fanno affari sulla parola. La consegna avviene di solito altrove.Un posto di scambio deve rispondere a 3 requisiti almeno: 1. offrire accoglienza con servizi di sussistenza a medio termine e 2. le merci da scambiare sono a vista e 3. lo scambio è legittimo solo fra i proprietari delle merci e, una volta fatto, non è rinegoziabile. Solitamente il posto di scambio era molto particolare e come raggiungerlo era un segreto che i mercanti più scaltri non svelavano volentieri ai concorrenti…. Assodato ciò, le CTP e altri autori informano che i Finni raccoglievano gli animali da pelliccia con trappole apposite affinché il pregiatissimo pelo non si rovinasse e con esse facevano scambio contro derrate alimentari presumibilmente dalle coltivazioni più meridionali degli Slavi con il famoso metodo del “commercio muto”. Altri articoli erano il miele e la cera raccolti invece nelle foreste più fitte. Per quanto riguarda gli schiavi, altro articolo commerciale importante per i quali la Pianura Russa diventò notissima nei paesi musulmani, sappiamo in particolare poco sebbene è lecito immaginare che le famiglie che vivevano di limitate risorse non esitavano a cedere i propri figli (bocche in più!) ai mediatori in previsione di una vita migliore all’estero come schiavi. Ebbene queste “merci” (insieme con altre che qui tralascio di menzionare) venivano ben “impacchettate e stipate” sulle imbarcazioni e il valore loro era altissimo, se si richiedeva una scorta armata lungo il tragitto. Un luogo di riposo erano i posti di passaggio da una corrente all’altra (vòloki) dove, se c’era tempo, ci si rifocillava prima di ripartire. Detto questo, quando la frequentazione varjaga in queste zone si fece preoccupante per le società slave più organizzate come forse quella di Kiev, deve esser successo che, non appena saputo della “nuova via” aperta lungo la direttiva nord-sud, l’élite kieviana al potere mandasse immediatamente gruppi di slavi (Slaveni/Sloveni) a colonizzare massicciamente la zona di G. Novgorod per metterla sotto controllo (sec. X sec.)! Questi ultimi colonizzatori si arrestarono dapprima sulla riva meridionale del lago Ilmen dove (è una mia speculazione) lo prova la presenza della cittadina che porta il nome di Russa (oggi Stàraja Russa), ma poi si affacciarono sulle sponde settentrionali del lago… senza però proseguire fino a Ladoga. La presenza slava a Russa è spiegabile col motivo già individuato due secoli fa dallo storico S. Solovjòv e cioè che gli Slavi da contadini quali erano non si spinsero oltre perché il clima non favoriva le loro coltivazioni tradizionali. Forse per ragioni di sicurezza o a causa del regime variabile del lago che a volte invadeva i terreni sulle sponde si passò di qui sulle sponde settentrionali e, insieme con gli alleati baltici in via di slavizzazione, ossia Krivici e Dregovici, elevarono sulla riva opposta alla Riva del Mercato un santuario al dio balto-slavo Peryn (Perun, dio della tempesta conosciuto anche a Kiev) eleggendo il luogo a loro sede permanente di fronte a quella dei Variaghi di Rjurikovo Gorodišče. Finalmente ca. X sec. d.C. si disegna la nuova città cioè Novgorod (è il significato del russo toponimo) come l’insieme di tre centri vicini fra loro: Uno slavo su una gobba del terreno, un altro finnico adiacente a un piccolo affluente del Volhov e un terzo sulla riva opposta alla Riva del Mercato che in seguito diventò nota come Riva di Santa Sofia abitata perciò in prevalenza dai balto-slavi, pur sempre d’accordo con l’altra riva a mantenere separati dal resto della città i visitatori variaghi stagionali. Più o meno questa è la ripartizione etnica che si legge nella toponomastica dei cantoni cittadini (konec sing. e koncý plur.). A partire da quanto scritto finora non si vedono che due possibilità per le bande variaghe che bazzicano da queste parti: Impiegarsi come scorta con ingaggio stagionale per i convogli che partono per il sud o autonomamente rifornirsi di merci e dirigersi da mercanti sulla stessa rotta. Per quest’ultima ipotesi ancora una volta ciò significa o scambiare quello che si ha oppure depredare con la forza quello che non si ha! La seconda soluzione potrebbe essere applicata più facilmente visto che i Variaghi sono superiori militarmente, ma è anche senza sbocco perché con le merci in mano poi bisognerà contattare per forza gli intermediari che gestiscono i traffici e questi non si possono sottoporre a costrizioni, se si vogliono realizzare dei guadagni sicuri. Rivediamo ora gli itinerari e la logicità della loro continuata esistenza. Il primo che restò in funzione per moltissimo tempo (fino al XVI sec.) è quello lungo la Dvinà di Polozk e poi via Smolensk fino a Kiev. Polozk dei Krivici e dei Polociani, era una città attestata molto all’interno rispetto alla foce del fiume che sbocca dove oggi si trova Riga e ciò si spiega con motivi sia ecologici sia di spazi disponibili per la coltivazione. Infatti le genti slave in migrazione avevano dovuto fermarsi poiché la zona era occupata da popoli a loro affini: i Baltoslavi (da cui scaturiranno Lituania e Lettonia). Nell’archeologia locale non troviamo tracce clamorose di conflittualità e possiamo pensare che queste genti riuscissero a convivere e a mescolarsi senza troppo litigare. La presenza variago-svedese lungo la Dvinà è più antica di Novgorod, ma non sembra imposta con la forza benché Polozk (Polotesk) dai reperti archeologici risulti spostata nel X sec. rispetto ad un centro originario anteriore andato a fuoco. Da Polozk si risale a monte del fiume Dvinà fino all’altezza del lago di Lepel’. Dopo aver percorso un breve volok (spartiacque dove appunto le imbarcazioni venivano tirate a secco e trascinate da una corrente all’altra sui rulli di legno, come abbiamo accennato prima), si entra a Borisov dove c’era una famosa pietra morenica – valun – che indicava la strada al traversante. Ormai si è sulla Berezinà, l’affluente del Dnepr, che scorre non molto lontano da Kiev e la pietra è stata spostata dal suo luogo naturale. Dalla croce e da una benedizione scalpellate sul masso si deduce anche la datazione di fondazione probabile di Polozk. L’altro itinerario a monte della Narva (o Néreva) segue il breve tratto di questo emissario fino al lago Peipus. Si entra nel lago attraversando un primo bacino, poi un secondo più piccolo e inframmezzato da isole ed infine si prosegue per il terzo chiamato più propriamente lago di Pskov. Di qui si entra sulla corrente del fiume Grande (Velikaja) e si risale fino ad un volok che separa quel fiume dalla Dvinà.Ancora un itinerario parte dalla zona di G. Novgorod, attraversa il lago Ilmen’ dirigendosi verso sudovest e entra in uno degli immissari del lago, la Lovat’ e risale fino a Holm. Qui c’è il volok che separa questa stazione da Toropec sulla Dvinà per proseguire fino a Vitebsk. Di lì sul volok si passa ad Orša e si è già sul Dnepr. Questa rotta è quella che le Cronache Russe chiamano la Via dai Variaghi ai Greci che però è nominata pochissime volte rispetto a quella che seguiva il Volga e il Don. Questo itinerario infatti è lungo il Dnepr e rimase in auge finché Costantinopoli costituì il maggior mercato compratore delle merci kievane, ma poi decadde. Dapprima a causa della conquista della capitale dell’Impero Romano d’Oriente da parte dei Crociati nel 1204 e poi per le conquiste dei Tatari (Mongoli) nella steppa ucraina verso la metà del sec. XIII. Ed infine c’è un’altra rotta per il sud detta la “Via dei Figli di Sem” (perché diretta verso l’Impero Cazaro ebraico) che è la più importante storicamente dato che qui si svolsero le vicende più sofferte di tutta la storia russa. Si parte sempre dal Lago Ilmen’ e, percorrendo la Lovat’ e deviando prima di Vitebsk lungo il fiume Kasplija, ci si porta a Smolensk, si risale il Dnepr, che qui è ancora un fiume giovane perché vicinissimo alle sorgenti, e si giunge a Dorogobuž e dopo aver superato il volok con l’Ugrà si è già quasi sull’Okà che confluisce nel Volga alcuni chilometri più avanti davanti a Bulgar-sul-Volga.Tutta questa rete (abbiamo tralasciato naturalmente altri itinerari percorsi in caso di guerre locali o di altri problemi) oggi per chi voglia visitare i siti archeologici relativi ai toponimi da me nominati è percorribile in treno. A parte ciò, nel passato la rete doveva essere tenuta libera da impedimenti ed è proprio questo il motivo per cui il mitico knjaz (russo per principe, capo et sim.) variago Oleg scendendo verso Kiev fonda (e fa fondare) lungo queste rotte altri nodi “di servizio” dove i convogli sostano per riposare, per mangiare, per riparare arnesi e barche o per agganciarsi ad altri gruppi prima di proseguire. Questi nodi vanno difesi… Da chi e contro chi?Come ho già scritto, i Variaghi avevano imposto (con la forza) un tributo alle genti locali del Volhov e questo regime era diventato talmente esoso che tutti si erano ribellati e avevano ricacciato i Variaghi nel Baltico come conferma indirettamente l’archeologia. Se non erano eventi episodici, si rinunciava a fare i pirati “alla vichinga” e ci si adeguava all’ambiente collaborando coi capi locali! E chi erano questi capi locali? Dalle notizie che abbiamo, nel sud l’élite al potere a Kiev non è slava. Altri insediamenti nel nord non sono dominati da dinastie slave: Polozk, Turov, Pskov, Russa etc. e lo saranno ancora intorno al X-XI sec. sotto l’egida di Kiev finché la chiesa cristiana non le slavizzerà.Insomma non c’è scelta per i Variaghi! Occorre trovare un modus vivendi reciprocamente vantaggioso, giusto con gli Slavi e con i loro alleati seppure alloglotti. Nel Nord gli Slavi in ogni caso formavano la classe dominante insieme coi capetti finnici e con un’organizzazione societaria abbastanza avanzata, seppur contadina. Si sono anche accorti che non è facile liberarsi da una banda variaga giacché a quella ne segue subito un’altra. Tornando perciò alla favola non credibile dell’invito alla Banda di Rjurik affinché prendesse le redini del comando come “terzo membro (militare)” nell’impresa commerciale slavo-finnica, vediamo che quella banda Tatišev la presentò allora non come sfruttatrice, ma come la difesa ultima dagli attacchi di altre bande che eventualmente capitassero da queste parti! Fu l’unica legittimazione possibile del ruolo di Rjurik e dei suoi due fratelli e la loro ricompensa sembrava adeguata: egemonia militare per lo sfruttamento del territorio garantita dalla lega capetti slavi, finnici e baltici. La Banda di Rjurik dunque diventava una vera e propria organizzazione poliziesca privata del Medioevo Russo: Né più né meno come si presenta la mafia siciliana a chiedere il pizzo! A Polozk, secondo lo storico del XIX sec. Belaev, c’era già la banda di un certo variago Kvillan imposto da G. Novgorod che poi passerà il potere ad un altro variago a nome Ragnvald (in russo Rogvolod) nominato dalle CTP. C’era anche Turov dove dominava il variago Tur (ossia Thor) e, come avverte la Vita di Santa Olga, persino a Pleskov (oggi Pskov) c’erano i Variaghi, stavolta integrati ai balto-slavi locali. Il biologo australiano J. Diamond ha chiamato un sistema di dominio basato sull’alienazione forzata dei beni altrui da parte di un’élite armata cleptocrazia e ciò corrisponde, secondo me, a quella che conosciamo oggi in Europa come beni della mafia. Ora devo però chiedermi: Come mai questa mafia varjaga perde la sua identità etnico-culturale svedese? E quale realtà nasce sotto il nome di Rus’? Dare una risposta alla prima domanda è forse più semplice, vista la lunga (di secoli, ormai) polemica sull’origine del termine Rus’ dove non voglio entrare qui. Secondo me e come ho scritto righe fa, le bande della mafia varjaga sono costituite da ragazzi scapoli e incolti, quasi disperati reietti della loro società d’origine. Un po’ alla volta cominciano a familiarizzare con le leghe interetniche locali, dominate nel numero dagli slavi, e si trovano accolti in un consesso che ha un senso orgoglioso della propria identità rinnovantesi ad ogni occasione, benché in via di assimilazione attraverso matrimoni in famiglie miste con i confinanti allogeni. Dal punto di vista culturale, malgrado le regole solite del matrimonio esogamico praticato dagli Slavi che prevedevano la “morte” culturale della donna e non dell’uomo, i varjaghi non avendo altro da offrire che la loro abilità a predare o la loro prestanza fisica non possono alla fin fine che slavizzarsi! E che nome darsi poi una volta penetrati nella nuova élite al potere? Uno tutto nuovo che magari li identifica meglio di altri o forse inventato lì per lì o ancora affibbiato loro da altri! Non si può dire con sicurezza a quale parola originaria risalga la parola Rus’ e non voglo entrare in polemiche oziose su normannismo e antinormannismo, ma accenno solo all’ipotesi che si collega alla tesi “mafiosa”. È probabile che Rus’ fosse un nomignolo dato agli scandinavi al loro primo apparire dai Cazari (in ebraico una parola simile significa capetto e un Roš è nominato nella Bibbia a capo dei popoli di Gog e Magog)!La discussione è basata su ricerche fatte da vari autori che solo a volte ho nominato nel testo perché altrimenti sarebbe stato un campo di battaglia di note e noticine, rimandi e inserzioni che avrebbero distratto il lettore dal fil rouge da me seguito. Nella bibliografia perciò, chi volesse approfondire, troverà i lavori che ho consultato dove ci sono le analisi filologiche, storiche e archeologiche che mi hanno aiutato più di altre.

@Aldo C.Marturano

© 2021 di Aldo C. Marturano

N.B. La bibliografia è disponibile su richiesta

GIACOMO ANTONINI,QUEL TEMERARIO DEL RISORGIMENTO @riccardobruno

Il ricordo di un patriota risoluto nelle parole di Riccardo Bruno,Vicesegretario Nazionale del Partito Repubblicano Italiano

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Varallo, l area del Ponte dedicato a Giacomo Antonini ( al centro verso sinistra la statua).
Grazie a Stefano Torri per la fotografia
Grazie a Jane Schuler Antonini Fuselli per la fotografia
Fotografia di STEFANO TORRI

Di Giacomo Antonini sono conosciute tre immagini. La più imponente è la statua a Varallo Sesia dove lo si vede nell’atto di estrarre la spada dal fodero. Vi è poi un ritratto in divisa da comandante della legione italiana costituita da lui stesso nel 1848, che ha le caratteristiche ufficiali con cui i militari venivano riprodotti all’epoca. Non si distingue dallo stile con cui ci viene tramandato un Manara, piuttosto che un Bixio. Infine un olio su tela del viso di Antonini e del suo sguardo intenso, quasi allucinato, quello di chi scorge l’abisso. Il Farini che era uomo moderato e che lo conobbe intorno a quegli anni di Antonini disse “è un folle che ne farà delle belle”. Che Antonini fosse folle o meno se ne può discutere, di belle le aveva già fatte tutte. Nasce nel 1792 nel cuore della rivoluzione francese a Prato Slesia e nel 1812 è già arruolato con Bonaparte nella Grande armata. Sopravviverà alla campania in Russia e combatterà in Germania. Sconfitto Bonaparte, non si sa se Antonini fosse anche a Waterloo, lo sappiamo invece in Polonia per l’indipendenza di quel paese che Bonaparte aveva solleticato e mai concesso. Catturato viene condannato a morte dallo Zar. Evade, viene rilasciato non lo sappiamo è il 1930. Comunque ripara in Francia e frequenta Mazzini. Se Buonarroti rappresenta il punto di contatto di Mazzini con la Rivolzuone, Antonini quello con Napoleone. Partecipa alla spedizione in Savoia. Ed eccoci arrivare alla sua ultima impresa la legione italiana per l’indipendenza di Venezia, 1848. In tutti questi frangenti ha perso un braccio, una cannonata? La cancrena. Non ci sono state tramandate memorie di Antonini e gli storici che se ne sono occupati hanno faticato parecchio a ricostruirne la figura. Ma è certo il tratto che non è quello dell’avventuriero ma dell’uomo politico che concepisce la lotta come unico tramite per raggiungere lo scopo. Ci si dimentica quanto di rivoluzionario portasse con se il bonapartismo, sotto i panni della tirannia. Antonini se ne accorse nei lunghi anni della restaurazione dove lui riprese subito le armi. Di tutti i militari italiani solo a Garibaldi il mondo andava più stretto. Ma Garibaldi è atipico rispetto la vincenda europea che riflette perfettamente Antonini nella sua passione bonapartista che diviene passione per il Risorgimento. Da Venezia non fa in tempo ad andare a Roma che è caduta. Sono gli ultimi anni di Antonini dove per quanto eletto nel parlamento del regno, si sa più poco o niente. E’ plausibile in lui la delusione di un percorso rivoluzionario, la conclusione della sua follia, il ritorno ad una vita normale che più nulla gli dicesse. E’ difficile trovare uomini come Antonini ed è tragico che si possano trascurare o peggio dimenticare

@RiccaroBruno

QUANDO I BANCHIERI SQUALI (fiorentini) INCAPPARONO NEI BANCHIERI ORCA (veneziani) @fabiogaraventa

Avvocato Fabio Garaventa, responsabile per la giustizia del Partito Repubblicano Italiano e membro della Direzione Nazionale
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“Venezia costituì il più grande successo commerciale del Medio Evo – una città senza industrie, con la sola eccezione delle costruzioni navali militari, giunse a dominare il mondo mediterraneo e controllare un impero semplicemente attraverso le imprese commerciali. Nel XIV secolo giunse al periodo di successo e potenza massimi”, scrive Braudel.Frederick Lane aggiunge: “I patrizi veneziani si curavano meno dei profitti provenienti dalle industrie rispetto a quelli derivanti dal commercio tra regioni in cui vigevano valutazioni diverse dell’oro e dell’argento”.Tra il 1250 ed il 1350 i finanzieri veneziani misero in piedi una struttura di speculazione mondiale sulle monete e sui metalli preziosi che richiama per certi aspetti l’immensa speculazione odierna degli “strumenti derivati”. Le dimensioni di questo fenomeno erano tali da contenere e condizionare la più modesta speculazione sul debito, sulle merci e sul commercio delle casate bancarie fiorentine. I veneziani stabilirono il loro controllo monopolistico sull’emissione e sulla circolazione della moneta dei monarchi dell’epoca.Le banche veneziane potevano apparire ingannevolmente trascurabili rispetto a quelle fiorentine, ma in realtà disponevano di maggiori risorse. Il vantaggio stava nel fatto che l’impero veneziano agiva come un organismo unico, perseguendo i propri interessi con mezzi non solo bancari, ma anche commerciali, diplomatici e spionistici. In questo periodo, il commercio veneziano su lunga distanza avveniva attraverso le “mude di stato”, convogli navali ben scortati, dove tutto era deciso dagli organi dello stato, e dove ai mercanti veniva concessa facoltà di appalto. Lo stato centralizzava inoltre le attività di diverse zecche ed i traffici in metalli preziosi.Federick Lane presenta una documentazione secondo la quale non più tardi del 1310 questo dei preziosi e della moneta era l’interesse principale dei traffici veneziani. Dietro agli speculatori c’erano naturalmente le grandi garanzie di consorzi finanziari e protezioni politiche, come avviene oggi con individui alla George Soros, le cui fortune immense sembrano spuntare improvvisamente dal nulla.Ogni anno partiva da Venezia la “muda dei lingotti” composta da venti-trenta galere, armate e scortate senza badare a spese, che navigava alla volta del Mediterraneo Orientale oppure dell’Egitto. Cariche principalmente di argento, le navi facevano ritorno a Venezia cariche di oro sotto ogni forma, monete di tutti i tipi, lingotti, barre, lamine ecc. I profitti di questo commercio erano di gran lunga superiori a quelli degli usurai in Europa, sebbene i Veneziani non si trattenessero dal fare profitti anche su quel fronte.Dai documenti pervenutici risulta che i finanzieri veneziani prescrivevano ai propri agenti a bordo delle mude di trarre da questi scambi di argento e oro un profitto minimo dell’ 8% per ogni sei mesi di viaggio, il che significa un profitto annuo minimo del 16% e probabilmente medio del 20%.Un importante documento che dà un’idea dello spirito “imprenditoriale” veneziano risale al 1423, quando il Doge Tommaso Mocenigo tenne un famoso discorso alla Serenissima Signoria per illustrare l’arricchimento favoloso di Venezia.Disse che l’esportazione aveva raggiunto i 10 milioni di ducati l’anno, attraverso la flotta commerciale. I profitti delle esportazioni ammontavano a 2 milioni di ducati, altrettanto quelli delle importazioni, per cui si può calcolare un profitto annuo del 40%, considerati i due viaggi annui delle grandi mude. La zecca veneziana coniava ogni anno 1.200.000 ducati d’oro e 800.000 ducati d’argento, di cui 20 mila andavano annualmente in Egitto ed in Siria, 100 mila sul territorio italiano, altri 50 mila oltremare e ancora altri 100 mila in Inghilterra ed altrettanto in Francia. Il vecchio doge concluse affermando che presto i veneziani sarebbero stati “signori de l’oro de christiani”, mentre c’è anche la lezione che recita “signori de l’oro e de christiani”.Frutto della libera impresa? Certamente no. Questo “successo” criminale è il risultato dell’“usura come religione di stato”. Dalla metà del Duecento l’oro orientale veniva saccheggiato dai Mongoli in Cina, che fino ad allora aveva posseduto l’economia più ricca del mondo, ed in India, oppure veniva estratto nelle miniere del Sudan e del Mali in Africa e venduto ai mercanti veneziani in cambio di argento europeo enormemente sopravvalutato. L’argento proveniva dalla Germania, dalla Boemia e dall’Ungheria, ma veniva sostanzialmente venduto tutto ai veneziani che pagavano in oro.Coniazioni che non erano veneziane cominciarono a sparire, prima dall’impero bizantino, nel XII secolo, poi nei dominii mongoli ed infine in Europa nel XIV secolo.I Mongoli sostituirono la circolazione aurea nei territori conquistati in Cina ed in India con monete d’argento e cartamoneta. Gli scambi con i veneziani avvenivano a Tabriz e Trebisonda, città commerciali persiane cadute sotto i mongoli, e nella città portuale di Tana nel Mar nero. Qui l’oro veniva scambiato con l’argento proveniente dall’Europa. Complementare al traffico monetario era la tratta degli schiavi. L’argento era sottoforma di sommi veneziani, dei piccoli lingotti che “erano il mezzo comune di scambio in tutti i kanati mongoli e tartari… La richiesta di argento dall’estremo oriente era in continuo aumento”, scrive Lane. “I veneziani erano in grado di spingere al rialzo il prezzo dell’argento sebbene ve ne fossero quantità enormi” che arrivavano a Venezia dall’Europa.Il sistema di alleanze messo a punto dai veneziani comprendeva non solo i crociati, le città guelfe nere e gli angioini, ma spesso anche il papato, tanto che i Mongoli signori della Persia giunsero ad avanzare ai re ed ai papi europei proposte di crociate congiunte. Grazie al diritto esclusivo di commerciare con i Mamelucchi d’Egitto concessole da Papa Giovanni XXII, Venezia stabilì il suo monopolio sullo scambio di argento sopravvalutato e di schiavi forniti dai mongoli in cambio dell’oro del Sudan e del Malì.“Derivati”Alla fine del XIII e XIV secolo, Venezia gestiva tutta la coniazione e gestiva i cambi monetari del più grande impero della storia, quello mongolo, allo scopo di saccheggiare e distruggere le popolazioni sottomesse. Venezia aveva esteso il proprio controllo sul resto del commercio e della coniazione di ciò che restava dell’impero bizantino e dei sultanati mamelucchi nell’Africa Settentrionale. In questo stesso periodo Venezia trasformò la circolazione monetaria in tutto l’oriente, da monete in oro a monete d’argento, e di contro trasformò la circolazione monetaria in Europa e Bisanzio, dove la base monetaria d’argento fu sostituita dalla base aurea.Mercanti e finanzieri veneziani potevano contare su profitti fino al 40% annui su investimenti a breve (semestrali), e questo su una base economica mondiale dove il profitto reale, ovvero il “surplus” produttivo, nei casi migliori si aggirava tra il 3 ed il 4%. Le operazioni bancarie dei Guelfi Neri, dei banchieri fiorentini, rappresentavano un aspetto, un’articolazione delle manipolazioni finanziarie veneziane, e davano tassi di profitto che pur non raggiungendo i record veneziani, erano abbastanza alti da erodere notevolmente la base produttiva reale, accentuando la depressione.In questo processo di rapida speculazione, Venezia “estese il proprio controllo sulle economie circostanti, compresa quella tedesca”, dove si concentrava la produzione di argento, del ferro e dei suoi manufatti. Negli anni successivi al 1320 i mercanti veneziani non si recavano più in Germania, ma i tedeschi furono costretti ad aprire le loro succursali a Venezia, nel “Fondego de’ Tedeschi”. A Rialto si effettuavano transazioni bancarie senza valuta, si concedevano crediti in conto corrente, si stipulavano contratti di credito, si creava quindi “denaro bancario” su cui speculare. Non si trattò di una raffinata innovazione nel mondo bancario, ma più semplicemente del controllo sulla speculazione mondiale: essi avevano il controllo sulle riserve.In effetti, le famose “lettere cambiali” dei banchieri fiorentini erano soltanto una forma molto grezza dei “contratti derivati” che si sono diffusi come un cancro nell’economia mondiale sullo scorcio del XX secolo. I banchieri fiorentini imponevano di fatto una tangente a chiunque esercitasse il commercio in quanto, date le numerose monete esistenti che stati e città mettevano in circolazione nella propria giurisdizione, i commercianti erano continuamente costretti ad effettuare cambi presso quelle banche. Questa taglia sul commercio, che passa sotto il nome di “lettera cambiale” (presentata come l’innovazione creativa dell’epoca), diventò poi sempre più gravosa perché doveva coprire anche i rischi derivanti dalle fluttuazioni generate dal monopolio veneziano dei metalli preziosi. La lettera cambiale del XIV secolo costava mediamente un 14% d’interesse, un costo del tutto paragonabile al prestito ad usura.Venezia costrinse l’Europa a passare al sistema aureo risucchiando tutto l’argento in circolazione. Dal 1300 al 1309 l’Inghilterra acquistò all’estero 90 mila sterline di argento per la coniazione, mentre nel periodo 1330-1339 riuscì ad importarne solo 1000 sterline. “Ma per tutto il decennio 1330-1340 a Venezia non si registrò nessuna scarsità di argento”.I banchieri fiorentini avevano così ampio spazio per speculare con il loro famoso fiorino d’oro. Ma nel periodo 1325-1345 si registra un capovolgimento della situazione. Il rapporto del prezzo dell’oro su quello dell’argento iniziò rapidamente a diminuire,da 15 a 1 scese a 9 a 1. Quando il prezzo dell’argento cominciò a risalire, dopo il 1330, a Venezia l’offerta di argento era enorme. Nel periodo 1340-1350 “lo scambio internazionale di oro e argento tornò ad intensificarsi notevolmente”, afferma Lane, che documenta inoltre una nuova impennata dei prezzi dei beni.I banchieri fiorentini adesso si trovarono intrappolati con tutti i loro investimenti denominati in oro, mentre il prezzo del metallo scivolava al ribasso.Dopo il crollo dell’oro innescato dai veneziani alla fine degli anni Venti, i fiorentini non furono in grado di prendere contromisure fino al 1334, quand’era troppo tardi, il re di Francia aspettò fino al 1337 ed il re d’Inghilterra fino al 1340, come detto all’inizio.Secondo Lane: “La caduta del prezzo dell’oro, alla quale i veneziani avevano decisamente contribuito con notevoli esportazioni di argento ed importazioni d’oro, ricavandone profitti, andò a discapito dei fiorentini. Invece di essere i leader della finanza internazionale… i fiorentini non erano in una posizione di poter profittare dei cambiamenti verificatisi tra il 1325 ed il 1345 come lo furono invece i veneziani”.I superprofitti della Serenissima nella speculazione globale continuarono fino ai disastri bancari ed alla disintegrazione del mercato avvenuti tra il 1345-47 ed in seguito.Nel periodo 1330-1350 la Peste Nera si diffuse nella Cina meridionale sterminando tra i 15 ed i 20 milioni di persone, mentre veniva esaurendosi la furia saccheggiatrice dell’impero mongolo. L’economia monogola si fondava su branchi sterminati di cavalli che rovinarono l’agricoltura di tutto l’immenso dominio dei Khan. Questo flagello ebbe anche l’effetto di costringere i roditori portatori della peste, confinati da secoli in una ristrettissima regione del nord-est della Cina, a migrare verso le regioni meridionali e sulle vie che verso occidente portano al Mar Nero.Nel 1346 la cavalleria mongola diffuse la peste nelle cittadine della Crimea, sul Mar Nero, da dove i traffici marini la portarono in Sicilia, nel 1347, e da qui si diffuse in tutt’Europa.La popolazione europea ristagnava sugli stessi livelli da circa quarant’anni, concentrandosi però maggiormente nelle città dove le infrastrutture, soprattutto quelle idriche e e sanitarie, risultavano sempre più carenti e malandate. I famosi ponti di Firenze, ad esempio, furono edificati tutti nel XIII e nessuno nel XIV secolo. La situazione alimentare cominciò a peggiorare con lo scarseggiare dei raccolti. Durante le crociate, la pur limitatissima istruzione classica che si impartiva nei monasteri fu duramente perseguitata dall’ordine cistercense di Bernardo di Chiaravalle che predicava le crociate. Nel 1225 il papato proibì che nei monasteri si istruissero i giovani esterni, gli “oblati”, l’unica forma di istruzione per chi non appartenesse ad una famiglia particolarmente facoltosa.Dopo il crac finanziario e il diffondersi della peste, la popolazione cominciò a ridursi drasticamente, passando da un livello di circa 90 a circa 60 milioni.

@fabiogaraventa

LA DIFFERENZA TRA GESU E PAOLO DI TARSO (aggiornato) @alfredoantonini

Foto by ELISA ANTONINI : Roma Basilica S Paolo fuori le mura
La parte che riguarda i terapeuti è approssimativa

L ebraismo sacerdotale originale con il tempo evolve principalmente in enochico, zelota, sadduceo, farisaico, ….. i primi due sono tendenzialmente diventati anti sinedriti, il primo perché per motivi teologici rifiuta l ellenizzazione, il secondo per motivi politici rifiuta la mancanza di intransigenza verso i romani ed è una radicalizzazione della dottrina farisaica, ….. Gesu non riforma queste evoluzioni, riforma quello originale verso il quale pero quello enochico è teologicamente rimasto piu vicino(ecco forse il perché dell affinità con gli esseni)… Paolo di Tarso scambia o trasforma Gesù come un riformatore dell ebraismo sinedrita (sadducei ellenizzati e farisei con le loro sovrastrutture rabbiniche non presenti in origine) e lo ellenizza ulteriormente.Gesu non ha mai detto come Paolo che “esistono vari signori e vari dei tra i quali ad uno crediamo ” (concezione monolatra ma anche ellenizzante nel modo come verrà attuata sostituendo figure cristiane a quelle del pantheon classico ) ma la sua teologia e’che esiste un solo Dio in assoluto (concezione monoteista diversa da quella monolatra),si tratta di Dio quello dell antico testamento, con la differenza che rispetto a questa serie di testi non riconosce l esistenza di altri dei pagani pari a Jahweh incaricati di occuparsi di una nazione, implicitamente li considera idoli di pietra e basta, non valgono le parole di Paolo “così come in cielo esistono vari signori e dei” .Quando Giustino Martire scrive agli imperatori Antonini (antonino pio) va appresso a Paolo e dice qualcosa del tipo”perché ci perseguitate quando in fondo il nostro Dio non è molto diverso dai vostri”?

Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos interpretativo e maestro di ogni arte; Asclepio, che fu anche medico e, colpito dal fulmine, ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato” ….”Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus. Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti a sofferenze”.”Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos interpretativo e maestro di ogni arte; Asclepio, che fu anche medico e, colpito dal fulmine, ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato” (…) ed ancora: “Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus. Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti a sofferenze”. Evidente che questa è una concezione non puramente monoteista perchè pare implicitamente riconoscere l esistenza di altre divinta.C è forse una fase durante la quale Paolo all inizio della conversione si sposta dall ebraismo sinedrita a quello enochico (episodio della casa di Damasco che ho accennato nell articolo su Gesù e le profezie ), ma infine non lo comprende o non lo abbraccia preferendo proporre ai Romani una teologia più digeribile per loro, mentre esseni e zeloti trovano un punto di incontro a Qumram.

Le fonti a Roma non citano gli scritti di Paolo per 80 anni dopo la sua morte quando li fa comparire Marcione l eretico e anti jahwista ,poi passano altri decenni prima di arrivare al cristianesimo in versione costantiniana.Paolo è colui che consapevolmente o meno,intenzionalmente o forzato nell interpretazione dei suoi intendimenti,ne ha gettato le fondamenta e creato i presupposti. Non si può dire che con il suo essere ebreo ma ormai anti ebreo non ha causato il distacco culturale dalla sua religione originale. Nel frattempo la chiesa cristiana di Gerusalemme non c è più,tutti morti sotto la persecuzione romana : chi mai può smentire Paolo a quel punto.

Nell ebraismo scerdotale iniziale non esistevano sinagoghe e rabbini,sono aggiunte sovrastrutturali farisaiche cosi come l ellenismo non non è parte ma è una deriva del sinedrio soprattutto perchè a guida sadducea.Paolo procede da rabbini e sinagoghe e vediamo come la chiesa di Roma poi le rimpiazzera con preti e chiese.Nell ebraismo iniziale esisteva il tempio con i sacerdoti il che non era cosa medesima di rabbini e sinagoghe.Poi fino al 70 coesistono tempio sinagoghe sacerdoti e rabbini,infine il tempio viene distrutto e dopo alcuni secoli il sinedrio viene chiuso,circostanza che implica anche che non è più possibile cambiare il calendario ebraico perchè solo il sinedrio ne ha facoltà.Ad un certo punto Gesu stizzito verso i rabbini in Matteo 23 dice di non chiamare nessuno sulla Terra padre e di non farsi chiamare in quel modo,non certo in riferimento ai padri genetici oppure adottivi ma ai padri religiosi e spirituali.A supporto della mia ipotesi teniamo conto che dopo “…chi dite che io sia” (Matteo 16:15) Gesù prosegue rivolgendosi a Pietro “..Simone figlio di Giona”, (Matteo 16:17),questa che troviamo nelle principali bibbie è una traduzione terribile dal greco dove è l unica volta che non compare “uios” per dire figlio ma viene riportato direttamente in antico aramaico “barjona” ma scritto così attaccato non è affato scontato che poteva essere tradotto con “figlio di Giona” ovvero bar jona, nome per altro non in uso quando Gesu visse, ma molto probabilmente andava tradotto per il suo reale significato in quel momento o almeno andava concesso il beneficio del dubbio : partigiano zelota.Gesu dice a Simone detto Pietro di creare una ecclesia ma lo sta dicendo a chi forse appella come barjona,altro che filo romano ellenizzato,è infatti diverso il contesto teologico di Gesù da quello paolino. Di seguito partendo dalla questione della traduzione di barjona riporto una ipotesi radicalmente alternativa circa alcuni fatti evangelici,ipotesi che non commento ma lascio all attenzione perche mi pare interessante,inoltre forse è poco nota e va molto oltre il mio pensiero così come oltre il pensiero dell autore del virgolettato che però è utile ad introdurla, teoria che si allinea alla corrente che colloca Gesu nell ambito del nazionalismo ebraico. Personalmente non mi spingo così avanti e mi limito a considerare Gesù un riformatore dell ebraismo sadochita originale precedente al secondo tempio,quindi come portatore di una dottrina ulteriore derivata dalla primigenia e non una semplice evoluzione di quella successiva sinedrita come mi pare invece teorizzare Paolo di Tarso,limitandomi a considerare le differenze tra Gesù e Paolo ma non per questo escludendo a priori la possibilità che segue,esposta da un autore che sta parlando in origine di altro e che non la appalesa come conseguenza del suo ragionamento ma seguendolo ci può indirettamente portare alla medesima conclusione di chi invece in altri studi esplicitamente indica Gesù come nazionalista ebraico:

( il foglio.info 6 – 2 – Mauro Pedrazzoli ) :

…. nei vangeli bisognava distinguere fra Simone, il capo dei 12, e almeno Simone lo Zelota (alla greca; o Simone il Cananeo dall’aramaico qan’anayya’ = zelota), facente parte dei 12. Occorreva quindi trovargli un epiteto, o un soprannome, dato che era sconosciuto ai sinottici il padre di Simone ed Andrea (per Mt 16 vedi più sotto). Nella chiamata dei discepoli (Mc 1,16-20 e paralleli) si cita il patronimico di Giovanni e Giacomo, ossia Zebedeo, ma non quello dei fratelli Simone ed Andrea, pur essendo tutti soci nel loro lavoro di pescatori. [In Marco 1,29-31, nell’episodio della guarigione della suocera, entrano tutti e quattro nella casa]. È stato quindi dato a Simone l’epiteto-soprannome di Pietro, che compare ancor prima (cfr. il suddetto Gv 1,40) della relazione Pietro/Pietra/Cefa; si è fatto perno su un soprannome che forse già esisteva, o era nato all’interno dei discepoli per distinguerlo in primis da Simone lo Zelota, ma anche da Simone padre di Giuda, forse da Simone il fariseo, ma soprattutto da Simone il fratello di Gesù (Mc 6,3 e Mt 13,55s). Sul fatto che Gesù abbia avuto delle sorelle (di cui non si fa il nome), e non meno di 4 fratelli, i cui nomi coincidono esattamente sia in Marco che in Matteo, non esiste alcun dubbio dal punto di vista storico, esistenziale, umano e familiare: si chiamavano Giacomo (il fratello del Signore ricordato anche da Paolo in Gal 1,19), Giuseppe, Giuda e Simone. Non c’è nessun problema storico-biblico: è diventato poi un problema per la dogmatica cattolica, già a partire da Luca che li omette in 4,22 (nel par. di Mc 6,3) perché sembra imbarazzato-disturbato; per la verità li ripesca in 8,19 e Atti 1,14 con la dizione «la madre e i fratelli di Lui», ma senza farne i nomi…

solo il 4° vangelo prova a distinguere il cosiddetto «principe degli apostoli» tramite la provenienza familiare genealogica, cercando di riesumare il nome del padre di Pietro, ma con molto fumo e incertezza: in 1,42 (la chiamata dei discepoli), abbiamo «Simone figlio di Giovanni» (in pochi codici ma autorevoli come il Vaticano ed il Sinaitico), in due manoscritti addirittura «figlio di Giovanna» (la madre?), e in tutti gli altri «figlio di Giona». In Gv 21,15 la stessa cosa (ma senza “Giovanna” come variante).La vulgata in 1,42 conosce solo la lezione «figlio di Giona», con la variante «figlio di Giovanna», ma non «figlio di Giovanni» (!), che tuttavia compare in 21,15. Hanno cercato disperatamente, ma invano, di ripescare il nome del padre di Pietro; uno sforzo sovrumano per poterlo distinguere dall’altro Simone, il discepolo amato. Che sia incerta la lettura di 1,42, passi; ma che sia incerta in 21,15, nel capitolo aggiunto ampiamente già nel secondo secolo,

Il nome paterno “Giovanni” si trova quindi solo, e in maniera confusa, nel quarto vangelo, e nel vangelo dei Nazarei che cita e legge “figlio di Giovanni” in Mt 16,17.

Ma in Mt 16,17 non troviamo in nessun manoscritto “figlio di Giovanni”, bensì in tutti (con l’unica eccezione del codice 1424 del IX secolo) l’enigmatico “BarIona”, e in numerosi manoscritti pure staccato in Bar Iona, ossia figlio di Giona (Joachim Gnilka, Vangelo di Matteo, op. cit., parte 2ª, p. 95). In riferimento all’aramaico, Bar Jona comunemente viene inteso come abbreviazione di Bar Johanan, figlio di Giovanni (fra l’altro Jôanan, Iwanan è un apax, cioè ricorre una volta sola nel NT nella genealogia lucana di 3,27), ma tale abbreviazione non si riscontra in nessun passo (Gnilka, ivi, 95). È invece attestata una cosa ben diversa: la normale abbreviazione palestinese di Johanan (Giovanni) non era jona’, bensì joha’ o johaj  (GLNT, Grande Lessico del N.T., Paideia, vol. 4, col. 1237-1239, voce Jonas di J. Jeremias).

Il termine aramaico (tutt’attaccato) Bariona di per sé significherebbe “persona sfrenata”. Nei codici del NT abbiamo la cosiddetta “scrittura continua”, ossia con una parola attaccata all’altra senza punteggiatura; come detto sopra, per evitare appunto l’ambiguità parecchi manoscritti l’hanno staccato in Bar Iona, intendendolo come “figlio di Giona”. Ci sono attestazioni che gli zeloti, cioè i fautori della rivolta-rivoluzione contro il dominio di Roma, erano detti «barioni» (persone sfrenate, Gnilka 95). «Forse egli [Pietro] era stato un tempo simpatizzante degli Zeloti? Il suo rinnegamento nella passione di Gesù potrebbe costituire un elemento a favore di questa ipotesi» (Gnilka 96). E lo comproverebbe pure, aggiungo io spiegando meglio anche il senso della tesi di Gnilka, il rifiuto della passione medesima appena annunciata da Gesù [non ci interessa qui che si tratti di un vaticinio ex eventu]; “Pietro lo trasse a sé in disparte e gli disse protestando e rimproverandolo: «Dio te ne scampi Signore, questo non [ti] accadrà mai»”, beccandosi come risposta secca e acida «Vattene via dal mio cospetto [dietro di me] Satana» (Mt 16,22s e Mc 8,32s). Non dimentichiamoci che Pietro durante la cattura (Gv 18,10) con la spada ha mozzato l’orecchio del servo del sommo sacerdote. Mentre i 3 sinottici dicono in modo velato che a farlo è stato genericamente «uno dei presenti» (Mc 14,47), «uno di quelli con Gesù» (Mt 26,51), «uno di loro» (Lc 22,50, che protegge Pietro), solo Gv precisa (per niente dispiaciuto del tocco anti-petrino) che si trattava di Pietro (e che il servo si chiamava Malco); un’azione decisamente da zelota (come l’affermazione apodittica durante la lavanda di 13,8; cfr. la pagina seguente). [Sono i tipici dettagli della passione provenienti dal discepolo amato e dalla famiglia Cleofa più in generale].

Ciò costituirebbe un’ulteriore conferma dell’aspetto “satanico” inteso come conquista del potere (anche) politico: ossia l’aspetto “barionico” degli zeloti, eventualmente armato e violento. Ma se lo scopo dell’epiteto Bariona era quello di distinguere Simon-Pietro in particolare da Simone lo Zelota, tale soprannome era il meno indicato in assoluto, proprio perché gli zeloti erano chiamati barioni. La confusione, anziché essere tolta, sarebbe aumentata. Per di più la cosa poteva essere aggravata dal fatto che i due viandanti di Emmaus («noi speravamo che fosse lui [profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo] a liberare Israele», Lc 24,21.19) sembrano avere tratti zelotico-barionici; perciò l’epiteto “Bariona”, che forse Pietro comunque aveva da tempo, non l’avrebbe distinto a sufficienza neppure dal discepolo (amato) di Emmaus nella nostra interpretazione.

Anche la famiglia Cleofa, pur facente parte dell’aristocrazia gerosolimitana, non sembra perciò essere collaborazionista, e nemmeno troppo acquiescente coi romani, anche se non raggiunge il livello di contrapposizione di Pietro e di Giuda. Ciò lascerebbe intendere che all’interno del gruppo dei discepoli, fra i quali c’erano anche quelli più accondiscendenti nei confronti dell’impero, le posizioni fossero “marcatamente” differenziate (sia in…politica estera che in…politica interna [la ricerca della gloria/potere da parte dei figli di Zebedeo, meglio della loro madre]). 

Quindi, anche per il fatto che era sconosciuto ai sinottici il nome del padre di Simone (altrimenti ciò avrebbe, come Zebedeo per i figli del tuono, risolto velocemente il problema), è stato scelto come soprannome aggiuntivo appunto Pietro (Simon-Pietro), forse, come già detto (1,40), ancor prima che Gesù glielo ribadisse; egli, o la comunità primitiva, oppure le redazioni hanno fatto perno sul già esistente Pietro, il cui primo significato è «pietra-sasso», per l’estensione figurativa alla roccia: tale estensione, anche secondo Gnilka, non è per nulla scontata. «Sotto il profilo etimologico ciò non è affatto ovvio, dato che il primo significato di petro è “pietra”» (Gnilka 97).

Un conto è infatti un sasso/pietra singola, anche se può essere testata d’angolo, o il masso finale che chiudeva dando stabilità alla costruzione, e un conto è una roccia stratificata relativamente voluminosa, quale fondamento o fondamenta su cui la Chiesa deve essere edificata (ivi, 100). Naturalmente non c’entra nulla col posteriore significato di chiesa come luogo di culto fatta di mura.

Comprova Gv 1,40 anche il sorprendente Mt 4,18: in occasione della chiamata-vocazione, ben prima del Tu es Petrus del cap. 16, il capo dei 12 è gia definito alla prima entrata in scena (diversamente da Mc e Lc) “Simone detto Pietro”. Perciò è molto probabile, per noi quasi sicuro, che Simone, già prima della chiamata al lago di Tiberiade, avesse un soprannome, anzi due: Pietro e Bariona. Pietro-pietra: noi diremmo un “duro”, un “estremista” tendenzialmente focoso e sfrenato (Bariona), dovuto anche alle sue (pregresse?) simpatie per gli zeloti (barioni). Sotto questo profilo il «Tu es Petrus» andrebbe inteso in senso rigidamente letterale: «Tu sei [ti chiami] già Pietro (un duro), e quindi…».

Anche nella lavanda dei piedi (13,1-9) c’è sempre il raddoppio Simon-Pietro, ad eccezione del v. 8 (bisogna guardare al testo greco, e non all’italiano perché nella versione CEI anche qui c’è il raddoppio): «Gli disse Pietro: “Non mi laverai (mai) i piedi per sempre” (eiV ton aivna, in eterno)». Guarda caso, il soprannome Pietro (cioè l’estremista dalla “testa dura”) prende il sopravvento (soppiantando Simone) in una tipica esclamazione da zelota: il maestro, messia, liberatore non si deve abbassare a lavare i piedi ad un discepolo subalterno…

Ciò spiegherebbe meglio il passaggio forzato da un Pietro (pietra) già esistente alla roccia su cui edificare la chiesa: passaggio forzato ma quasi “necessario” per esorcizzare l’aspetto del duro, zelotico, focoso, e trasformarlo in solide fondamenta su cui costruire l’Ecclesia. Il primato quindi sarebbe il frutto di un…“esorcismo”: la cosa non è così drammatica come sembra, perché ad es. anche la Maddalena, posseduta da sette demoni, è stata esorcizzata da Gesù e quindi guarita da una malattia grave, dall’essere dilaniata e dilacerata in se stessa.

Gesù avrebbe ovviamente incaricato lo zelota Pietro in quanto persona di fiducia ma gli evangelisti non lo possono esporre apertamente e quindi cercano l escamotage per spoliticizzarlo ATTRAVERSO UN ESORCISMO mediante il quale Gesù viene presentato non come colui che libera gli ebrei dai romani ma che libera i romani dai barioni,spoliticizzazione come chiave di lettura dei vangeli sinottici.

Sappiamo che i romani mandano ad arrestare Gesù una corte,si tratta di seicento uomini,qua e la traspare come se quella notte in realtà c era in corso un tentativo di rivolta armata che richiedeva forze massicce, ad esempio l evangelista Luca nel raccontare l ultima cena volutamente sembra attribuire a Gesù la volontà di fare ritrovare armi affinche si compisse che era considerato un malfattore,tentativo di Luca per il vero in apparenza maldestro quello di camuffare la realtà,se tale era realtà,in quanto non ha molto seguito il resto del suo medesimo racconto,gli apostoli sfuggono a seicento uomini,nelle accuse a Gesù la presenza di armi diventa però irrilevante,quindi in nessun modo quelle armi sono utili a ciò che deve compiersi.Come al solito Luca è piuttosto grossolano ed approssimativo.

Personalmente piuttosto che collocare Gesù nel quadro specifico del suo tempo,entro il complotto giudaico ed antigiudaico che qualcuno teorizza,comunque un frangente caratterizzato dal confronto intrebraico e tra romani e Giudei,lo riconduco all immagine di piu ampio respiro.quella un riformatore dell ebraismo del primo tempio con il cambio di strategia o con la rivelazione dove Jahweh da essere il Dio bellicoso e conquistatore che si occupa solo degli ebrei passa ad essere il Dio delle genti che per salvare gli ebrei medesimi ed il mondo cerca di convertire il mondo,forse non ad una nuova religione ma ad una versione dottrinale diversa della medesima ebraica ,perchè riformata.Qua subentra il conflitto politico e teologico tra gli interessi giudeo cristiani più strettamente ebraici e quelli romano ellenistici che hanno altre finalità rappresentate da Paolo di Tarso prima e poi dalla chiesa di Roma.Paolo e poi la Chiesa di Roma non hanno mosso il pensiero dei gentili verso lo Jahwismo ma hanno adattato il secondo all ambiente culturale dei gentili.Procedendo per gradi perche ad esempio Paolo ancora riconduce il concetto di anima psike a quello aristotelico che è piu simile al nefesh ebraico ma la Chiesa poi avalla l interpretazione del nefesh come l anima quando nel mondo ebraico questo concetto non era presente.Bousset, autore di Kyrios Christos, all’inizio dello scorso secolo sostenne che Paolo aveva reso il Cristo«un essere divino però un gradino sotto Dio”

Al contrario Giuseppe Barbaglio racconta come “sono numerosi anche gli studiosi che, a vario titolo, riconoscono l’esistenza di una sostanziale continuità tra i due. Già il famoso Harnack dichiarava in Essenza del cristianesimo: Paolo «fu colui che meglio comprese il maestro e ne continuò l’opera», e non temeva di affermare: «è il suo discepolo», capace di fame evolvere il vangelo traendolo fuori «dall’alveo dell’ebraismo», Anche Goguel, in aspra polemica con quanti vedevano in Paolo «il vero creatore del cristianesimo» o, peggio, «il falsificatore», sostiene che «è stato, in maniera originale ma tuttavia fedelissima, il discepolo di Gesù Cristo». Assai interessante il punto di vista di Jungel sviluppato con grande suggestione nel voluminoso Paolo e Gesù: c’è, dice «totale parentela della dottrina di Paolo con quella di Gesù», perché concordano pienamente nell’annunciare «la vicinanza di Dio alla storia» da GESU’ DI NAZARET E PAOLO DI TARSO – Confronto storico 2006 editore EDB

In conclusione Gesù secondo le profezie ed in linea con quanto lui stesso dice,è mandato A CONVERTIRE e predicare a coloro non veramente monoteisti come alla Casa di Israele,ai Figli di Gerusalemme,infine a fare giungere il suo messaggio ai gentili delle Nazioni,tuttavia è da approfondire se è mandato anche alla Casa di Giuda e se si , come e in che modo e con quali limiti se non con l intento di essere accettato come Messia e come riformatore entro la medesima loro religione giudaica. Resta la certezza da parte mia che Gesù non è una figura limitata incastrata nella dinamica degli eventi storici politici e teologici del periodo quando visse ma è un teologo del monoteismo ebraico millenario nonchè una figura millenarista ed avventista non in relazione all attesa messianica di quei tempi come intesa dai suoi contemporanei ma in relazione all avvento del regno dei cieli da lui profetizzato entro una scadenza non individuabile,anche chi sostiene che lo attendeva a breve, non stabilisce il momento.Se inoltre,in secondo luogo, oppure anche come ipotesi parimenti importante si aggiunge che era anche un nazionalista ebraico non ho abbastanza elementi ne per escluderlo ne per affermarlo integralmente,sicuramente un momento prima dell Ascensione non ha ne disconosciuto ne vietato agli Apostoli di custodire il sogno della ricostituzione del Regno Davidico.Parrebbe uno che concede in modo soft tale intento,cosi come parrebbe concepire la legge mosaica come una soft law.Non so se nel momento che dice “barjona” a Pietro è qualcosa che riguarda il suo passato(dell Apostolo) oppure il presente.Diventa complicato stabilire i confini tra cripto zeloti e GESUANI.Consideriamo anche l ipotesi che magari non sono stati gli evangelisti a spoliticizzare la narrazione ma che più di tanto non hanno potuto o voluto penetrare un mistero deliberatamente O MENO tenuto in piedi dal gruppo intorno a Gesù.Era un depistaggio il “date a Cesare quel che è di Cesare” oppure mentiva il soldato romano che rispondeva a Pilato dicendo che Gesù sobillava il popolo a non pagare le tasse come facevano gli zeloti ? Chi avrebbe indotto il soldato a mentire e perchè ? Il sinedrio collaborazionista certo non condannava Gesu per dispiacere ai romani visto che difatto ne era un fantoccio.

@alfredoantonini

FRUSTULA DE VALLE SORANA. NUOVE RICERCHE SU BALSORANO (AQ) @elisatrillyantonini @alessandratanzilli

L’iscrizione della “Chiesa Vecchia” di Balsorano tra frammenti di sarcofagi, stemmi, acroteri decorati, cornici e un’epigrafe romana1, murati nell’androne del castello di Balsorano Vecchio2, c’è un’iscrizione tardo-medievale che ricorda la posa della prima pietra di una chiesa (Fig. 1)3. Per
rintracciarne la provenienza e stabilire per quale edificio sacro sia stata realizzata sono state di ausilio le fonti archivistiche: la prima è una lettera del 1611 inviata dal barone Fulvio Pietropaoli, il quale asserisce di aver notato l’epigrafe nella chie- sa matricedi Balsorano4; ad essa seguiranno le visite pastorali del 1663, del 1703 e del 1767, in cui si annota che la lapide è posizionata presso il lato sinistro dell’ingresso della chiesa balsoranese intitolata alla SS. trinità, a S. Giorgio e S. martino5. alla distruzione della chiesa, nell’ultimo quarto del XViii secolo, l’epigrafe fu spostata nel castello6. il testo dell’iscrizione è il seguente: M·CCCC· XXXXIIII·VIII·Ind (ictione) · adi· XXII· deoctub (ri)· Lisi· de· Ce lano· secundo· f ece · principiare questa ·bened ecta· ecclesia l’epigrafe dunque ricorda che Lisi secundode Celanofece iniziare i lavori di realizzazione di una chiesa giovedì 22 ottobre 1444, giorno celebrativo di S. Donato vescovo7, durante l’ottava indizione8; è redatta in gotica epigrafica di derivazione napoletana, in moduli regolari di forma tondeggiante, con frequente ricorso ad abbreviazioni e filetti ornamentali con cui si completano e concludono le lettere9; l’adozione di tale tipologia scrittoria in questa zona trova spiegazione negli stretti rapporti politici ed artistici intercorrenti tra l’area napoletana e la conca celanese,ultima pars regni 10.Il testo è in volgare con un singolo lessema latino (ecclesia) e qualche concessione di gusto arcaico (ct in luogo di ttnella parola benedecta, la ual posto della oin secundo), ma i verbi causativi principiare e fececorrispondono al registro aulico. Fenomeni di apofonia vocalica, riconducibili a volgarismi locali, compaiono nelle parole benedecta(per benedicta) e octuber(invece che october); si notano fra ogni parola i segni distinguenti a stella posti al centro del rigo, l’inosservanza della corretta divisione delle sillabe per andare a capo (f-ece, bened-ecta), forse indotta dall’impaginazione in un campo epigrafico di ridotte dimensioni, l’indicazione della data nella forma volgarizzata adi XXII de octubr(i) al posto del classico XI Kal. Novembrise l’omissione della consueta formula a(nno) D(omini). nel campo inferiore a destra e a sinistra è scolpito il medesimo rilievo di uno scudo attraversato obliquamente da banda, arma dei Celano11, e al centro si trova uno scudo di stile torneario. Un potente suffeudatario: Lisi de Celano secundo Per sapere chi fosse quel Lisi secundo de Ce-lano che si adoperò a far erigere una chiesa, sicuramente a proprie spese, bisogna riannodare i fili della storia dagli inizi del ‘400, quando il re ladislao aveva concesso a ruggero, conte di Celano, la terra di Balsorano pro satisfactione armigerarum gentium12, poi trasmessa a nicola ii, nipote di ruggero e figlio di Pietro ii, che nel 1408 aveva ottenuto anche la nomina di Gran Giustiziere, una delle cariche più importanti poiché presupponeva una stretta collaborazione con il sovrano nelle attività governative13; nel 1414 la regina Giovanna ii, salita al trono di napoli dopo la morte del fratello ladislao, riconfermò a ruggero il beneficio e, a titolo di riconoscenza del valore, della fedeltà e dei servigi da lui resi, gli assegnò anche la baronia di Castelluccio, di Valmaggiore e di altre terre in abruzzo, in Capitanata e in terra di lavoro14. alla sua morte, avvenuta forse nel 141815, gli successe il figlio Pietro iii, fratello di quella iacovella o Covella che avrà poi un ruolo politico decisivo per la contea16. il conte Pietro iii ottenne dalla regina Giovanna ii anche il feudo di Sora, la valle del liri e Balsorano, estendendo così i possedimenti celanesi17, avendo già acquisito gli avamposti di Vicalvi e Posta Fibreno18. il 26 agosto 1422, poco prima della sua morte, Pietro dettò le sue ultime volontà ad un notaio alla presenza di molti testimoni, tra i quali le sorelle angelella, antonella e Covella19: beneficiaria del titolo e dei possedimenti fu proprio quest’ultima20.Covella nel 1424 sposò, ancora infante, odoardo Colonna, nipote di martino V21, ma in seguito chiese l’annullamento del vincolo coniugale per sposare nel 1433 il vecchio Jacopo Caldora22, feudatario fra i più potenti del regno di napoli, i cui possedimenti si estendevano dalla valle Peligna alla Puglia.nonostante i contrasti derivati dall’appoggio dei Caldora alla casa angioina nella successione al regno di napoli e la sconfitta del figlio antonio nel 1442 da parte di alfonso d’aragona, dopo la morte nel 1439 del secondo marito Covella riuscì a convolare a nozze intorno al 1445 con un fautore degli angiò, il giovane leonello acclozamora, nipote di Jacopo Caldora e duca di Bari23. la reggenza della contea da parte dell’augusta coppia fu illuminata dall’impegno profuso nella sua riorganizzazione e dalla partecipazione al rinnovamento artistico e monumentale del feudo ravvisabile ad esempio nella costruzione, nell’ampliamento o nel completamento del castello di Celano24,della preesistente struttura del castello di Balsorano25, delle chiesedi Sant’angelo e di Santa maria in Valleverde a Celano26. la difficoltà di amministrare un territorio così esteso e conteso dovette però costringere i conti a concederlo in suffeudo se nell’elenco, compilato nel 1445 ad ricolligendam tassam a baronibus27, appare il nome di un luigi da Celano, suffeudatario di leonello acclozamora28, che a tale data controllava ben trentanove possedimenti in abruzzo tra cui la baronia di Balsorano. luigi da Celano è dunque il nostro Lisi secundo de Celano, attestato anche con i nomi di ludovico o in varie forme corrotte e abbreviate di aloysius, lisi e lysio29. lisi ii era discendente di un primo Loysio de Celano, possessore di una porzione del castrum marsicano di arciprete alla fine del XiV secolo30, e figlio di Catarina del Balzo e di matteo da Celano, nonché cugino del nonno di Covella31; tra l’altro i rapporti familiari erano stati rinsaldati da quando il padre della contessa, nicola ii,era diventatotutore di Berardo, fratello di lisi32. la fedeltà e l’affetto di lisi nei confronti dei nipoti sono testimoniati dalla sua ambasceria presso papa martino V in rappresentanza del conte Pietro iii – fratello di Covella – il 17 novembre 142033, e dalla rinuncia con Berardo nel 1426 ad ogni diritto ereditario su Celano in favore di odoardo Colonna, primo marito di Covella, in nome dei sentimenti di antica consuetufine 14 Non è chiaro se si tratti dello stesso luigi di Celano che ad alvito nel 1439 è testimone nella stipulazione dell’atto di donazione della contea di Popoli da parte di nicola Cantelmo al figlio Giovanni luigi35, o del guerriero che, al seguito di alfonso d’aragona, fu attaccato nel 1442 dalle truppe al servizio di Eugenio iV36. lisi, alacre vassallo di Covella, non doveva essere molto più anziano della nipote: ipotizzando che fosse coetaneo del fratello Berardo, di cui è accertata la minore età nel 140437, doveva essere nato tra la fine del ‘300 e gli inizi del ‘400 e avere all’incirca vent’anni più di Covella. Dopo la brillante amministrazione della contea di Celano fu probabilmente privato della carica alla morte di leonello acclozamora nel 1458, quando Covella volle amministrare direttamente il feudo onde tutelare e conservare interamente i propri diritti. nel 1462 il figlio di Covella, ruggero (altrimenti detto ruggerotto o rogerone), non ancora diciottenne38, rivendicò la contea e giunse persino ad assediare la madre nel castello di Gagliano aterno, dove si era rifugiata alcuni mesi dopo essere rimasta vedova39; l’infelix matermorì intorno al 1471, durante l’esilio dalle sue terre40.Per troncare il conflitto ereditario ed eliminare ogni pretesa, il re Ferdinando d’aragona, con diploma del 12 febbraio 1463, aveva assegnato la contea di Celano, compresa la baronia di Balsorano,al genero antonio todeschini Piccolomini, nipote di Pio ii41; i possedimenti concessi grazie al matrimonio con maria d’aragona furono ratificati nel pubblico concistoro dallo stesso Pio ii nell’anno 147342. nel settembre del 1463, a conclusione della conquista manu militari degli aragonesi in abruzzo, antonio Piccolomini si recò a Celano per prendere possesso della contea43;mancava però, oltre a Pescina, Balsorano: pare infatti che il borgo fosse in mano di rogerone ancora dopo il 146344, e che questi non avesse intenzione alcuna di trattare e cederne il controllo45, conservandolo almeno fino al 1468 e resistendo persino all’assedio di alfonso, duca di Calabria e figlio di Ferdinando i d’aragona, fino alla conquista del castello da parte di orso orsini, fedele al re46. Se in un documento del 26 giugno 1468 rogerone risulta essere signore del feudo47, è assai improbabile che antonio Piccolomini sia l’artefice della costruzione tra il 1460 e il 1465 del castello di Balsorano48; solo tra il 1469 e il 1470 il Piccolomini riuscì a entrare in pieno possesso della rocca e a iniziare la costruzione, parziale o integrale, delle opere murarie del castello, dato che nel 1471 rogerone risulta essere destinatario di un indennizzo, oscillante tra i 50 e 110 ducati, assegnato a tutti i baroni spodestati49. l’ultimo conte de Celanonon si rassegnò mai alla perdita dei suoi privilegi ed anzi, animato dalla vana speranza di riappropriarsi dei suoi diritti, con conflitti e scorrerie rese più difficile il riassetto territoriale dei nuovi padroni comitali fino ad essere ucciso nel 1496 a Pratola Peligna dal duca alfonso i, figlio dell’odiato antonio Piccolomini, durante il tentativo di riprendersi i suoi possedimenti avi ti50. lasciò due figli maschi, leonello e Giovanni, con i quali si estinse la dinastia che aveva reso illustre la contea di Celano per quasi due secoli (Fig. 2). La chiesa di Lisi secundo de Celano nelle fonti. Trasformazione del titolo e descrizione dell’edificio le attestazioni più antiche della chiesa sono contenute nei bollari del 1574 e del 157851, nella visita pastorale del 7 gennaio 1593 52, in un brogliardo del 1599 53. non è chiaro a chi la chiesa vecchia fosse dedicata al momento della sua costruzione né sappiamo se abbia mutato l’intitolazione nel secolo successivo in quanto la dedica alla SS. trinità in associazione con san Giorgio e san martino fu posteriore alla distruzione avvenuta tra il 1599 e il 1610 delle chiese dei due santi54; probabilmente la devozione della trinità fu promossa dalla comunità benedettina, profondamente radicata nel territorio perché capace di attrarre fedeli di ogni condizione sociale ed economica55. le visite pastorali del ‘600 configurano un edificio orientato E/o ad una sola navata, cui si accedeva da due porte, provvisto di campanile con tre o quattro campane e di annesso cimitero56; la sacrestia in tal epoca era in costruzione dietro l’altare maggiore. Fra le relazioni stilate in questo periodo, appare particolarmente puntuale la visita pastorale del 1663 secondo cui lo spazio liturgico, eccettuato il presbiterio, era diviso in quattro parti scandite da tre grandi archi57; sul lato in cornu Evangeliisi aprivano cinque piccole finestre, mentre in controfacciata c’era una finestra più grande; il soffitto era in laterizi dipinti, il pavimento in cotto e in pietra58. l’altare maggiore era arricchito dall’immagine del culto titolare e da un dipinto raffigurante san Carlo, san Giorgio e san martino. a destra, si aprivano le cappelle del santissimo rosario e di san michele arcangelo, a sinistra quella della santissima annunciazione59; qui precedentemente era collocato
anche l’altare di sant’antonio abate60. nonostante la monumentalità del portale d’ingresso maggiore, in occasione della sua visita il vescovo dispose che fosse impreziosito dall’icona della SS. trinità61. nella torre campanaria alloggiavano quattro campane62. Poiché le relazioni del ‘600 trovano ampie corrispondenze anche nelle visite settecentesche, si deve ritenere che la chiesa nel secolo successivo non abbia subito sostanziali cambiamenti strutturali: nella visita pastorale del 1704 è descritto un edificio ad una sola navata, il cui tetto era sostenuto da quattro archi, l’accesso consentito da due porte, la maggiore al centro, la minore a destra; sul lato destro, subito dopo l’ingresso, era posto il fonte battesimale, e sopra la porta maggiore, in controfacciata e fra due pilastri, l’organo; insieme con il maggiore, aveva sette altari63. l’illuminazione naturale era garantita da cinque finestre, di cui una sul coro, le altre distribuite sui lati lunghi. il campanile, fornito di tre campane, era a destra e accessibile dall’interno64. maggiori dettagli nella relazione del 1767 che riporta anche le dimensioni: la chiesa era lunga più di m 26, larga circa m 10, alta m 11,565; la pavimentazione e il soffitto erano in laterizio, ad eccezione dell’abside dell’altare maggiore66. appena due anni dopo la chiesa appare cadente, umida, fatiscente e addirittura priva di copertura adeguata, tanto che mons. Giuseppe maria Sisto y Britto esortò a ripararla o a ricostruire con sollecitudine una nuova, nello stesso luogo o in un altro67. la fine sarà affrettata da un evento rovinoso: nella visita pastorale del 1782 si annotò che non era più agibile per i danni arrecati dal sisma occorso dieci anni prima68, per cui la chiesa di Santa maria della Croce ne diventava provisionaliter substituta69; in un altro documento si imputano l’abbandono e la distruzione ad un incendio, che pure aveva risparmiato la struttura perimetrale, ma soprattutto al gettito di materiale di risulta dall’alto durante le operazioni di restauro del castello, agli agenti atmosferici e alla tecnica costruttiva utilizzata70. L’ubicazione della prima chiesa il primo edificio sacro, a cui seguirono dopo la sua distruzione due successivi impianti eretti in luoghi distanti71,secondo la tradizione era situato
nell’area immediatamente sottostante il castello72; un’informazione di carattere topografico è desumibile dalla citata circostanza secondo cui nel 1663 il vescovo e il suo seguito di chierici e notabili per raggiungere la chiesa devono smontare dalla carrozza, proseguire a piedi, superare una porta delle mura e salire per un viottolo impervio e scosceso73. Comunque la chiesa doveva essere interna alla cerchia muraria e nelle immediate vicinanze del castello, giacché il maniero fu raggiunto velocemente dal prelato che vi pernottò al termine delle funzioni74. Ciò troverà conferma in alcune indicazioni rilevabili da documenti successivi, quando ancora non si era persa memoria del primitivo sacello; in una richiesta del 1825 di fondi necessari per la ricostruzione della seconda struttura, si ricorda che la chiesa originaria era posta su un pendio adiacente alla vetta del colle75; in una visita pastorale del 1874 si annotava che la nuova costruzione si era resa necessaria «dopo il crollamento della Chiesa che s’innalzava sotto una collina contigua al Castello, detta Chiesa Vecchia»76, mentre in una relazione stilata dal Genio Civile di avezzano nel 1877 si puntualizzava che sotto il castello «nel versante nord esisteva una chiesuola di epoca di costruzione pare certo a quella del castello», non lontana da porta Palomba e Vico delle rocce77. Sono determinanti nell’identificazione del sito le fonti iconografiche che rappresentano la chiesa sotto il castello: nella mappa redatta nel 1659 da orazio torriani si riporta la chiesa – che in effetti appare orientata est/ovest così come annotato nella visita pastorale del 1609 (Fig. 3) – nei pressi della torre occidentale del castello78; in una veduta di richard Colt hoare realizzata nel 1791 svetta alto il campanile di una chiesa immediatamente sottostante il fortilizio79; in un dipinto, recentemente realizzato sulla base di puntuali memorie e conservato nel locale museo della pastorizia, la chiesa è collocata nella medesima posizione e nei pressi di porta Palomba80. a nostro parere, la chiesa vecchia doveva trovarsi dove oggi è posta la piscina del castello, costruita riusando anche le opere murarie dell’edificio sacro81.
Il secondo impianto della chiesa della SS. Trinità nelle fonti archivistiche Della chiesa ricostruita alla fine del ‘700 oggi restano in piazza San martino solo macerie e un pilastro con qualche immagine del paese prima del sisma e alcune fotografie scattate subito dopo il 1915 (Figg. 5-6), una foto aerea del 1944 e qualche fotogramma di un video amatoriale girato nel 1956 mostrano la sopravvivenza fino alla metà del secolo scorso di parti cospicue dell’edificio83. la chiesa era stata costruita non senza difficoltà e lungaggini: difatti nel 1825 non era ancora ultimata, tanto che le funzioni si celebravano nella chiesa di Santa maria della Croce, anch’essa però chiusa dopo gli ingenti danni provocati da una tempesta di vento84. a quanto pare, l’edificio non fu mai completato e già nel 1849, a causa del cedimento del terreno ora cosi fatiscente da minacciare rovina85; quattro anni dopo l’amministrazione si impegnò a fare fronte alle spese del completamento86, ma nel 1858 si rese indispensabile un intervento di restauro, giacché l’edificio «si rattrova nello stato orrendo a’ due lati laterali […]. Si stanno approntando i materiali occorrenti pel restauro fondamentale»87; a nuovi restauri, condotti nel 1894 88, seguì nel 1902 la necessaria opera di manutenzione degli altari, di cui alcuni interdetti al culto per fatiscenza89. il terremoto del 1915 segnerà la fine anche di questa chiesa, i cui antichi fasti e i travagliati restauri sono ricordati nella relazione datata 3 dicembre 1933 90, quando le funzioni vengono officiate in una baracca91. una chiesa in cemento armato fu costruita tra il 1938 e il 1939 nel nuovo centro di Balsorano, in piazza Scacchi, sancendo così la definitiva morte dell’antico borgo murato92. Nuove scoperte nell’aprile 2016 abbiamo individuato un edificio molto interessante, ritenuto dai locali un antico frantoio, forse in una successiva destinazione d’uso. la costruzione, oggi fatiscente e pericolante, è raggiungibile percorrendo via ravone, un sentiero che confluisce in via noce dei Santi cui anticamente spettava la funzione di collegamento all’interno del circuito murario da porta San Giorgio a porta Palomba. il lato sinistro è impostato, al fine di superare il dislivello di quota e permettere la costruzione in piano93, su un basamento di cinque filari di grandi conci calcarei accuratamente squadrati e sagomati in modo da costituire un angolo di curvatura; i blocchi s’interrompono subito dopo l’angolo per dare inizio ad un paramento di più recente reintegro in bozze calcaree di modeste dimensioni e ammorzato da alcuni blocchi squadrati (Fig. 7). il complesso è formato da un edificio cinto da mura di pietre regolari e da scaglie calcaree, parzialmente in piedi e ingombra di pietrame di risulta94, cui si accede da una porta scontornata da conci calcarei ben levigati95; l’edificio, su due livelli, presenta due porte d’accesso al centro e a destra, ad arco ribassato e scontornato. il vasto ambiente interno è scandito al centro da tre pilastri sagomati a croce costituiti da conci squadrati (altezza cm 60) che sorreggono volte a semicrociera con lunette raffrontate al centro; i muri laterali sostengono volte a botte (Figg. 8-10). Del piano superiore restano solo i lacerti della fronte e della parete occidentale, in cui abbiamo individuato i resti pertinenti alla volta e alle spallette di una cappella absidata, ancora intonacata, mentre sul lato prospiciente la via noce dei Santi non può sfuggire la presenza di un grande blocco sagomato e arrotondato, forse un gradino di un campanile o di una torretta, oggi usato per l’accesso all’orto ricadente nella stessa area in esame.Il crollo delle volte interessa oggi il settore adiacente all’entrata, mentre alcuni interventi in muratura a secco, con blocchi in cemento e calcestruzzo sono stati recentemente eseguiti nel settore di fondo allo scopo di sostenere alcune superfetazioni moderne e rafforzare le volte. il pavimento originario non è visibile poiché il piano attuale di calpestio ha subito un innalzamento medio di circa cm 85 e lo spazio terminale è rialzato di altri cm 45. non possiamo al momento identificare la destinazione d’uso dell’edificio, di cui ribadiamo l’indubbia importanza architettonica; nella costruzione si potrebbe riconoscere una chiesa, forse l’edificio provvisto di campanile che nella mappa di orazio torriani è posto immediatamente a sinistra della chiesa vecchia,anche se nel sito non si conoscono altre chiese (Fig. 11) 96. Bisogna rilevare che l’edificio in questione presenta non pochi elementi coincidenti con le descrizioni rese nelle fonti riguardanti la prima chiesa della SS. trinità: innanzitutto l’ubicazione intramuraria sull’unica altura posta a settentrione e a ridosso del castello, le dimensioni – quali la larghezza di m 10,76, la lunghezza di m 23 e l’altezza ricostruibile di m 11,50 –, compatibili con le misure riportate nella visita alla chiesa della SS. trinità del 1767, oppure la circostanza che abbia due porte frontali, una grande finestra nella fronte, tre grandi archi che scandiscono lo spazio interno, l’adozione di una tecnica costruttiva consistente in blocchi posti a secco o pietre legate da pochissima malta soprattutto nelle volte, riferita dalle fonti97, e il rialzo della parte terminale, propria dei presbiteri (per la ricostruzione ved. Figg. 12-15). non coincide però con la descrizione del 1609 l’orientamento dell’edificio, il numero delle finestre individuabili nella parete di sinistra, due e non quattro, e soprattutto l’esistenza del piano superiore, caratteristica dell’edilizia civile. L’urbanistica medievale di Balsorano oggi il vecchio borgo è ridotto in macerie o totalmente sconvolto da rimaneggiamenti successivi al sisma del 1915 che rendono dunque difficile restituirne l’aspetto primitivo, ma grazie alla già citata mappa raffigurante il borgo Balserano, opera di orazio torriani98, ad alcune immagini degli inizi del ‘900 99, ad una foto aerea verticale di discreta risoluzione scattata dalla RAF nel 1944 100, ad un altro dipinto degli anni ’90 101, è possibile delineare l’antica forma urbana di Balsorano con le sue quattro porte urbiche poste agli angoli del quadrilatero che racchiudeva l’abitato, alcuni tratti murari102, la prima chiesa della SS. trinità, l’edificio di via ravone, la planimetria della seconda chiesa della SS. trinità, la via antiqua epersino una cittadella o fortezza extraurbana finora sconosciuta alle fonti archivistiche ma testimoniata dalla mappa del torriani e forse dai lunghi lacerti murari ancora in piedi nei pressi di via ii al Corso, a ridosso dei ruderi della seconda chiesa della SS. trinità; risulta invece più difficile accertare tutto il perimetro murario di difesa in quanto molte costruzioni già prima del sisma si erano addossate.Lo studio delle fonti iconografiche ci ha permesso di stabilire che la strada extraurbana proveniente da sud, cioè da Sora e da loc. ridotti, si biforcava prima di arrivare al borgo generando via San Sebastiano103, che attraversava l’abitato a partire da porta San Pietro, testimoniata da due immagini scattate intorno al 1909 104; quindi la via urbana conduceva a porta San martino, l’unica oggi rimasta in piedi delle quattro porte del borgo (Fig. 16). tale strada era parallela alla via – posta ad un’altitudine maggiore – che conduceva da porta San Giorgio, nei pressi della chiesa omonima, a porta Palomba, così appellata perché da qui si arrivava alla torre colombaia, ancora oggi superstite (Fig. 17)105. una via, chiamata Rua Chianeglie, correva lungo il margine esterno della linea difensiva che univa porta San Giorgio a porta San Pietro106. l’osservazione attenta delle immagini consente di stabilire che fino al 1944 e agli interventi edilizi condotti dalla fine degli anni ’50, che alterarono irrimediabilmente la planimetria del borgo e la viabilità antica, Balsorano aveva sostanzialmente conservato l’aspetto assunto alla fine del XV secolo con i suoi principali monumenti (Fig. 18), dato che è nettamente distinguibile l’estensione in area pomeriale – sviluppatasi dal secolo XViii fino al terremoto del 1915 attorno alla seconda chiesa parrocchiale, alla chiesa di Santa maria della Croce e alle contrade Ceusa ed orto Pezziglio-riconducibile all’incremento demografico ed economico che sarà bruscamente interrotto dal sisma. un’ipotesi, che potrebbe trovare conferma solo con l’esplorazione e l’analisi di tutte le strutture murarie dell’insediamento è che la terra murata ha avuto due fasi di sviluppo: la prima fra il X e l’Xi secolo, nello stesso periodo in cui molte alture del lazio meridionale furono incastellate107, durante la quale l’insediamento si concentrò nel versante sud-ovest del colle perché più favorevole alla funzione di controllo e di difesa dell’asse viario e della valle; la seconda fase potrebbe risalire alla prima metà del XV secolo in associazione con il rafforzamento del potere aristocratico, culminato con la ricostruzione del castello, e in concomitanza con la perdita di influenza esercitata dal monastero cassinese; in quest’ultima fase il borgo si estese anche nel versante settentrionale del colle conformandosi alla pianta ad avvolgimento già assunta nel nucleo di vecchia formazione, mantenendo la disposizione anulare degli assi viari attorno alla fortezza sommitale, conservando l’assenza di spazi aggregativi dal momento che la popolazione, dedita alla coltivazione o all’allevamento, anche transumante, non avvertiva la necessità di luoghi di incontro ma preferiva edificare in modo intensivo o coltivare gli orti ricavati intra moenianelle maglie dell’abitato108. ‘Introitum habet ex lapidibus elaboratis’:elementi lapidei scolpiti con motivi fitomorfi Si apprende dalla visita pastorale del 1663 che la chiesa della trinità era arricchita da un portale di raffinata fattura109; potrebbe essere uno stipite o piedritto il blocco con rilievo di motivi fitomorfi incassato in un vicino muro di cinta (Fig. 19)110. Se la provenienza fosse certa, la sua realizzazione sarebbe coeva a quella della chiesa, anche se non si può comunque escludere che provenga da altri edifici realizzati nel medesimo ambito temporale,cioè nella fase di ristrutturazione urbanistica seguita all’acquisto dei Piccolomini. il fenomeno artistico dei portali scolpiti era difatti da sempre diffuso nelle chiese de valle Sorana: sappiamo da fonti archivistiche che la chiesa campestre di San Donato era impreziosita da stipiti lavorati111, al pari della chiesa di Santa Brigida112. la trama decorativa non appare dissimile in un altro esempio scultorio, inedito e d’ignota provenienza, rappresentato su un blocco in calcare sistemato nella sala consiliare del municipio di Balsorano (Fig. 20)113; potrebbe essere stato decorato da un simile fregio il consunto frammento incassato nel muro di cinta del parco del castello a circa due metri e mezzo d’altezza114. il medesimo motivo figurativo caratterizza il frammento, anch’esso inedito, murato in una villa di Via s Nicola n 3 115 e rinvenuto nel 1999 durante i lavori di restauro di un casale alla profondità di m 1 dal piano di calpestio attuale e in terra forse di riporto (Fig. 21); il reperto potrebbe provenire dal vicino monastero benedettino di San nicola116, di cui oggi restano non solo il muro di cinta117, ma anche tracce della curtisbenedettina ravvisabili nello sfruttamento intensivo
della campagna sistemata da antiche opere di terrazzamento e di canalizzazione delle acque della vicina Fonte San nicola. la chiesa di San nicola, prima appartenente all’abbazia di San Vincenzo al Volturno118, era stata acquisita nel 1089 damontecassino con cui l’inclita vallis Sorana aveva instaurato forti legami almeno dal terzo venticinquennio dell’Xi secolo; quindi apparirebbe scontata l’appartenenza del frammento alla temperie stilistica dei portali decorati da girali d’acanto rappresentata, per citare esempi viciniori, dal frammento di lastra decorata dal rilievo a girali d’acanto murato in un casolare in via Sant’angelo a Balsorano119, proveniente da qualche cenobio de valle Sorana, o dal blocco di architrave reimpiegato nella chiesa della vicina frazione di San Giovanni Vecchio120, che attestano l’attività di una vera e propria bottega scultorea della marsica121, specializzata e particolarmente qualificata nella realizzazione per una committenza non solo locale di portali che ricorrono al repertorio figurativo di girali d’acanto a racemi abitati, con cui il confronto più stringente, illustre e significativo può essere instaurato con il magnifico e maestoso portale della cattedrale di Sora oppure con gli stipiti dei portali di Santa maria di luco dei marsi122, riconducibili alla pervasiva e incisiva presenza dall’Xi secolo dell’abbazia cassinense e alla diffusione dei programmi di immagine di ritorno all’antico legati all’azione riformatrice di Gregorio Vii e dell’abate Desiderio. ma l’omogeneità con i reperti già descritti e l’adozione del diverso schema figurativo, ravvisabile nella resa geometrica delle foglie lanceolate e degli steli del tralcio vegetale che descrivono ampie volute e nodi, sposta l’orizzonte cronologico di oltre tre secoli qualora fosse indubbia la pertinenza dei frammenti prima descritti alla chiesa quattrocentesca della SS. trinità o a qualche edificio del luogo risalente alla medesima epoca.

@elisatrilyantonini-alessandratanzilli

disegni: l’arch. antonino tomasello. le fotografie sono degli autori.

Si ringraziano la dr.ssa romina rea (archivio Storico Diocesano di Sora) e il sig. antonio Villa. Siamo grati inoltre ai sigg. adriana Bacca e roberto norcia che ci hanno permesso di effettuare l’autopsia di uno dei frammenti lapidei qui presentati, conservato nel loro bel casale; la nostra riconoscenza vada anche ad annamaria e ad antonella laurini e a Carlo lucantonio per averci messo a disposizione i quadri del dr. Giovanni lucantonio e i suoi appunti in un pomeriggio balsoranese piacevole e proficuo.

Note :

1Si tratta del titulusfunerario M(arcus) Novius M(arci) l(iber-tus) / sibi et [suis] / [novia]e M(arci) l(ibertae) Na[—-] / (mulieris)l (ibertae) Stel[—-] / (mulieris) l(ibertae) Iug[—-] / [novio] M(arci) [l(iberto)], che fu pubblicato da lauri1910², p. 29 («Esiste pure nel castello una lapide sepolcrale dell’epoca romana, spezzata nel mezzo, dedicata ai membri della famiglia Novia, di cui ho fatto un calco a grafite, richiestomi dal museo nazionale di napoli, e che sarà pubblicato nel Giornale degli Scavi») e quindi, su segnalazione dello stesso achille lauri, da auriGEmma1910. l’epigrafe si sviluppa su tre frammenti, di cui due ricomposti per una larghezza complessiva di cm 45,5 di larghezza e cm 27 in altezza; le lettere della prima linea sono alte cm 6,5, della seconda e della terza cm 5; il terzo frammento, conservato per una larghezza massima di cm 22 e di cm 27,5 di altezza, presenta lettere alte cm 5. Per modalità di sistemazione, lo spessore reale non è rilevabile. 2il complesso castrense, posto su uno sperone roccioso a m 444 s.l.m., fu costruito secondo tradizione da antonio Piccolomini dal 1463 forse su un precedente impianto di cui fino al sisma del 1915 esisteva il mastio costruito dai Berardi, conti di Celano, visibile in immagini d’epoca antecedenti al terremoto (luCantonio 1997, p.12; torDonE2005, p. 225). la costruzione del castelloresidenza e delle mura, per tipologia e tecnica, risale ad età tardomedievale; la pianta pentagonale ai cui vertici sono posti torrioni cilindrici, il cortile centrale, la muratura in bozzette calcaree poste su filari regolari per le parti residenziali, irregolari per torri e mura, attengono difatti ad uno schema diffuso nel XV secolo. Frequenti rimaneggiamenti rendono però difficile distinguere le persistenze murarie originali: il maniero fu infatti sottoposto nel XiX secolo a restauri aspramente criticati da alexandre Dumas, che così ebbe a dire sul proprietario dell’epoca, il conte Carlo lefebvre: «ma il torto gravissimo che ebbe,- non esitiamo a dirlo,- fu d’aver intonacato l’antico castello, restaurato le torrette ed elevato sulla terrazza una specie di caserma biancastra, con persiane d’un verde abbagliante […]. i milioni possono dare i feudi, le baronie, i titoli in o o in a; Dio solo fa gli artisti» (DumaS1863, p. 275); fu di
scutibilmente restaurato in chiave neogotica nel 1930 dai proprietari Fiastri Zanelli in seguito ai danni arrecati dal sisma del 1915 soprattutto ai piani superiori (ChiariZia1997; Somma2000, p. 226). Dalle fonti è attestata la residenza della famiglia comitale dei marsi in civitate Valesorana(Gattola1733, p. 248), ma la prima citazione dell’esistenza di un castrumè presente in un documento del Xii secolo (CatBar 1111, p. 216: «h(a)ec sunt castella qu(a)e tenet pr(a)edictus Comes in servicio: Vallem Soranam et Collem Erectum qu(a)e sunt pheudum iiii militum»), quindi del secolo Xiii, durante il dominio di ruggero, conte d’alba (RatDecCamp, p. 16 e p. 21). il fortilizio era posto in collegamento ottico e viario con il complesso formato da due torri e recinto di loc. le Starze, nei pressi del fiume liri, dove più tardi fu eretta la chiesa della madonna delle Grazie riutilizzando in parte le preesistenze murarie (Somma2000, pp. 228-230), e controllava l’accesso alla valle e alla via antiqua,qu(a)e dicitur Marsicana(ChrVult i, p. 244), l’antica via Soranadi mezzacosta costruita sul versante orientale del liri fra il iii-ii sec. a. C. per collegare la viaValeria con Sora (DEroSSi1980, p. 275; GroSSi1992, p. 41, p. 90, tav. 1). tale via era quella percorsa anche dai vescovi impegnati nelle visite pastorali alle chiese della diocesi che, dopo la tappa a Balsorano, raggiungevano San Giovanni de Collibus(Squilla1971, p. 133); alla fine del XViii secolo la strada era tortuosa, dissestata e pietrosa (hoarE1819,pp. 337-338: «From Balzerano i pursued a winding course along the side of the mountain, over a gradual ascent and a rough stony road, through the villages of St. Giovanni and St.Vincenzio, to the little town of morrea, distant five miles. the ride was delightful; the country picturesque, and greatly enriched by the luxuriant foliage of large oaks.»); per questo motivo si rese necessaria nel 1834 la sistemazione della via di fondovalle, oggi SS. n. 82 della valle del liri (JaDECola2015, p. 96), già esistente in età imperiale (GroSSi1992, p. 41) e documentata da una mappa del secolo XViii (ASFR, Pianta con l’indicazione degli opifici e dei molini lungo il corso del Liri e del Fibreno, 1791, Atti demaniali, busta 65, fasc. 153). Balsorano Vecchio fu collegata alla nuova strada grazie ad una rotabile completata nel 1850 (torDonE2005, p. 42). 3materiale: calcare; misure: larghezza cm 52,5, altezza cm 45, spessore non rilevabile. altezza lettere: da cm 4 a 3,5. 4Ms. Barb. lat., c. 249v:«Di tomaso 2° nacquero rugiero 2° et matteo ambedoi chiamati Conti di Celano nelle scritture antiche; matteo fù molto favorito da rè ruberto et hebbe per moglie Caterina del Balozzo, e da loro nacque loisio, che edificò la chiesa matrice dentro la terra di Balzerano, come me ricordo hauer letto in una iscrittione al fronte di detta Chiesa vicino la porta».

Visita pastorale 1663 c 5v at latus sinistrus introitus reperta sunt insignia qu(a)edam antiqua, cum fascia, seu sbarra diametrali transversa, et desuper cum elmo. insuper autem h(ab)et inscrip(tio)nes ex charactere antiquo subsequentibus verbis: ‘m.CCCC.Xl.iV. octava ind(ictio)ne à di 22. d’ottobre. lisi de Celano Secundo fece principiare questa benedetta ecclesia’» la medesima notizia compare anche inVisita pastorale 1703-1704, c. 88 («la Chiesa […] fù eretta per quanto si può raccogliere da una iscrizzione che apparisce da una lapide impressa nel muro di d(ett)a Chiesa nel lato della porta maggiore l’anno 1444 […]») e in Visita pastorale 1767, c. 25 («Della fondazione della Chiesa non ne abbiamo alcuna memoria, à riserba d’un’iscriptione à carattere gotico in una lapide posta nella parete sinistra della porta della Chiesa»). notizia dell’epigrafe è in lauri1910, p. 25 («nel Castello di Balsorano esiste una ben conservata lapide con caratteri gotici, un giorno appartenente alla chiesa attigua al Castello, oggi distrutta. Essa fu fabbricata da un ‘Lisi de Celano’ che forse ne era il signore [segue il testo dell’epigrafe]. Se c’era parentela tra il Lisi de Celanoe il Lisi de Pescina[rainaldo lisi] non so, né credo utile perdere del tempo per saperlo.»), in lauri1910², p. 29 e in seguito in lauri1929, pp. 14-15. Più recentemente, anche se restituita in modo scorretto e lacunoso, l’iscrizione è stata pubblicata nel sito http://www.diocesisora.it/istituto/parrocchie-balsorano/. non è invece possibile che l’iscrizione sia pertinente alla chiesa gentilizia del castello(Visita pastorale 1767, c. 35: «Vi è un solo oratorio privato nel Palazzo dell’ill.mo Sig. Barone padrone di q(ue)sto luogo, in cui celebra quotidianamente il sacerdote Felice Scacchi»), talvolta interdetta alle celebrazioni (Visita pastorale 1823, c. 211: «Visitatum pariter fuit oratorium privatum in Palatio familiae Piccolomini, olim Baronii huius oppidi, et iussum fuit, ut maneat sub interdicto»). un altro sacello vicino al recinto murario era consacrato a San Pietro e sorgeva non lontano dall’omonima
porta del borgo e dalla chiesa di Santa Brigida(Squilla1971, pp. 137-139). 6l’iscrizione si può riconoscere nell’epigrafe medievale chea uriGEmma1910 afferma essere da molti anni «[…] depositata […] nell’ultimo piano del castello, donde fu tratta poi», evidentemente per essere murata nella parete nell’androne. 7Si noti che a san Donato era dedicata una prepositura benedettina eretta in loc. affitto, attestata solo dalle fonti ma non da tracce materiali. 8l’indizione è una nota cronica diffusa dalla tarda antichità a tutto il medioevo consistente nel numero d’ordine progressivo che in un ciclo di quindici anni un determinato anno occupa. l’anno 1444 però non corrisponde all’indizione ottava, ma alla settima (CaPPElli1906, p. 78) poiché, molto probabilmente, il sistema d’indizione adottato nella redazione del testo epigrafico in esame non era il romano o pontificio – per cui ogni indizione corrisponde all’anno solare –, ma il bedano (altrimenti detto costantiniano o cesareo), in cui il principio dell’anno era fissato al 25 settembre e non al 25 dicembre o al 1° gennaio. Sull’indizione, CaPPElli1906, pp. Viii-Xi. 9il ductustrova punti di contatto nella gotica epigrafica di tre iscrizioni del secolo XiV di Gagliano aterno, Castelvecchio Subequo e aielli, su cui DEruBEiS1987 e DEruBEiS2008, e intre epigrafi murate nel campanile della chiesa cattedrale di Sora, per cui tanZilli2015, pp. 263-267. 10Sulla derivazione della gotica epigrafica napoletana dalla gotica adottata in ambito librario napoletano – dove era usata nella redazione di codici miniati – e sulla sua diffusione e circolazione in area abruzzese fra il Xiii e il XV secolo, DEruBEiS2008, pp. 37-39; un esempio é costituito dall’attività di matteo Capro, esecutore nei primi decenni del secolo XV di epigrafi a Cellino attanasio e isola del Gran Sasso (DEruBEiS1991, pp. 348-350).

11 lo scudo attraversato da banda è raffigurato dal ciclo pittorico della chiesa di San Giovanni Battista a Celano. lo stemma era stato assunto da tommaso Berardi, conte di Celano dal 1322 al 1332, ma pare che fosse già dei conti dei marsi (Ms. Barb. lat., c. 248v: «Da questi Conti dei marsi vengono per discendenza li Conti di Celano e d’albe perché si vedono in memorie antiche esser tutt’un’arme ch’è un’ scudo azzurro traversato con’ sbarra d’oro e volgarmente chiamata la famiglia di rugieroni ma nelle scritture sono chiamati di Celano, perché ivi facevano residenza et era costume di Sig.ri di quel tempo esser nominati dalli luoghi di loro residenza ò titoli come si vede nell’historie et in particolare di questo regno.»). èdiffuso e censito nella valle Subequana, in particolare a Gagliano aterno, a Castelvecchio Subequo, a molina aterno e ad aielli (DEruBEiS1987; DEruBEiS1994, schede n. 2, 30, 37, 37 bis, 49, 55; DEruBEiS2008, pp. 37- 39). 12Sulla notizia, riportata dai Registri della Cancelleria Angioina in data 15 marzo 1401, BaronE1888, p. 17; ruBEo2015, p. 23. 13BroGi1900, p. 378, ruBEo2015, p. 36. 14SummontE1675, p. 540; DiPiEtro1869, pp. 121-122;B roGi1900, p. 380; ruBEo2015, p. 37. 15infatti il 20 settembre di quell’anno il titolo di Gran Giustiziere si era reso vacante per la morte del conte in carica (SummontE1675, ii, p. 621; BroGi1900, p. 380; ruBEo2015, pp. 36-37, p. 44 nt. 12). 16Sulla successione, CorSiGnani,p. 475; ammirato1580, p.193; r uBEo2015, p. 16, nt. 4. il nome iacovella, insieme alla sua apocope Covella o Cobella, è attestato in un’epistola del 1447 edita da Ermann1700, p. 64.ruBEo2015,p. 11, fa ipoteticamente risalire la nascita di Covella intorno al secondo decennio del ‘400; diversamente tolliS1967, p. 102, afferma che Covella nacque all’inizio del 1400. molte delle notizie qui riportate sono ricavate dal recente saggio diruBEo2015che ha ricostruito la vita di Covella, ultima contessa dei Celano, e le sue vicissitudini nell’ambito della storia quattrocentesca del grande feudo abruzzese e degli scenari di guerra della contesa tra angioini e aragonesi: donna di grande cultura, mecenatismo, coraggio e spirito religioso, riuscì a sottrarsi ad un matrimonio forzato e celebrato addirittura sotto gli auspici di un pontefice, a negoziare la conservazione dei propri privilegi feudali, a sposare finalmente un uomo di suo gusto e ad amministrare il proprio patrimonio; gli ultimi anni di vita furono però funestati dalla necessità di combattere contro il figlio ruggero per difendere i suoi possedimenti. 17la vendita fatta da Giovanna ii fu ratificata da martino V il 1° marzo 1419 (ValEntini1935, p. 18, nt. 4; ruBEo2015, p. 58). 18ColaPiEtra1978, p. 26. 19le altre due sorelle, Giovanna ed isabella, erano a quel tempo già sposate e quindi estranee alla successione. 20maZZElla1601, p. 747; ruBEo2015,p. 60, p. 87, nt. 45. 21SummontE1675, p. 403. 22BroGi1900, p. 266, p. 386. 23DiPiEtro1869, p. 120. leonello acclozamora è corrotto nelle forme acclocciamuro e simili

24CorSiGnani1738, p. 473 e p. 592. 25CorSiGnani1738, l.iii, pp. 476-477. 26Ms. Barb. lat., c. 250v: «Cobella […] fù moglie di lionello acclozamuro, e loro edificorno S(anc)to angelo di Celano, come appare per iscrittione in d(ett)a Chiesa». 27BroGi1900, p. 284. 28CorSiGnani1738, p. 477: «[…] le quali per ragione che furon godute dal detto lionello che risedeva (come si disse) in Celano, furono soggette alla Contea Celanese, benché in diverse parti sìtuate […] Castelvecchio di Subiego, Galascio, Cello, Colle, Balzerano, morrea […]». Cfr. anche tutini1666, p. 69; BaCCo1785, p. 181; BianChini1834, ii, pp. 51-52; BroGi1900, p. 390; ruBEo 2015, p. 61, p. 89, nt. 68. 29i documenti in cui appare diversamente appellato sono riportati da ruBEo2015, p. 61, p. 64, p. 93, nt. 88, p. 95, nt. 103. 30Si tratta di una bolla di Bonifacio iX del 6 giugno 1391, sucuiV EnDitti2009, p. 228; ruBEo2015, pp. 95- 96, nt. 103.31 ruBEo2015, p. 95, nt. 103. 32 SummontE1675, iii, p. 401;FEDElE1905 p. 180, nt. 5;r uBEo2015, p. 24, p. 34, nt. 47, p. 43.
33CElani1893, pp. 80-86; ValEntini1935, p. 21, nt. 2; ruBEo 2015, p. 58. 34ruBEo2015, p. 69. 35VinCEnti1604, p. 49; ruBEo2015, pp. 95-96, nt. 103. 36tutini1666, p. 64 e p. 69; BianChini1834, ii, pp. 51-52;B roGi1900, p. 390. 37in tale anno nicola ii di Celano infatti risulta essere tutore del nipote Berardo (ruBEo2015, p. 43 nt. 5), a quel tempo privo di personalità giuridica per la minore età. 38BroGi1900, p. 393. 39ammirato1580, p. 194;CorSiGnani1738, pp.479-481; DEr uBEiS1994, p. 2; ruBEo2015, pp. 162-164. 40allEGa1977, pp. 63-77; ruBEo2015, pp. 162-164. 41CorSiGnani1738, l. iii, p. 481: «Comitatus Coelani, cuius erat rogerottus haeres, quoniam ille indignum se fecit, ad antonium nepotem nostrum, ex voluntate regis, pervenit». CamEra 1889, p. 34, riporta che la contea comprendeva «[…] Baroniam Balsarani in qua sunt infrascripte terre ac castra, et loca videlicet Balsaranum, morreum, Castrum novum cum casalibus

42 Corsignani 1738 p 482 Di pietro 1869 p 125

43Catone Miranda e Virrozzi 2009 p 479 la nepote del papa hogi è el terzo dì se partete del campo cum circa XXX homini d’arme et CC fanti et è andato in apruzo a pigliare la possessione del contato de Cellano, excepto una forteza»). 44ruBEo2015, p. 177. 45CatonE, miranDaeVittoZZi2009, p. 489. 46DEtummulilliS1890, pp. 144-145. 47in una lettera di papa Paolo ii di quell’anno rogerone è definito signore di Balsorano (Dumont1726, p. 385: «rogeronem de Celano Domini Balcerani et cum terris, Vassallis, et subditis suis»). 48ruBEo2015, p.195, p. 202, nt. 3. 49il 12 febbraio 1471 fu erogato un mandato di 110 ducati a favore del «magnifico d. rogerono de Celano pro residuo eius provisionis, usque in presentem diem»(ZiPPEl1904, p. 223). 50BErarDi1988, p. 149. la morte viene collocata il 22 maggio 1496 da ammirato1580, p. 194, e da CamEra1889, p. 71; per SanuDo1879, coll. 548-549, era ancora vivo nel 1497, in quanto nei primi di settembre di quell’anno «Et per una lettera di Brexa che vidi, intisi come uno signor rugierone conte di Celano, venuto in un castello pur sul monferà, zà molti zorni, di Franza, havia dito il roy averli dicto:‘Va et aspectame in tal loco, che sarò infallanter per tutto septembrio’» (ruBEo2015, p. 205, nt. 28). 51Bullarium 2,c. 25r, riporta la richiesta dell’8 aprile 1574 di
unire il beneficio di S. martino alla chiesa della SS. trinità; gli altri atti sono del 20 ottobre 1578 (Ibidem, c. 42v) e del 3 novembre dello stesso anno (Ibidem,c. 43v). 52Visita pastorale 1593, cc. 123-124. 53Brogliardo 1599, cc. 8v e 9r: il chierico Giovanni de luca il 19 febbraio 1599 chiede, per l’esiguità delle sue entrate, di unire alla chiesa della SS. trinità i benefici rurali di S. Pietro, S. Felicita, S. Giovanni, per sostenere più decorosamente l’arciprete e i due canonici. 54nella Visita pastorale1609, c. 128r, la chiesa risulta intitolata alla trinità, a San Giorgio e a San martino; nella Visita pastorale1617-1618, cc. 5-6, si specifica che le due chiese in quell’anno erano ormai crollate («Ecclesia Sancti Georgii est diruta, est ibi posita Crux lignea, et est unita Ecclesiae Parrocchiali»; «Ecclesia Sancti martini est in platea prope portam terrae. Est diruta. adest Crux lignea in loco ubi erat ecclesia, nunc est platea»). la distruzione delle chiese doveva essere quindi avvenuta tra il 1599 e il 1610, se il 29 giugno 1599 viene conferito a ‘D. Crisostomus Corsus Clericus’ il canonicato della ‘ecclesia Sancti Georgii dette terre Balsorani’ (“Bullarium et regestum varium”, 3, 7 giugno 1528-25 luglio 1613, cc. 64r e 64v). la chiesa di San Giorgio è documentata anche nel secolo XiV, poiché tra il 1308 ed il 1310 corrispondeva la somma di un tarì e quattro grana (RatDecCamp, p. 16); i beni di tali chiese risultavano inventariati (Libro Verde, cc. 92r-95r).

55 Icabone 1997 p 135 e 138 il culmibe del culto fu nel 1334 con l’istituzione della festa liturgica, per disposizione di papa Giovanni XXii, nella prima domenica dopo Pentecoste1(iaCoBonE 1997, pp. 138-139). la devozione della SS. trinità è attestata anche dall’affresco, recentemente restaurato, presente nel capo altare della chiesa della madonna delle Grazie in loc. le Starze. 56Visita pastorale 1609, c. 129r: «Status ecclesiae hodiernus. Visitatio die 17 Septembris 1617. Eccl(esi)a parrocchialis est sub tit(ulo) S(anctissi)mae trinitatis et Sancti Georgii ac S(ancti) martini. Cura animarum est penes archipresbiteru(m). Sunt etiam duo Can(oni)ci […] habet campanile c(um) tribus ca(m)panis appensis cu(m) horologio. altera campana n(on) est appensa. Sacristia est facienda retro altare maius. Ecclesia t(rinitatis) non reaptatur. habet hospitalem extra terra(m) i(n) burgo cu(m) parva eccl(esi)a S(ancti) antonii in qua non celebratur Sacra olea conserva(n)tur in vase lapideo prope porta(m) eccl(esia)e i(n) manu sinistra prope campanile cu(m) sacrario.] Eccl(esi)a h(abe)t una(m) nave(m) t(ecta)m et duas portas. altare maius est ad occidente(m) in quo conservat(ur) S(anctissi)mu(m) Sacr(amen)tu(m) in tabernaculo ex ligno deaurato». nella successivaVisita pastorale1617-1618, cc. 2-3, viene menzionato anche l’arcipresbitero dell’epoca, tale Blasius Gipsius, coadiuvato dal canonico Chrisostomus Corsius. la parrocchia in un documento coevo risulta dotata di numerosi beni mobili e immobili (Libro Verde, cc. 92r – 93r). 57Visita pastorale 1663, c. 5r: «Ecc(lesi)a tota, ultrà presbyterium […], divid(itur) in quat(t)uor partes distinctas per tres magnos arcus». 58Visita pastorale 1663, c. 5r. 59Visita pastorale 1663, cc. 3r-4r. 60Visita pastorale 1663, c. 4r: «Proseq(uendo) visit(ation)em ab eodem latere sinistro reperit vacuum quoddam inter arcum et arcum cum subiecto altari, ubi antiquitus extitisse d(ictu)m fuit altare S(ancti) antonii abbatis, cuius ius spectabat olim ad hospitalem sub tit(ul)o S(ancti) antonii, et deinde hospitale ipsum cum hoc annexo unitum prebendae archip(resbite)ri sive cura animar(um)». 61Visita pastorale 1663, c. 5v: «Visitavit deinde introitum ecc(lesia)e noviter ex elaboratis lapidibus fabricat(u)m, in cuius vertice m(itti)t arcum et fornicem excavari, in qua depingatur imago tituli Ecc(lesia)e».
62Visita pastorale 1663, c. 5v. 63oltre l’altare maggiore, cinto da balaustra, a destra sorgevano gli altari del rosario, posto accanto al pulpito e al confessionale, di Sant’antonio da Padova e San lorenzo martire, di San michele arcangelo; a sinistra, gli altari dell’annunciazione, di Sant’antonio abate e del Suffragio (Visita pastorale 1703-1704, cc. 90-91). Successivamente, pur rimanendo inalterato il numero degli altari, avvenne qualche variazione di intitolazione: in Visita pastorale 1767, c. 26, si legge infatti che: «oltre l’altare di sopra detto vi son sei altari e tutti anno (sic!) le colonne di legno. nel lato sinistro vi è la cappella del SS.mo rosario […]. nell’istesso lato vi è la cappella di S. michele arcangelo […] in fine dell’istesso lato vi è la cappella della SS.ma Concezione […]. Dalla parte destra da capo vi è la cappella del Suffraggio (sic!), […] infine dall’istessa destra vi è la cappella di S(ant’)antonio abb(at)e». 64Visita pastorale 1703-1704, cc. 88-90: «la Chiesa è composta d’una sola nave, non vi è soffitto, né rialzo ma bensì il tetto coperto di canali pianellato con matoni (sic!) per di sopra coloriti et è sostenuto da quattro archi, à due de quali vi sono le chiavi di ferro. nella quale chiesa vi sono due porte una maggiore in mezzo e l’altra minore nell’ingresso di essa vi è il fonte battesimale con il suo Sacrario col balaustro d’avanti, et l’altro lato dentro detta Chiesa vi è il campanile con gradini e porta et in esso vi sono tre campane, una maggiore benedetta, et hà il nome di Santa Barbara, l’altra mediocre, et hà il nome di S. martino, l’altra più comune, et hà il nome di S. martino, queste due ultime furono benedette dal Vescovo Guzzoni, et anco vi è l’organo sopra la porta maggiore da due piccoli rialzi sostenuto da due pilastri, et in d(ett)o luogo vi sono due finestre. in detta Chiesa vi sono cinque finestre con la loro vetrina cioè una sopra il Coro, l’altre quattro per lunghezza di d(ett)a Chiesa vi è anco l’horologio dell’università. in d(ett)a Chiesa vi sono sette altari, nei quali si celebra uno dali quali. è l’altare maggiore sotto il titolo della Santis(si)ma trinità fatto di stucco, nel quale vi è il tabernacolo di legno indorato sopra del quale vi è la Croce, sotto di esso tabernacolo vi è uno scabello con due gradini da porvi li Candelieri e nel quadro di esso altare che è di tela vi è l’effigie della Santis(si)ma trinità sotto della quale al lato destro vi è l’immagine di S. Giorgio Protezione principale et al lato sinistro vi è S. martino Vescovo Pro

tezione meno Principale, et in mezzo vi è l’immagine di S. Carlo Borromeo […] avanti di esso altare maggiore vi è la predella di legno con due gradini di pietra, avanti di esso vi è il balaustro. al lato sinistro vi è la sedia maggiore con due scabelli per li assistenti». 65Visita pastorale 1767, cc. 24-35: la chiesa era « di lunghezza cento palmi incirca, di larghezza palmi trentotto, dal tetto palmi quarantaquattro […]». il palmo cui fa riferimento dovrebbe essere il napoletano, pari a cm 26,4. 66Visita pastorale 1767, c. 25: «il pavimento è coperto di mattoni, il soffitto parimenti è composto di mattoni pittati, à riserba dell’altare maggiore, ò sia Cappella del SS.mo, q(ue)sto di sopra è coperto con volta, e l’istesso altare formato di stucco». 67Visita pastorale 1769, c. 16:«haec eadem Eccl(esi)a Par(rocchia)lis unica navi sub nudo et nudi tecto ex lateribus depictis, valde vetustis, et notabilis attritii, tota succida, et indecorosa constructa reperita. Parietes eiusdem in cornu Epistolae altaris maioris in parte, et partibus maxima humiditate afficiuntur, ita ut in magnum Ecclesiae prae(dictae) dedecus redundat, quò circa hortamur in D(omi)no magnificos viros de regimine huius universitatis omnesque alios, ad quos spectat spectat, ut, vel Constructione novae Eccl(esia)e à fundamentis excitam in eodem vel in alio loco, vel ad expeditam reparationem et restaurationem eiusdem devenire curent. ne ulterius prae(dict)a Ecc(lesi)a in tàm infelici statu remaneat. ioseph Ep(iscop)us Sorae». 68Visita pastorale 1782, c. 2: «Postero autem die, cum in praefata t(er)ra ob defectum Ecc(lesia)e Par(rocchia)lis veteris a ter(a)e motibus, decem ab hinc annis notabiliter les(a)e, ac tecto destitutae, Santissimum Eucharistiae Sacramentum, olea sacra, ac cetera, quae in d(ect)a Parrocchiali Ecclesia sub tit(ulo) S(ancti)s(i)mae trinitatis, asservabant, ad praesens, ob caeterarum ecclesiarum defectum, in ecclesia modicae et indecentis molis ad radices dictae
terrae sub tit(ul)o Sanctae mariae de Cruce». non risultano però notizie di terremoti occorsi nel 1772. 69Visita pastorale 1798, c. 3; Visita pastorale 1804, c. 2; Visita pastorale 1823, c. 205 e c. 211. 70torDonE2005, pp. 99-100. 71in Visita pastorale 1933, c. 654, si afferma che «a Balsorano furono successivamente costruite tre chiese Parrocchiali, di cui ancora sussistono gli avanzi. una di esse, la più antica, chiamata la “Chiesa Vecchia”, era sotto il Castello e fu fabbricata da un lisi di Celano. nel castello di Balsorano si conserva una lapide, che un giorno apparteneva a questa chiesa attigua al Castello». la seconda chiesa dedicata alla trinità fu ricostruita a poche decine di metri in linea d’aria e più in basso rispetto alla precedente; la terza, invece, fu costruita nel nuovo centro di Balsorano in seguito alla distruzione operata dal sisma nel 1915 del vecchio borgo murato. 72l’area interessata ricade nella part. cat. 260 del foglio 16. 73Visita pastorale 1663, c. 1r: «[…] ob arduitatem praeruptae viae vehi noluit, sed pedes usque ad portam terrae processit, Clero praesenti et comitantibus saecularibus. Cum autem ad portam suprad(ict)am pervenisset […] ad ecc(lesi)am parrocchialem sub titulo SS(anctissi)mae trinitatis ac Sanctiss(imoru)m Georgii et martini […]». 74Visita pastorale 1663, c. 1v: «[…] ab ecc(lesi)a perrexit ad arcem sive Palatium ill(ustrissi)mi Vtilis loci D(omi)ni D. Ferdinandi Piccolomini, in quo fuit honorifice et perhumaniter exceptus […]». 75lettera del 29 aprile 1825 del parroco, don martino Siciliani, Atti per luoghi, n. 38, 2: «quanto fulse in addietro questo Cristiano abituro, sito lungo l’abitato, sul pendio d’uno scoglio, coll’adiacenza del sasso, che ne dilava il terreno contrapposto, ed isolato a tutti gli lati, è purtroppo ben noto». 76Visita pastorale 1874, c. 330.

77 si ritiene utile in quanto ricca di indicazioni topografiche e

descrittive per l’identificazione del sito della prima chiesa (qui evidenziate in corsivo), riportare integralmente la relazione circa lo stato della seconda chiesa nell’ultimo venticinquennio del secolo XiX, pubblicata da torDonE2005, pp. 99-100: «la pratica [relativa al crollo di un vecchio fabbricato di proprietà comunale occorsa il 2 dicembre 1877], tramite il Prefetto, venne inviata al Corpo reale del Genio Civile di avezzano, il quale il 20 dicembre dello stesso anno redasse la seguente relazione: ‘L’abitato di Balsorano è situato sul pendio di una collina sulla cima della quale trovasi un castello di antichissima costruzione. Sotto questo, nel versante nord esisteva una chiesuola di epoca di costruzione pare certo a quella del castello e sotto e attorno a questa vi erano delle casupole che dai ruderi ora non si sbaglia nel dire che pure le medesime furono costruite con la chiesuola. Pochi anni or sono a causa di un incendio si abbruciò il tetto della chiesa e così venne abbandonata, le sue mura rimasero in piedi ed una volta che trovavasi per le sepolture sotto la chiesa, furono esposte a tutte le intemperie atmosferiche senza alcuna difesa. in questi ultimi anni poi il proprietario del castello sovrastante, conte di Balsorano, saggiamente pensò restaurare e rimetterlo in buone condizioni, tanto per garantirlo contro i danni del tempo come per renderlo una bella e deliziosa abitazione. nell’eseguire questi lavori il materiale di rifiuto veniva gettato fuori del castello e così parte cadde tra i muri della fu distrutta chiesuola e sopra la volta sottostante. ora in causa di questi materiali di sopra carico alla volta e alla venustà [sic!] della medesima esposta poi da tanti anni a tutte le intemperie atmosferiche ed in special modo per le acque che dai tetti del castello cadendo penetravano sopra di essa, cedette e rovinò dando una spinta ai suoi muri che la soffermavano i quali, come già si disse, per l’antichità di costruzione, le pietre che la formavano non erano collegate da alcun cementoe quindi impotenti a sopportare il minimo, precipitavano trascinando con loro le due casupole ad essi appoggianti e tutto questo materiale cadde sopra la casa del signor Filippo tuzi, sprofondandone il tetto e il soffitto fino a piano terra. la parte superiore poi della collina, alla cima della quale è posto il castello, nel versante medesimo in cui è succeduto il su descritto disastro, è composta da grandi massi calcarei disagregati i quali in causa degli agenti atmosferici, in modo particolare dai geli e disgeli si sono smossi e continuano un lento movimento. ultimamente un grandissimo masso si è tutto staccato e minaccia la sottostante contrada Porta Palomba e il Vico delle Rocce. terribile sventura e danni gravi arrecherebbe la caduta di questo grande masso che rovinerebbe molte case sottoposte e certo trascinerebbe con sé
anche parte dei muri di cinta del castello. Per sicurezza pubblica è assolutamente necessario, prima che maggiormente la stagione invernale si inoltri, togliere questo brutto pericolo che minaccia la proprietà e la vita di vari poveri abitanti di Balsorano’». 78orazio torriani (1578-1666) fu agrimensore al servizio del Capitolo di San Pietro e architetto di chiara fama; sulle sue attività, PaSSiGli2012, p. 368, p. 373, p. 377, p. 379. 79è la veduta in grafite, inchiostro bruno e acquerello numerata con il n. 30 e intitolata Castle of Balzerrano, in Abruzzo, datata e siglataMay 1791. RCh, tratta dalla raccolta dal titolo Views Drawn from Nature in the Neighborhood of Rome and Abruzzo, 1786-1790 conservata presso lo Yale Center for British art, Paul mellon Collection (n. coll. B1977.14.2741); nella stessa collezione sono comprese altre due vedute di Balsorano realizzate con la stessa tecnica e raffiguranti solo il castello: la n. 29, intitolata Castle of Balzerrano, and Vale of Roveto, in Abruzzo. May 1791. RCh. (n. coll. B1977.14.2740), e la n. 31, View in Abruzzo, May. 1791. RCh(n. coll. B1977.14.2742). oltre a realizzare le vedute, redasse un diario odeporico (hoarE1819) e, alle pp. 337-338, descrive la sua permanenza il 6 maggio 1791 a Balsorano, dove trovò ospitalità da don Clemente tuzi, e il castello («the old baronial castle, situated on the most elevated part of a rocky hill, and overlooking the village, is fitted up and occupied by the Baronessa Piccolomini»), lodando con enfasi il paesaggio da cui trasse ispirazione per i suoi schizzi («the whole, comprising the castle, village, & c. forms a perfect picture, and furnished the best of the numerous sketches which i made in these distant and unfrequented provinces»). 80il quadro fu realizzato negli anni ’90 dal medico condotto di Balsorano, dr. Giovanni lucantonio (rocca di Cambio 1923avezzano 2003) dopo attente ricerche condotte con l’ausilio di un vecchio capomastro del luogo, raffaele Villa, che gli aveva rappresentato fedelmente la configurazione della cittadina prima del terremoto e le persistenze murarie antiche di cui aveva conservato memoria essendo nato intorno al 1900. il sig. Villa aveva coadiuvato anche gli insegnanti maria lina tordone, lola Benedetti, anna Contato, margherita Santarelli, Gaetano Settevendemmie e gli alunni della locale scuola media statale nell’a.s. 1986-1987 nella realizzazione del laboratorio didattico storico-topografico intitolato Balsorano Vecchio – Il paese, gli uomini, le attività. Tentativo di ricostruzione storica attraverso i resti, i documenti, le testimonianze e …la memoria; ho potuto visionare il fascicolo nell’archivio privato della famiglia lucantonio. 81l’area insiste nella part. cat. 260 del foglio 16.

82 la decrizione del secondo impianto della chiesa di cui restano i ruderi in piazza San martino è nellaVisita pastorale 1874, cc. 327330. in essa si legge che «Della Chiesa madre sotto il titolo della SS.ma trinità se ne sconoscono l’epoca precisa della fondazione; perché non evvi alcun documento all’uopo. ma dai libri Parrocchiali antichi si rileva esser la fondazione rimontante a circa tre secoli o quattro. la Chiesa medesima è lunga circa 72 metri e larga 65 metri […] è fabbricata quasi nel centro del Paese, la cui prospettiva è ad oriente, ed è fatta quasi a foggia di Croce Greca: lunga come si è detto metri 72 larga metri 65 circa alta ariosa con cupola coperta ed otto corrispondenti finestroni ben custoditi con primo e secondo telaio fatti a specchioni con corrispondenti cristalli, e questi otto finestroni guardano d’ogni intorno liberamente i quattro punti cardinali. Vi si entra in piano per mezzo d’una gran porta di legno di castagno verniciata di color verde dalla parte di levante con antiporta ossia bussola: nell’ingresso appena a mano dritta evvi il Battistero con vasca di pietra in cui si conserva l’acqua Benedetta pel Santo Battesimo. a mano manca si vede la scala che conduce al campanile ed all’orghesta (sic!). Vi si vedono eretti sei altari, compreso l’altare maggiore, in fondo diretto del Cappellone grande, in cui si conserva il SS.mo Sagramento. a dritta nell’entrare in Chiesa si veggono prima l’altare di Santantonio (sic!) abate, e poi in Cappella subalterna quello della madonna addolorata. a questa dirimpetto evvi quello dell’annunziata, poi quello di S. martino Vescovo, Cappellone grande, nel mezzo della Chiesa a manca dell’ingresso, ed infine quello di S. rocco dirimpetto a quello di Santantonio abate. nella Chiesa, che è decentemente ripulita, con coloretto bianco e celeste,nella volta spaziosa si veggono dipinti in altrettanti quadri in affresco i quattro Evangelisti, copie del Domenichino, ed altri fatti scritturali. il mattonato è nuovo, come nuova quasi è la totale fabbrica della medesima Chiesa, le cui fondamenta furono gettate da circa un secolo fa dopo il crollamento della Chiesa che s’innalzava sotto una collina contigua al Castello, detta Chiesa Vecchia […]». 83Sicuramente le rovine della chiesa furono radicalmente rase al suolo tra il 1957 e il 1958, i materiali vennero reimpiegati nella costruzione della nuova strada di comunicazione con la SS. n. 82 della valle del liri e nella sistemazione della piazza San martino, oggi posta ad una quota superiore rispetto al piano di calpestio della chiesa distrutta nel 1915. il cambiamento della viabilità è documentato dalla fotografia aerea scattata dalla RAFil 15 marzo 1944 (Fondo maPrW-BSr-raF, foglio 52, strisciata 71, positivo 3016). 84Atti per luoghi, n. 38, 2, lettera del 29 aprile 1825 del parroco d. martino Siciliani: «alla crucciante amarissima doglia di non potere portare a compimento il fabricato della nova Chiesa per deficienza dell’occorrente, vi si aggiugne la prossima ed inevitabile caduta del picciol oratorio, rimasto solo, ed unico, per la sacra Funzione». 85torDonE2005, pp. 34-35.torDonE2009, p. 23, riferisce, sulla base dei documenti conservati nell’archivio storico comunale di Balsorano e delle testimonianze orali, che il terreno su cui l’edificio sacro fondava fosse poco solido e soggetto a smottamenti e per questo motivo agli inizi del secolo XX era ancora incompiuto, pur se aperto al culto; difatti nel 1913 fu chiuso e le funzioni furono officiate nella chiesa conventuale di San Francesco. la ricostruzione della facciata è in torDonE2009, p. 25

86torDonE2005, p. 60, sulle delibere comunali del 25.X.1853 e del 12.ii.1854. 87Atti per luoghi, n. 38, 1, relazione del 26 maggio 1858. in Atti per luoghi, Balsorano, 38.2, sono raccolte le compravendite di terreni “per un sussidio alla fabbrica della nuova chiesa parrocchiale di Balsorano”. Sulle rimostranze mosse dalla popolazione locale in tale anno circa le condizioni in cui versava la chiesa e la vacanza del parroco, torDonE2005, pp. 70-71, p. 93. 88torDonE2005, pp. 116-118. 89Visita pastorale 1902, cc. 103-105. 90Visita pastorale 1933, cc. 653-655. a cc. 654-655 la trascrizione fedele dell’epigrafe commemorativa dettata da lisi da Celano. 91Visita pastorale 1933, c. 642: «non si dà alcuna disposizione sulla chiesa, essendo baraccale e destinata a scomparire»; cc. 669670: «la Chiesa attuale è una misera baracca edificata dal r. Genio
Civile nel 1917 in seguito al terremoto che il 13 gennaio 1915 aveva distrutto la Chiesa Parrocchiale già chiusa al culto per una frana […]. è una capanna inferiore a quella in cui nacque nostro Signore. nella grotta di Betlemme non pioveva, ma in questa baracca è piovuto e seguita a piovere sempre non ostante le varie continue riparazioni». 92 Visita pastorale 1942, fascicolo “Balsorano”.torDonE 2005, pp. 319-322. 93la costruzione in esame si trova a m 315 s.l.m. ed è orientata n (41° 48’ 05”)- E (13° 34’ 23”); insiste sulle particelle catastali n. 225, 844, 169 del foglio 16. 94tale pietrame potrebbe essere quello gettato nel 1877 durante interventi di restauro al castello e caduto sulle volte della chiesa (torDonE2005, pp. 99-100). 95torDonE2009, p.19, riconosce nel portale dell’edificio i resti di porta Palomba.

86 le fonti archistiche attestano le chiese di S Martino e Santa Felicita, di cui però non si conosce l’esatta ubicazione. 97in un passo della relazione del Genio Civile del 1877 (ripor
tata da torDonE2005, pp. 99-100) si legge che «per l’antichità di costruzione, le pietre che la formavano non erano collegate da alcun cemento».

98ChiariZia, latinieProPErZi2002, p. 63, fig. 71. 99una significativa raccolta delle fotografie storiche di Balsorano Vecchio prima e dopo il sisma del 1915 è visitabile nel sito http://www.prolocobalsoranovecchio.it/Pagine/Foto_storiche.html. 100Cfr. nota 83. 101Per il metodo documentario cui ricorse il dr. Giovanni lu
cantonio per ritrarre l’aspetto antico del borgo, v. sopra. Per una sintetica pubblicazione del repertorio dei dipinti, luCantonio 1997, pp. 23-30. 102il toponimo Sotto il fossoconferito alla stradina sottostante via San martino potrebbe alludere all’esistenza di un fossato scavato presso le mura di difesa.

103 la via prendeva il nome da una cappella dedicata al santo. per la sua collocazione extra moeniaera il primo edificio sacro che fosse visibile prima di entrare da sud a Balsorano provenendo da Sora (Visita pastorale 1663, c. 1r). 104le immagini, una divulgata dal sito della Pro loco sopra menzionato, l’altra proveniente dall’archivio privato di Stefano Viaggio – attualmente in possesso di alessandra tanzilli –, testimoniano l’esistenza della porta e di un portico lungo alcuni metri, di cui resta memoria nel toponimo I Seppórte(torDonE2009, p. 19). 105le porte sono citate da luCantonio1997, pp. 20-21. la torre colombaia, usata per l’allevamento e l’addestramento di co
lombi viaggiatori, trova confronti nella torre La Palombaradi alvito, già attestata nel XV secolo (riCCiarDi1992). 106Sicuramente mons. Piccardi nella sua visita pastorale compiuta nel 1663 arrivò a Balsorano da questa parte; per entrare nel borgo e arrivare subito alla chiesa della SS. trinità era preferibile prendere la Rua Chianiglieo via Pianello (un toponimo che allude a una strada su pendio in cui è forse riconoscibile la via praeruptadescritta nella visita pastorale del 1663), quindi entrare da porta San Giorgio e percorrere il tracciato odierno di via noce dei Santi.

107Sul lazio, touBErt1995, pp. 44-98; sul territorio aquilano,m arCotulli2011, p. 182. 108resta memoria locale degli orti Scacchi, Silvi, rossi, Pizziglie coltivati fino alla distruzione dell’abitato. 109Visita pastorale 1663, c. 5v: «Visitavit deinde introitum ecclesiae, noviter ex elaboratis lapidibus fabricatum». 110materiale: calcare; misure: altezza cm 42, larghezza cm 25, spessore non rilevabile. il reperto si trova a Balsorano Vecchio in via ii al Corso e nella proprietà a. Fantauzzi (particella catastale 209, foglio 16). 111Visita pastorale 1663, c. 14v: «introitus est ex lapidibus elaboratis et stipites etiam marmoreis […] ante ecc(lesi)a(m) ipsam adsunt elevati parietes ad altitud(in)em ipsius Ecc(lesi)ae, sed adhuc sine tecto cum introitu ex lapidibus elaboratis». la chiesa di San Donato è citata per l’anno 944 da ChrVultii, p. 106, per il 972 da ChrCass, l. ii, 7, p. 182, per il 1110 da una bolla di papa Pasquale ii (Squilla1971, pp. 133-135). la chiesa era stata eretta nei pressi della via antiqua che raggiungeva Casale di San Giovanni, oggi San Giovanni Vecchio, un antico tracciato segnalato
da tombe, vici, santuari e ville (GroSSi1991, p. 216 e nt. 47; GroSSi1992, p. 41) ed era ancora in piedi nel XVii secolo (Libro Verde, cc. 322r- 322v). 112Visita pastorale 1663, c. 13v: «introitum h(ab)et ex lapidibus elaboratis […]». la chiesa distava dal borgo murato 375 metri ed era situata oltre la porta di San Pietro (Visita pastorale 1663, c. 13v: «Sita est ecc(lesi)a S(anctae) Birgittae extra t(er)ram Balsorani ab ea distans per quartam partem milliaris ex ea parte, quam respicit porta S(ancti) Petri»). Della chiesa oggi restano solo i muri d’ambito. 113materiale: calcare; misure: larghezza cm 47, altezza cm 25, spessore cm 15, altezza rilievo cm 0,4. 114il sito insiste nella particella catastale n. 236; le misure del frammento non sono rilevabili. il muro di cinta fu costruito per disposizione dei proprietari Ettore Zannelli e Giovanni Fiastri dal 1929 (lauri1929, p. 23), ma lavori di restauro erano stati già condotti tra gli anni 1920-1929 (CaSaFuErtE1994, pp. 320, 323, 332). il frammento potrebbe provenire da un monastero intitolato a San Francesco che sorgeva nelle immediate vicinanze, distrutto e poi ricostruito altrove(DiroCCoetorDonE1996, pp. 19-21).

115 materiale calcare misure 29 cm per cm 34, spessore non rilevabile. 116il cenobio, in castro Vallis Soranae(Squilla1966, p. 223, nt. 2, che cita un documento dell’archivio Segreto Vaticano, coll. 161, Soranarum Ecclesiarum Catalogus, r. C. 28, p. 158) appare già menzionato in un documento del 972, quando l’abate di montecassino, aligerno, concede con un contratto a livello al conte dei marsi rainaldo il monastero di Santa maria in luco con tutti i suoi possedimenti e le sue pertinenze, tra cui le chiese «[…] sancti Stephani et sancti nicolai et sancti Donati in valle Sorana […]» (ChrCassii, 7, p. 182). il nome del monastero di S. Nicolaus de Valle Soranaera scolpito nel quattordicesimo pannello della porta bronzea di montecassino, fatta realizzare dall’abate Desiderio nel 1066: dunque, in quel periodo il monastero è di nuovo pertinenza dell’abbazia(Gattola1734, i, p. 173). Per circa vent’anni fu di nuovo concessa ai Conti dei marsi che poi ne fecero dono all’abbazia cassinese; difatti nel 1089 Gentile – figlio del conte Baldovino – con suo nipote trasmondo e la matrigna di quest’ultimo, altruda, dona ad oderisio, abate di montecassino, il monastero di Santa maria in luco con le chiese e i monasteri da essa dipendenti (lECCiSotti1965, p. 87, n. 6; ChrCass iV, 6, p. 471: «tunc temporis Gentilis filius Balduini comitis unacum transmundo nepote suo obtulerunt beato Benedicto monasterium sancte marie in luco cum omnibus suis mobilibus et immobilibus et ecclesiam sancti nycolai in valle Sorana»). Si trattò, in effetti, di una donazione tra consanguinei, essendo l’abate oderisio esponente della famiglia dei Conti dei marsi e zio paterno di Gentile, conte di Balsorano (riZZEllo 1998, p. 114; antonElli1986, pp. 313-319), ratificato con un atto stipulato alla presenza di roffrido, vescovo di Sora ed evergete del portale della chiesa cattedrale sorana, e di tre sacerdoti(Gattola 1733, i, p. 248: «anno dominicae incarnationis millesimo octuagesimo nono, indictione duodecima, die Kal. majarum, nos quidem Gentilis filius q(uonda)m Baldoini Comes, et transmundus quidem Comitis nepotes, atque altruda suprascripti transmundi noverca clarefacimus, quod divina inspirante clementia, bona, et spontanea mea voluntate pro mercede animarum nostrarum in redemptione omnium peccatorum nostrorum, et parentum nostrorum loco Valle Sorana q(uae) cum aliis castris, villis et vi(n)c(u)lis Deo auxiliante nostri iuris est, obtulimus in S. Benedicto Cassinensis monasterio, ubi nunc domino oderisius abbas Christi opitulante clementia regimen tenere videtur, S. mariae monasterium, quod est in loco, qui
dicitur lucu cum omnibus suis mobilibus, et immobilibus rebus, et eorum pertinentiis cum omnibus hominibus sibi pertinentiis, et S. nicolai ecclesiam, qu(a)e est vicina praefato castro Vallesorana. Similiter cum omnibus suis pertinentiis mobilibus, et immobilibus ante praesentiam Ben. algisi civitatis Sorane iudicis per investituram factam a nobis in minibus Dodonis, et dom(i)ni Georgii eiusdem Cassinen(sis) monasterii venerabilium monachorum, atque Johannis levitae, et primicerio ecclesiae S. Germani praesente dom(i)no roffrido ecclesiae Soranae episcopo, cum tribus clericis suis, scilicet maiobove, et Petro Vicalvense, atque Johanne muto presbyteris […]»). la ricchezza del monastero è tra l’altro testimoniata dal versamento nel 1273 di quattro ducati d’oro e, tra il 13081310, di 6 tarì e di 15 grana (RatDecCamp, p. 16: «Prepositus S. nicolai de Valle Sorana tar. Vi»; RatDecCamp, p. 21: «Ecclesia S. nicolai gr. XV »). Grazie ad un documento del 1336 (antonElli 1986, p. 316) si può anche adombrare un rapporto vassallatico esistente fra il monastero e gli abitanti del luogo, che erano tenuti a prestare alcuni censi e servizi annuali. il legame tra il monastero e l’abbazia continuerà fino al secolo XV, quando la chiesa di San nicola fu affidata al clero secolare (antonElli1986, p. 313-319) e quindi concessa in beneficio nel secolo XVii (Visita pastorale 1663, c. 21r: «la chiesa di S. nicola con benefitio senza cura posseduto dal sig. D(omi)n(us) Francesco Bonaventura Parracciani rende ducati 21»). agli inizi del secolo successivo la chiesa «era già diruta» (Visita pastorale 1703-1704, c. 96). tali eventi potrebbero dimostrare che l’utilizzazione del territorio da parte di signori laici ebbe inizio solo quando la presenza della grande abbazia benedettina divenne meno forte e pervicace. 117Secondo antonElli1986, p. 314, nt. 14, nella località Casalino San nicola «al di sotto di due casette rurali si notano tratti di antichi muri, che facevano parte della chiesa, mentre altri se ne vedono a fior di terra poco distante sotto un querceto, che dovevano riguardare l’habitat monastico. nei pressi esiste una sorgente d’acqua chiamata Fontana S. nicola». iBiDEm, p. 317, l’immagine con didascalia Balsorano – Casalino S. Nicola, dove sorgeva l’omonima prepositura benedettina. 118l’abbazia volturnense aveva ricevuto l’inclita Vallis Sorana dal duca di Spoleto ildebrando tra il 774 e il 778 (ChrVulti, pp. 238-239); nel 944 possedeva il monastero di San Donato (ChrVult ii, p. 106: «monasterium Sancti Donati, cum inclita valle Sorana: et haec omnia cum omnibus sibi iure pertinentibus rebus sub tutela

Sedis apostolicae permaneant»), di Santo Stefano nel 755 e nel 981 (ChrVulti, p. 165; ChrVultii, p. 265). Gli ultimi possedimenti di San Vincenzo al Volturno nella valle risalgono alla prima metà del secolo successivo (ChrVultiii, p. 13; ChrVult iii, p. 24). 119GrimalDi2015, pp. 127-129, fig. 16 di p. 126. 120Sulla superficie, inquadrata dal largo e piatto bordo dei listelli, si dipana il motivo decorativo di un tralcio a foglie multi
formi che fuoriesce dalle fauci di un lupo. Sul pezzo recentemente si è espresso anGElElli2015, pp. 156-157. 121anGElElli2015, p. 155, con bibliografia precedente. 122Sul portale della Cattedrale sorana, GrimalDi 2015, pp. 125-134, figg. 13-19; sull’acquisizione di Santa maria di luco da parte di Desiderio nel novembre del 1070, ChrCassiii, 17, p. 383.

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Visita pastorale 1767= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 36. acta S. Visitationis realis, localis et Personalis peractae ab ill(ustrissi)mo et rev(e rendissi)mo D(omi)no D. thomas taglialatela Episcopo Sorae anno Domini 1767 in terra Balsorani et Casali S. Joannis et Casali S. Vincentii atque Casali morrea, C. antinae, Civitellae, Pescocanalis, Canistri, metae, morini, Castrinovi, rendinarae, roccavivorum. 21 maggio 1767- 4 giugno 1767 Visita pastorale 1769= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 39. Prima visita pastorale alle chiese e al clero della Valle di roveto. 4 settembre 1769- 25 settembre 1769 Visita pastorale 1782= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 47. Seconda visita pastorale alle parrocchie e altri luoghi pii della Valle di roveto sotto la sua giurisdizione. atti e decreti. 10 ottobre 1782-8 ottobre 1783 Visita pastorale 1798= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 51, “Prima Sancta Visitatio Vallis roveti peracta ab illustrissimo, et reverendissimo Domino D. augustino Colajanni Episcopo Sorano de anno 1798 continens tredicim oppida”. 14 giugno 1798-18 luglio 1798 Visita pastorale 1804= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 55. Seconda visita pastorale alle parrocchie della Valle di roveto. 15 maggio 1804-20 settembre 1804 Visita pastorale 1823= ASDSora, archivio Diocesi di Sora-aquinoPontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 58. Prima visita pastorale alle parrocchie e altri luoghi pii di alvito, Castelliri, Fontechiari, isola del liri, Pescosolido, Pontecorvo, S. Donato V. C. e nelle parrocchie della Valle di roveto sotto la giurisdizione della Diocesi di Sora-aquino-Pontecorvo. relazioni e decreti. 27 febbraio 1820-11 maggio 1823 Visita pastorale 1874= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 64. risposte dei parroci, amministratori di luoghi pii, economi curati, ai quesiti contenuti nelle istruzioni per la Sacra Visita del 1874 nelle città di arpino, isola del liri, Fontana liri, Castelliri, Balsorano, morrea, Civita d’antino, Castronovo, rendinara, morino, Civitella roveto, roccavivi, Canistro, Capistrello, S. Vincenzo V. r., S. Giovanni V. r., 25 novembre 1873-10 agosto 1876 Visita pastorale 1902= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 75. relazione della prima visita pastorale alle parrocchie, monasteri e altri luoghi pii di alvito, arpino, Balsorano, Broccostella, Campoli appennino, Capistrello, Casalattico, Castronovo, Civita d’antino, Civitella roveto, Fontana liri, Fontechiari, Gallinaro, isola del liri, morino, morrea, Posta Fibreno, Pescosolido, Picinisco, Pietrafitta, rendinara, roccavivi, S. Donato V. C., S. Vincenzo V. r., S. Giovanni V. r.,

Visita pastorale 1933= ASDSora, archivio Diocesi di Sora-aquinoPontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 82. risposte dei parroci di Sora, alvito, Castello di alvito, arpino, Balsorano al questionario per la prima visita pastorale. 1933-1936 Visita pastorale 1942= ASDSora, archivio Diocesi di Soraaquino-Pontecorvo, Serie D, sottoserie Vi, Visite pastorali, vol. 88. relazioni dei parroci di alvito, arpino, Balsorano, Canistro, Casalattico, Casalvieri, Civita d’antino, Fontana liri, meta, Pescosolido, Picinisco, rendinara, Sora per la seconda visita pastorale. 1948-1949 ZiPPEl1904 = G. ZiPPEl(a cura di), Le vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, in Raccolta degli Storici Italiani dal Cinquecento al Millecinquecento, t. iii, Città di Castell ChrCass = Chronica Monasterii Casinensis, in Monumenta Germaniae historica, Scriptores, a cura di h. hoFFmann, t. XXXiV, hannoverae 1980, pp. 393-409 ChiariZia1997 = G. ChiariZia, Castelli d’Abruzzo. 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PAOLO E LA CRONOLOGIA INCERTA @alfredoantonini

Mi riallaccio alla versione di Barbaglia e Sabugal sull identificazione di Damasco dove Paolo si voleva recare a perseguitare gli ebrei gesuani grazie alle lettere del Sommo Sacerdote.Versione che sembra essere sostenuta anche da Sacchi( P. Sacchi, Storia delSecondo Tempio, ed. SEI 1994 e , Maccabei di Maurizio Serofilli 2017 “ P.Sacchi La storia del popolo ebraico dopo l’esilio”contenuto nella Introduzione generale alla Bibbia, Logos, 1 ) :

secondo Sacchi: già prima della fine del sadocitismo legittimo, un gruppo di ebrei si era staccato dalla comunità, ma con ungesto più negativo che positivo visto che per venti anni “sono come ciechi” cioè non sanno bene cosa fare. Dopo vent’anni dalla sua nascita, cioè attorno alla crisi scoppiata con
l’avvento del sommo sacerdote Menelao e l’uccisione di Onia III, a qs movimento si aggiunge un uomo indicato col nome di Maestro di giustizia (MdG). Questi, sacerdote e sadocita, raggiunge nel deserto la comunità e le detta le norme che la guideranno. Fino a non molto tempo fa al MdG venivano attribuite tutte le principali opere di Qumrano, mentre oggi si è più cauti. Questa figura entra in campo attorno al 170 a. C. ed è perseguitato dal nuovo sacerdozio filoellenista che ora governa il Tempio e dal suo capo
Menelao. S. tende a considerare il MdG più che il fondatore dell’essenismo quello di uno dei suoi gruppi/filoni dissidenti: Qumran. Il ruolo di questo gruppo nella sfera politica fu quasi nullo (fatta salva l’adesione finale alla lotta degli Zelanti contro i Romani a partire a metà degli anni 60 d. C. che porterà alla loro scomparsa) mentre fu rilevantissimo sul piano dottrinale, con conseguenze sul pensiero del secolo successivo e poi su quello di Gesù (mi riferisco ai testi cosiddetti apocrifi e ai testi di
Qumran).

Gia ho avuto modo di commentare: Devo dire che sebbene ho riportato il pensiero di Sacchi ripreso dagli appunti di Serofilli non mi capacito come improvvisamente alcuni sadociti diventano enochici GESU E L’ERA DEL SECONDO TEMPIO @alfredontonini | MEDIOEVO SLAVO MONDO ANTICO E MONDO MODERNO (alfredoantonini.altervista.org).Ora mi rendo pure conto che possiamo considerare qualche differenza tra sadociti e sadducei dal momento che gli ultimi qumruniani potevano si essere discendenti da Sadoc ma in dissenso con i sadducei che non esprimevano piu un Sommo sacerdote diretta espressione della discendenza della linea di Aronne,ammesso che i sadociti dell inizio della fase iniziale del secondo tempio lo fossero per davvero suoi discendenti,tuttavia mi pare che ci sono tante differenze teologiche tra gli utimi qumrumiti ed i sadociti che per ora questa ipotesi mi pare certo interessante ma non dimostrabile.Barbaglia nella sua opera di migliaia di pagine ,già nella prima parte per sostenere che gli oniadi erano il riferimento dei qumrumiani ricorre al valore numerico delle parole nella kabalah qua trovate il pdf : https://www.claudiana.it/download/dettaglio.php?id_download=47.Certamente la problematica del riconoscere questa Damasco con quella Siriana si scontra con il fatto che la giurisdizione del Sommo sacerdote di Gerusalemme sulla Siria,a proposito delle lettere consegnate a Paolo,pare discutibile.Gia Donnini nel raccontare delle fasi storiche di Qumrum aveva considerato che nell ultima fase i suoi abitanti erano vicini agli zeloti.Quindi si ripropone la questione del chi e come potevano essere coloro che avrebbero accolto lettere del Sommo Sacerdote.

Circa la conversione di Paolo sulla via di Damasco sussiste non solo la questione delle tre versioni a lui attribuite ma la Cei in Atti riporta :1 Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote 2 e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Atti+9%2C1-19&versioni%5B%5D=C.E.I.

Sebbene il senso sarebbe lo stesso questa dei seguaci della dottrina di Cristo è una traduzione contestata.Qua potete confrontare come altri traducono diversamente ovvero che la dottrina cristiana era la Via : https://www.laparola.net/testo.php.Se quindi cosi fosse stato, la folgorazione non è puramente lungo la strada di Damasco ma sulla Via quindi è forse un viaggio metaforico verso l abbracciare il cristianesimo.C è letteratura circa che la Casa di Damasco era un nome delle comunità enochiche.

A questo punto gli interrogativi crescono perche abbiamo gia visto le tre versioni in Atti che vengono propostein relazione a Paolo circa la sua conversione,di conseguenza come combaciano con questa altra : 2 Cor 12 che secondo i teologi fa riferimento alla medesima esperienza https://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=2Cor+12

1 Bisogna vantarsi? Ma ciò non conviene! Pur tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. 2 Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. 3 E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – 4 fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare. 5 Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze. 6 Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me.
7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. 8 A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. 9 Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. 10 Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.
11 Sono diventato pazzo; ma siete voi che mi ci avete costretto. Infatti avrei dovuto essere raccomandato io da voi, perché non sono per nulla inferiore a quei «superapostoli», anche se sono un nulla. 12 Certo, in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli. 13 In che cosa infatti siete stati inferiori alle altre Chiese, se non in questo, che io non vi sono stato d’aggravio? Perdonatemi questa ingiustizia!

Ripropongo le altre tre versioni GESU’E LE PROFEZIE,IPOTESI ED ERRORI (aggiornato) @alfredoantonini | MEDIOEVO SLAVO MONDO ANTICO E MONDO MODERNO

Sul Cristo che Paolo conosce per rivelazione ci sono a gettare sconcerto tre diverse versioni in Atti che il probabile autore Luca,il medesimo di uno dei Vangeli quindi colui che fa confusione su Nazaret e Gamala,riporta. Atti 9 : 4 e, caduto in terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» 5 Egli domandò: «Chi sei, Signore?» E il Signore: «Io sono Gesù, che tu perseguiti. 6 Àlzati, entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». 7 Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero fermi, senza parole, perché udivano la voce ma non vedevano nessuno. 8 Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla; e quelli, conducendolo per mano, lo portarono a Damasco. Atti 22 :7 Caddi a terra e udii una voce che mi disse: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” 8 Io risposi: “Chi sei, Signore?” Ed egli mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. 9 Coloro che erano con me videro sì la luce, ma non intesero la voce di colui che mi parlava Atti 26 : 14 Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. 15 E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. 16 Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. 17 Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando 18 ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me.

Siamo di fronte non solo ad interrogativi su come è veramente andata ma da questa vicenda si dipanano sviluppi che rendono complicata la successione temporale che ne segue

Circa gli eventi di questa misteriosa Damasco abbiamo anche qua piu versioni :

 22 Saulo frattanto si rinfrancava sempre più e confondeva i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo. 23 Trascorsero così parecchi giorni e i Giudei fecero un complotto per ucciderlo; 24 ma i loro piani vennero a conoscenza di Saulo. Essi facevano la guardia anche alle porte della città di giorno e di notte per sopprimerlo; 25 ma i suoi discepoli di notte lo presero e lo fecero discendere dalle mura, calandolo in una cesta https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Atti+9%2C19-25&versioni[]=C.E.I.

31 Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. 32 A Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia alla città dei Damasceni per catturarmi, 33 ma da una finestra fui calato per il muro in una cesta e così sfuggii dalle sue mani.17 senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.18 In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni …..21 Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. 22 Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; 23 soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». 24 E glorificavano Dio a causa mia..;https://www.laparola.net/testo.php?versioni[]=C.E.I.&riferimento=Galati1

Quindi non si capisce se lo cercano gli ebrei o gli uomini del re nabateo Areta,che essendo morto nel 40 qua non possiamo trovarci oltre tale anno.Anche il seguito è ingarbugliato perche leggiamo qua sopra in Galati che da Damasco va via senza passare per Gerusalemme tornandoci dopo tre anni…..mentre in Atti la cosa non va cosi perchè i versetti di Atti comparsi qu sopra,dopo la fuga da Damasco proseguono in questo modo :

26 Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. 27 Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. 28 Così egli potè stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore 29 e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. 30 Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Atti+9%2C26-30&versioni[]=C.E.I.

Ma che fine ha fatto Anania,colui il quale in una delle versioni sulla conversione aveva incontrato a Damasco ? https://www.laparola.net/testo.php?riferimento=Atti9&versioni[]=C.E.I. :

10 Ora c’era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». 11 E il Signore a lui: «Su, va’ sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco sta pregando, 12 e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista». 13 Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. 14 Inoltre ha l’autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». 15 Ma il Signore disse: «Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; 16 e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». 17 Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo»

Ma da Galati https://www.lachiesa.it/bibbia.php?ricerca=citazione&Cerca=Cerca&Versione_CEI2008=3&Versione_CEI74=1&Versione_TILC=2&VersettoOn=1&Citazione=Gal%201,11-19 :5Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque 16di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, 17senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.

Quindi se da un lato a Damasco in questa versione scompare Anania dall altro scopriamo da Galati che a Damasco c e andato due volte in tre anni prima di Andare a Gerusalemme mentre da Atti sappiamo che ci va una volta e poi subito a Gerusalemme.A meno che la prima volta manco ci è arrivato e a Damasco e subito dopo la rivelazione invece senza consultare nessun uomo,va in Arabia e quindi quel ritorno a Damasco sta solo ad indicare che lungo la strada del ritorno ci va.

18In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; 19degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore https://www.lachiesa.it/bibbia.php?ricerca=citazione&Cerca=Cerca&Versione_CEI2008=3&Versione_CEI74=1&Versione_TILC=2&VersettoOn=1&Citazione=Gal%201,11-19 Qua ha appena detto che degli apostoli non vide nessun altro se non Giacomo ma poco sopra abbiamo letto Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e poco prima dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa.. Ora qua potrebbe essere che l intenzione era di incontrare Cefa ma non ando’ cosi perche’ incontro’ solo Giacomo tranne che Baranaba lo aveva presentato agli apostoli quindi piu di uno,infatti dice nessun altro oltre ma oltre Cefa vide solo Giacomo o nessun altro oltre Giacomo ? rimasi presso di lui quindici giorni .qu si riferisce chiaramente a Cefa ma non cita altri Apostoli

Se tornate un poco indietro trovate evidenziato anche 8 Così egli potè stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore 29 e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca ma trovate anche 17senza andare a Gerusalemme …ed anche 2 Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; .ed anche rimasi presso di lui quindici giorni Di nuovo le versioni non coincidono.

Lo scontro tra Erode ed Areta secondo Flavio avviene poco dopo la morte di Giovanni Battista ed era il 35/37 Durante il periodo di Erode solo in alcuni anni la pasqua è nel mese di nisan.Nel 40 muore Areta.Il concilio di Gerusalemme è nel 49.

Pensare che armonizzando Atti e Galati , volendo considerare che si trattava del racconto dei due viaggi differenti laddove era andato a Damasco e poi tornato a Damasco nei tre anni lontano da Gerusalemme ,mi pare problematico anche se magari si trattava di due Damasco diverse anche perchè ognuna,quella di Siria e Qumrum presenta difficolta.Bisogna far tornare il tempo dal primo o dal secondo censimento di Erode all anno di Erode con la pasqua a nisim ,fino all esistenza in vita di Areta fino al Concilio di Gerusalemme considerando il tempo nel quale Paolo è lontano da Gerusalemme.

@alfredoantonini

così nasce la prima nazione russa,NON SOLO SLAVI : PIRATI SVEDESI,NOMADI TURCHI ED EBREI ERRANTI @alfredoantonini

Dalla fondazione del Rus di Kiev fino alla rivoluzione di ottobre ed alla nascita dell Unione Sovietica,il più grande stato slavo del mondo, un ruolo fondamentale è stato svolto da genti non slave, si tratta di ebrei  di vichinghi,turchi,finnici e anche mongoli.neppure dimenticherei il gruppo etnico dinarico che venne slavizzato con il tempo, del quale però non abbiamo notizie dalle fonti circa come ha partecipato alla genesi della nazione russa e che ci pone molte domande

Sono consapevole che non tutti gli studiosi russi accettano queste ricostruzioni perchè predilogono quelle slavocentriche.Devo tuttavia precisare che questa ricostruzione la troviamo anche nelle saghe islandesi.A tale proposito devo dire che è vero che i normanni hanno dato uno scarso contributo alla formazione del popolo russo ma che sono stati importanti nella nascita del Rus di Kiev del resto il dna dei primi rurikidi lo conferma,erano variaghi svedesi di lingua e di cultura ma finnici di lontane origini perchè avevano le sottocladi tipiche di una zona della Svezia abitata da immigrati finnici.Comunque il punto di vista russo è esposto qua https://zavtra.ru/blogs/karta_i_marshruti_drevnih_migratcij_gaplogruppi_r1a (La teoria normanna,religione dei russofobi)dove mi pare che si dice che non c era anticamente dna normanno nelle pianure russe,non è questo che metto indubbio infatti.Sto facendo riferimento a tempi successivi a quelli indicati e comunque non a massiccia presenza di variaghi ma di una elite politica militare.

http://www.eastjournal.net/archives/49544: Rus’ era il termine con cui gli slavi che vivevano nelle pianure dell’attuale Russia, lungo il corso del Volga, del Dnepr e del Dnestr, chiamavano le popolazioni scandinave, quelle che noi chiamiamo vichinghi o normanni e che i bizantini chiamavano variaghi. Il termine “rus” tuttavia non appartiene alla lingua slava, è un termine che deriva dal balto-finnico. Già, poiché tra i vichinghi e gli slavi delle pianure c’erano le terre dei balto-finni, e gli slavi – non sapendo come chiamare quelle genti – mutuarono il nome dai loro vicini. Non a caso ancora oggi, in finlandese, la Svezia è chiamata “Ruotsi

Vorrei aggiungere qualche considerazione in modo da ampliare l argomento. Il contesto del Rus di Kiev è più complesso di quanto sembra e neppure così certo. Comincio con il termine “Rus “. Tutta vera la ricostruzione sull origine che si legge nell articolo, per quanto sia questa origine sia la parte circa la storia delle origini della nazione Rus non tengono conto di un altro aspetto. Il termine Rus potrebbe benissimo derivare dall ebraico “ros ” e cosi pure dall aramaico. Ros è un termine semitico che più o meno significa ” capo ” o capobanda o cappoccia. Forse non a caso alcuni di questi variaghi verranno indicati come colbiaghi che nelle lingua nordiche piu o meno significa qualcosa di simile,chi sta a capo di una imbarcazione e ne deternina la rotta.

Le fonti CTP potrebbero avere esaltato l aspetto dei variaghi pagani che si sono convertiti al cristianesimo piuttosto che quello di ebrei rabbinici e di turchi khazari che anche loro in parte erano ebrei karaiti (non rabbinici) , in questo caso perchè turchi convertiti al karaismo.Per quanto non tutti i khazari ebrei erano turchi quindi in parte erano anche ebrei della diaspora divisi tra rabbinici e karaiti.Già ai tempi dei primi rurikidi a Kiev c era la porta dei giudei e c erano luoghi abitati dagli ebrei.Allo stesso modo il nome di Kiev sembra derivare da “kij ” che non è un termine svedese ma è un termine turco probabilmente khazaro che più o meno significa “in riva al fiume” .Mentre di sicura fondazione variaga invece sembra essere Novgorod .Nella nascita del Rus potrebbe quindi avere giocato un ruolo importante il già esistente stato khazaro.

Ma chi erano questi variaghi ? A torto o ragione vengono considerati variaghi i vichinghi dell est cioè gli svedesi che sono coloro che hanno preferito muoversi lungo i corsi d acqua a differenza dei vichinghi dell ovest che erano i normanni norvegesi e che solcavano i mari. Tuttavia il termine variago etimologicamente non stava ad indicare una nazionalità ma colui che aveva sottoscritto la “vara” che era un patto mercenario che riguardava di solito giovani scapoli ma non solo. Quale era il contesto culturale del Rus ? Parliamo di bande di mercanti/predatori che solcavano i fiumi della pianura russa e qua si procuravano anche schiavi che in parte portavano al loro paese ma che in parte vendevano ai mercanti ebrei radaniti. Pare che “radanita” era un termine di origine forse araba che significava “conoscitore di strade”. Solo una piccola parte degli ebrei della pianura russa e dell anticaucaso erano mercanti radaniti. In quanto al procacciamento di schiavi nell est balto slavo( slavus ovvero sclavus ovvero schiavo ) era attività consueta pure dei tedeschi cavalieri teutonici unitamente ad alcuni principi cristianissimi. Quando il potere dei rurikidi variaghi si consolida a Kiev non perde lo stampo predatorio perchè lo si paragona storicamente ad una cleptocrazia,basta pensare ai soprannomi di alcuni principi : “lungamano”(in russo Jurii Dolgorukii)“e “borsellino”.

Si ha la fase dove la parte nordica e slava si cristianizza grazie a Santa ( ho scritto santa perché tale l hanno fatta diventare cattolici ed ortodossi dimenticando qualche sterminio da lei ordinato) Olga di Kiev e prevale su quella ebraica e turca che vede la disfatta dello stato khazaro.Questa disfatta è causata da vari fattori a cominciare dal fatto che un cambiamento di potere a Baghdad aveva chiuso ai khazari un importante via commerciale.Si sospetta anche un importante cambiamento climatico che li ha danneggiati tanto è vero che la capitale è finita sotto l acqua è non è mai stata mai più ritrovata nonostante le ricerche organizzate da Gumilev ( era il figlio della grande poetessa Anna Achmatova ). I turchi khazari finiscono per abbandonare anche l ebraismo e si convertono all islam ed al cristianesimo. I mongoli distruggono Kiev nel 1240 e finisce anche il Rus . Il clero fugge verso Vladimir Suzdal e quindi Mosca dove un ramo dei Rurik stessi progressivamente costruirà il nuovo stato russo. In questo senso un passo fondamentale sarà la conquista di Novgorod avvenuta con la forza e con l inganno. Va poi compreso in questa storia il ruolo della componente etnica finnica largamente presente nel nord russo, anche perché all esame del dna i resti di questi principi rurikidi pare sembra che erano di tale origine e non vichinga. Qualcuno tuttavia li indica come finnici ma di lingua svedese,fatto che confermerebbe la loro origine variaga.Ebbi anche modo di dialogare con Aldo C Marturano  su academia circa il ruolo dei bulgari,comprese possibili origini bulgare di Olga di Pskov.qualcosa sui bulgari dimenticati lo trovate qua : https://www.mondimedievali.net/Medioevorusso/bulgari.htm

https://www.mondimedievali.net/Medioevorusso/ipotesi.htm: “Un racket senza precedenti quindi dominò quasi tutto il nord della Terra Russa finché un capo variago, come avvenne per altri Normanni (questo era il nome che si dava ai Vichinghi in Occidente: Uomini del Nord) come lui in altre parti d’Europa più o meno alla stessa epoca, non decise (favorito dalle circostanze) di eliminare in blocco tutte le altre mafie e di trasformare il regime di protezione in un vero Stato organizzato (fine del X secolo – inizi del XI secolo d.C.) di cui si fece proclamare principe. Quando questo avviene tuttavia, avviene sempre confluendo nei disegni dell’élite slava locale o di Kiev o di Novgorod o di Polozk, per nominare le più grosse città a maggioranza slava del tempo.

Sicuramente l’idea di un’organizzazione statale, come evoluzione massima delle proprie attività, la mafia variaga non la contemplò mai. I Variaghi erano troppo incolti e scollegati fra loro per guardare con attenzione alle diverse realtà culturali intorno, magari prendendole a ideali di vita per organizzare uno Stato. Per loro la Terra Russa era solo una miniera di ricchezza da cui prelevare bottino, senza troppi sforzi. Per il resto i legami dei Variaghi continuavano a rimanere oltremare, nel Baltico occidentale! Certamente ci fu qualche variago che sognò un dominio per sé, ma era una cosa troppo complicata e anche se cercò di imitare un’organizzazione statale, ad esempio imitando il modello dell’Impero Cazaro, in molte occasioni la “copiatura” restò molto superficiale!

Un’organizzazione statale invece c’era già nell’antico tessuto della società slava e fu questa realtà che dominò meglio di altre e che i capimafia variaghi sfruttarono. 

Sarà forse un caso, ma credo neanche tanto, che a confermare la matrice dell Urss come derivante dal Rus antico aggiunto della componente ebraica ,molti russi fondatori dell Unione Sovietica saranno poi di origine ebrea : Lenin,Trozki,Sverdlov,kaghanovich,Kamenev,Zinovev,Litvinov,Sokolnikov,Uritsky,Radev (tutti ebrei),ed alcuni pure ucraini come Breznev  e Crusciov che visse nel Dombass in Ucraina.Certo che per capire meglio sarebbe da verificare se si tratta di ebrei di antiche famiglie khazare oppure di ostjuden risaliti dall Italia nella valle del reno e poi migrati piu ad est.Qua andrebbe approfondita l origine orientale sefardita(mi riferisco ad antichi mizrachi ed ebrei delle montagne che sono di rito sefardita tanto quanto gli spagnoli) oppure occidentale askenazita.Si tratta di studi difficili e lughissimi

Ho fatto un breve accenno agli ebrei distinguendo i rabbinici dai karaiti. Anche questa è una questione complessa e poco nota,anche descritta vagamente ed erroneamente da varie fonti.sarà oggetto di un prossimo post su questo blog.

@alfredo antonini